L’urbanistica partecipata, il recupero edilizio e funzionale di aree centrali dismesse e gli interventi pubblici come testa di ponte per gli interessi degli investitori privati, furono temi affrontati a Verona negli anni ’70 durante la giunta guidata dal sindaco democristiano Carlo Delaini.
Era stato programmato un piano per la salvaguardia e la valorizzazione di Veronetta, dove assunse un particolare rilievo un intervento sperimentale Comune-Gescal, per il recupero edilizio e funzionale di un vecchio monastero di clarisse, denominato Corte del Duca. Il complesso venne acquistato dal Comune, utilizzando i fondi del programma Gescal.
Lo scopo era quello di realizzare appartamenti pubblici da locare con canoni convenzionati, per tentare di bloccare l’abbandono dei residenti meno abbienti, costretti a cercare abitazioni igienicamente e staticamente sane nelle nuove aree edificate dell’estrema periferia urbana.
Il centro storico, e in particolare Veronetta, era stato lasciato in uno stato di deprecabile abbandono e fatiscenza, causando così il lento processo di svuotamento e pilotando l’esodo degli abitanti all’esterno, favorendo un’espansione a macchia d’olio della città e la cementificazione dei terreni agricoli privi dei servizi urbanistici necessari.
Gli abitanti del rione desideravano rimanere nel luogo dove molti erano nati ed avevano le proprie radici, così accolsero positivamente la proposta di recuperare Corte del Duca avviando in questo modo un primo esempio di urbanistica partecipata.

Via Fontane di Sopra, San Giovanni in Valle, Verona
Un primo progetto prevedeva che, per realizzare il numero di alloggi richiesti dal Comune, fosse necessario costruire alcune unità edilizie utilizzando lo spazio verde di un brolo interno alle mura del vecchio convento.
Proprio sulla valutazione di questo progetto accadde un fenomeno importante e significativo: gli abitanti si riunirono in un comitato, il primo sorto a Verona e, nonostante vivessero in precarie condizioni abitative, preferirono salvaguardare il brolo verde, quindi la qualità urbana, al maggior numero di appartamenti.
Da quel momento iniziò un movimento spontaneo di cittadini del rione che, attraverso manifestazioni pacifiche, incontri con la Pubblica Amministrazione e proposte di soluzioni alternative, lottò per salvare il verde.
Si rese quindi necessario organizzare un centro sociale con spazi adeguati, il primo a Verona, dove iniziarono varie attività, tra cui un doposcuola.
In seguito a quella mobilitazione propositiva, la Pubblica Amministrazione decise di abbandonare l’ipotesi di costruire i nuovi volumi nell’area verde del brolo e di intervenire solo con iniziative di recupero conservativo dei volumi esistenti.
L’ Amministrazione affidò la progettazione ai tecnici interni, consentendo ai responsabili del Comitato, assistiti da alcuni giovani studenti di architettura, di partecipare alla realizzazione del progetto.
Fu questo uno dei primi esempi di urbanistica partecipata, era il 1973.
Quell’esperienza aveva permesso agli abitanti di maturare un intenso senso di appartenenza ad un luogo ed una profonda responsabilizzazione per la tutela del proprio territorio.
Furono anni di grandi speranze e di intensa attività, si credeva possibile fermare la speculazione edilizia che distruggeva le campagne e svuotava il Centro storico dei propri abitanti, per trasformarlo in un polo direzionale, commerciale e terziario.
Erano gli anni in cui gli investimenti immobiliari e fondiari si dimostrarono i più redditizi e l’intervento pubblico, spesso, serviva quale testa di ponte per pilotare quello privato.
La pianificazione a pioggia delle zone di edilizia economica popolare in aperta campagna, urbanizzate a spese del Comune e la localizzazione di interventi di edilizia pubblica o di poli di servizi nelle zone “depresse”, favoriva l’aumento del valore fondiario-immobiliare delle aree limitrofe, acquistate a tempo debito dagli operatori privati.
Questo fenomeno si verificò anche con la riqualificazione di Corte del Duca, che provocò, dapprima l’acquisto di interi edifici del rione da parte di società immobiliari e/o semplici operatori privati, poi il loro svuotamento dagli abitanti originali, iniziando così un processo di trasformazione delle caratteristiche sociali e culturali del luogo.
L’attuale progetto al Pestrino, realizzabile con finanziamenti pubblici, potrebbe rappresentare una testa di ponte per urbanizzare la campagna.
Giorgio Massignan

Giorgio Massignan è nato a Verona nel 1952. Nel 1977 si è laureato in Architettura e Urbanistica allo IUAV. È stato segretario del Consiglio regionale di Italia Nostra e per molti anni presidente della sezione veronese. A Verona ha svolto gli incarichi di assessore alla Pianificazione e di presidente dell’Ordine degli Architetti. È il responsabile dell’Osservatorio VeronaPolis e autore di studi sulla pianificazione territoriale in Italia e in altri paesi europei ed extraeuropei. Ha scritto quattro romanzi a tema ambientale: "Il Respiro del bosco", "La luna e la memoria", "Anche stanotte torneranno le stelle" e "I fantasmi della memoria". Altri volumi pubblicati: "La gestione del territorio e dell’ambiente a Verona", "La Verona che vorrei", "Verona, il sogno di una città" e "L’Adige racconta Verona". giorgio.massignan@massignan.com
