Ancora una volta Verona è interessata dall’emergenza migranti, non solo per il carattere strutturale del fenomeno, ma soprattutto per l’incapacità gestionale del governo di destra.
A livello nazionale, dopo la stagione dei facili slogan del tipo: “In Italia si entra solo per vie legali, non saranno i trafficanti a decidere chi arriva” e “Fermeremo gli sbarchi e rimanderemo a casa i clandestini” attraverso “Accordi con i Paesi di origine e di transito per rendere effettive le espulsioni”, si era convinti di poter dominare il problema.
I risultati rivelano una realtà del tutto diversa: oltre 100 mila arrivi dall’inizio dell’anno, compresa la presenza di oltre 20 mila bambini non accompagnati, a fronte di solo 1042 arrivati attraverso i canali legali, 35 mila richieste di asilo negate e solo 2.561 rimpatri.
Un vero e proprio fallimento, al quale si cerca, in qualche modo, di far fronte attraverso un’affrettata redistribuzione degli arrivi verso i Comuni, determinando una situazione che in alcune realtà arriva ad un vero collasso, con una dura reazione bipartisan dei primi cittadini, e conseguente protesta dell’Anci presso il Viminale.
Verona partecipa a questa reazione con alcune specificità territoriali. La prevalenza numerica locale di sindaci leghisti ha determinato una loro reazione altrettanto dura, specialmente nella Bassa veronese, dove, ad esempio, il CAS (Centro di accoglienza straordinario) di Vigo di Legnago è completamente occupato, come si trattasse di denunciare responsabilità della coalizione avversaria e non della propria, acuendo i dissensi e le contraddizioni dell’attuale maggioranza governativa.
Il tutto senza una minima prospettiva di superamento che non sia un tardivo aggiornamento dei criteri di redistribuzione tra i Comuni, nei quali, oltre agli abitanti, si terrà conto dell’estensione dei territori. Oppure, come fa il presidente veneto Luca Zaia, scaricando il problema sull’Europa, considerata un convitato di pietra sui migranti, ma dimenticando che l’Italia e la Lega non hanno la credibilità necessaria, dal momento che su una serie di questioni strategiche rimangono all’opposizione, e considerano l’Ue una sorta di mammella da succhiare in relazione ai loro bisogni.
Del resto, una manifestazione della confusione che regna nella destra veronese si è avuta anche nei commenti a un recente intervento sul giornale locale L’Arena del vescovo di Verona Domenico Pompili, che dopo aver dimostrato il carattere strutturale delle migrazioni, conseguenti al processo di globalizzazione in atto nel pianeta, ha indicato la soluzione in una politica di integrazione programmata, con l’ovvio inciso che non si può accogliere tutti.
Quest’ultima precisazione è stata assunta da esponenti della destra locale come manifestazione di equilibrio e buon senso del Presule, dal quale poi si sono discostati per limitare l’accoglienza ai veri migranti non clandestini, per evitare che i Comuni veronesi paghino il collasso della Tunisia.
Una posizione contraddetta frontalmente da una recente sentenza della Corte di Cassazione che condanna in via definitiva la Lega per aver usato il termine “clandestini” riferito ai richiedenti asilo. Tale denominazione è stata ritenuta errata perché contraria alla nostra Costituzione che agli articoli 2 e 10 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e condivide le norme del diritto internazionale.
Nella sostanza il problema è che tanti politici locali considerano, nei fatti, i migranti come semplici numeri e non come persone umane, titolari di diritti indisponibili, come afferma la nostra Costituzione.
Appartiene a tale categoria di politici superficiali anche l’ex sindaco di Verona, Flavio Tosi, ora esponente di FI, che cerca di rinverdire il suo passato di estremista leghista, con posizioni settarie su questa materia, come la contestazione della giunta Tommasi sulla assegnazione delle case popolati precarie e disabitate, di proprietà del Comune, che, dopo essere state ristrutturate dall’Amia, essendo fuori graduatoria Agec, possono essere affittate, oltre a persone fragili, anche ai migranti.
Intanto, sempre a livello regionale, l’amministrazione Zaia, tramite l’assessora Elena Donazzan, chiede di dar vita rapidamente a un CAR (Centro accoglienza per rimpatri) al fine di poter rapidamente rimpatriare i migranti non provvisti di preparazione adeguata per essere inseriti nelle imprese venete. Ciò mentre il mercato del lavoro regionale registra, indipendentemente dai migranti, un grado di ricettività inferiore al 50% dei lavoratori italiani.
Mentre è necessaria una formazione idonea all’inserimento attivo nei lavori concretamente disponibili, sarebbe discriminatorio e quindi anticostituzionale, scaricare questo problema sui soli migranti. Il problema rimane quello di sempre, creare le condizioni di formazione e di preparazione per rendere possibile un inserimento positivo di tali lavoratori, senza determinare ostacoli a priori connessi alla loro provenienza.
Credo che una scelta del genere sia non solo umanamente lungimirante, ma necessaria anche dal punto di vista produttivo, specialmente in alcuni settori come l’agricoltura, il turismo e i servizi sociali.
Alla nostra classe dirigente politica servono preparazione, lungimiranza e pragmatismo, senza chiusure ideologiche preconcette ed elettoralistiche.
Luigi Viviani

Luigi Viviani negli anni Ottanta è stato membro della segreteria generale della CISL, durante la segreteria di Pierre Carniti. Dopo aver fondato nel 1993 il movimento dei Cristiano Sociali insieme a Ermanno Gorrieri, Pierre Carniti ed altri esponenti politici, diviene senatore della Repubblica per due legislature. Nel corso della legislatura 1996-2001 è stato sottosegretario al Lavoro con il ministro Cesare Salvi; nella successiva, vicepresidente del gruppo dei Democratici di Sinistra al Senato. viviani.luigi@gmail.com
