Quello nelle edicole oggi, venerdì 30 giugno 2023, è l’ultimo numero del giornale L’Arena uscito dalla rotativa aziendale a Caselle di Sommacampagna: da domani le copie del quotidiano, per la prima volta dalla fondazione nel 1866, arriveranno da un centro stampa esterno, il CSQ di Erbusco (Brescia).
“Sofferta e necessaria scelta industriale”: così l’ha giustificata Matteo Montan, amministratore delegato dell’Athesis, società editrice che oltre all’Arena vanta anche gli altri quotidiani Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e prossimamente anche la Gazzetta di Mantova.

L’ex tipografia del giornale l’Arena a Caselle di Sommacampagna, Verona
Ma, pur con quattro giornali da stampare ogni notte, l’Athesis si vede costretta a rinunciare al suo centro stampa: troppo costoso, inaugurato per il nuovo millennio con macchine e strutture modello, ma proprio mentre le tirature iniziavano a calare (il dilagare di internet, i giornali on line) e infine il costo della carta che si è impennato.
Adesso bisogna passare a un formato di giornale più piccolo (in edicola dal 1° luglio) e la rotativa-corazzata di Caselle non è adatta. Resteranno spente le luci nelle due cattedrali della stampa che si vedevano illuminate ogni notte dall’autostrada, vicino all’autogrill Bauli: uno dei due capannoni era già vuoto, smontata e rivenduta in Turchia la rotativa gemella a quella spentasi ieri, a suo tempo acquistata apposta per stampare Il Sole-24 Ore, commessa perduta.
L’Arena, che vide la luce il 12 ottobre del 1866, guarda avanti con una nuova grafica per il giornale di carta e investimenti sull’informazione on line preferita da sempre più lettori. Ma l’ultima notte della tipografia veronese non doveva passare inosservata.
Ci siamo ritrovati in tanti nella notte finale di Caselle, vecchi e nuovi tipografi, grafici e giornalisti, tutti arrivati spontaneamente e senza invito. «Mi ricordo quando eri aiuto correttore di bozze alla vecchia tipografia di San Martino Buon Albergo», mi saluta il decano degli ex linotipisti.
“L’aristocrazia della classe operaia”, così li presentava il loro ideologo Càbula. Maestro indiscusso era Paolo Tosi: in metà del tempo fissato per contratto componeva alla tastiera le righette di piombo che andavano a formare gli articoli: e senza fare errori. Il tempo che gli restava, lo impiegava in scherzi leggendari.

L’ex tipografia del giornale l’Arena a Caselle di Sommacampagna, Verona
Aveva scoperto una linea diretta in tipografia, da cui chiamava il centralinista Cappuccini, convinto che la telefonata arrivasse da fuori. «Amore mio», lo ingannava fingendosi uno spasimante gay. E Cappuccini, colossale ex pugile romano, che si infuriava: «A frocio, che te pòzzino ammazzàtte!». Altri tempi.
Un’altra sera Tosi si era finto, sempre sulla linea telefonica malandrina, il segretario del vescovo, facendosi passare il direttore Gilberto Formenti: «Sua eccellenza passerà più tardi a visitare e benedire la tipografia». Formenti si precipitò tra i banconi su cui si componevano le pagine: «Presto, togliete dai muri quelle donne nude, mettete tutto in ordine che arriva il vescovo!». Eppoi, sotto gli occhi dei tipografi, a camminare nervosamente in cortile nell’attesa dell’illustre visitatore.
Stellino Gianesini, tipografo-poeta, ne compose un carme: “E attese, attese invano/ il bacio della mano…”. Scoperto l’inganno, Stellino compose anche un inno, che nei monenti topici veniva intonato da tutta la tipografia. Solista: “La letterina”, sottinteso di censura aziendale, “ricevereeemo…” Coro: “E ciccia in c..o ci prenderem!”. Non seguivano applausi.

I tipografi dell’Arena nel 1939. Al centro in primo piano Ildebrando Pillon; in alto, terzo da sinistra, Giovanni Giulini; il ragazzo all’estrema destra è Enrico Stella; alla sua sinistra sopra di lui, Gino Avesani
Quelli erano previsti, collettivi ed entusiastici, solo quando il compositore (di piombo, non di versi) Alberto Lenotti si esibiva nel suo sternuto, capace di sovrastare per un attimo ticchettio di linotypes e fragore di rotativa.
San Martino Buon Albergo (un ex calzaturificio, che si rivelò perfetto a ospitare linotypes e mezza redazione) era stata dal 1966 la stamperia abbandonata poi per Caselle. Prima il giornale si faceva in Volto Cittadella, nelle stanze addossate alle mura viscontee. Passeggiando con la mamma, dalle finestre a livello del marciapiede il bambino vedeva sotto la fila di linotypes e cominciava a sognare: farò il giornalista?
Negli ultimi anni di guerra, la tipografia era asservita agli occupanti tedeschi. Dopo L’Arena, ovviamente fascista, si stampava Die Suedfront, bollettino per le truppe naziste, allegato al rotocalco Signal. Ma c’era un nucleo clandestino di resistenti, guidato dal tipografo comunista Ildebrando Pillon.
Con la complicità dell’amministatore Piero Pavan, Pillon aveva smontato pezzo per pezzo tre linotypes, per sottrarle alla temuta requisisione dei tedeschi. Le aveva nascoste alla casa di don Calabria a San Zeno in Monte, dove il tipografo comunista insegnava l’arte grafica nella scuola professionale del santo prete.

Il torchio con cui furono stampati i primi numeri del giornale L’Arena di Verona
Uscivano dalla tipografia areniana anche barre di piombo e caratteri tipografici per stampare documenti falsi e giornali clandestini. “Dal 23 aprile 1945”, raccontò in un’intervista all’Arena (24 aprile 2009) suo figlio Silvano, “papà sparì di casa. La mamma mi mandò a cercarlo. Lo trovai in tipografia, che la presidiava armato con i colleghi. Passai la notte nascosto sotto una macchina da stampa. Al mattino arrivarono gli americani. C’era un ufficiale che parlava benissimo italiano. ‘Bel ragazzo’, mi disse, e mi riempì le mani di caramelle”.
L’amministratore Pavan, orgogliosamente “Commissario del CLN per la Società editrice Arena”, ebbe a battagliare anche nel dopoguerra: con gli agguerriti delegati sindacali dei tipografi. Il giornale era riuscito a tornare nelle edicole riscattandosi dal passato fascista (organo ufficiale del partito dal 1925). Ma i padroni non erano forse rimasti quelli di prima? Così insinuavano i sindacalisti.
In parole povere, come concludevano le trattative con l’ineffabile Pavan, “vogliamo sapere chi è che ci paga!” La risposta era sempre: “Il parroco di Sant’Eufemia”. Una prece e un atto di fede, allora, in morte della gloriosa tipografia veronese. Resurgat! Una spiegazione sarebbe troppo, e non nella tradizione.
Giuseppe Anti

Giuseppe Anti è nato a Verona il 28 agosto 1955. Giornalista, si è occupato di editoria per ragazzi e storia contemporanea; ha curato fino al giugno 2015 gli inserti "Volti veronesi" e le pagine culturali del giornale L'Arena. giuseppe.anti@libero.it

Diavoletto della Tipografia
01/07/2023 at 13:21
I quotidiani Athesis sono tre e non quattro, la rotativa che stampava il Sole 24 ore era di proprietà dell’editore de Il Sole 24 Ore e non de L’Arena… e in più l’estensore dell’articolo è andato fuori tema per la maggior parte dello scritto. Altro? Meglio stare zitti altrimenti arrivano i dinosauri da Zevio