L’evento del centenario della rappresentazione dell’opera lirica in Arena, con l’ennesima riproposizione di Aida, che doveva essere la celebrazione di un eccezionale risultato dell’amore dei veronesi per questo tipo di musica popolare, si è trasformato, pur nella sontuosità dell’avvenimento, in una brutta e sproporzionata manifestazione di presenza politica da parte di una classe dirigente della destra al governo che, specie in fatto di cultura, non riesce a trovare un modo decente e rispettoso di partecipazione, diverso da una strumentalizzazione pacchiana.
Questo giudizio critico non attiene alla qualità dello spettacolo musicale – che con la scelta ardita di una scenografia di segno postmoderno dell’opera verdiana ha avuto il coraggio di battere la via dell’innovazione – ma per il contorno di ingombrante presenza politica, come scelta arrogante e sbagliata di potere fine a se stesso.
Per comprendere il senso più completo di tale rilievo è necessario ricordare che l’elezione della sovrintendente della Fondazione Arena, Cecilia Gasdia, è stato il frutto di un grave sgarbo istituzionale nei confronti del Sindaco Damiano Tommasi che, dopo aver proposto il metodo di una ricerca comune del nuovo sovrintendente, si è visto confermare dal cda di Fondazione Arena quello precedente, nonostante fosse un esplicito militante di FdI.
Un autentico colpo di mano contro il Sindaco, da parte della maggioranza del cda, in rappresentanza di un collaudato gruppo di potere, composto, oltre che dai componenti di centrodestra, da un gruppo di imprenditori che attorno alle attività dell’Arena sostengono la propria attività economica.
La rottura ha dato avvio a un conflitto che ha registrato ulteriori sviluppi nella gestione dell’attività extra lirica fino a lambire il tribunale. Una delicata situazione di scontro che avrebbe invece richiesto una lenta e convinta ripresa di dialogo per ricostruire un rapporto corretto.
L’evento della celebrazione del centenario del festival lirico all’Arena, con la riproposizione di Aida, la prima opera rappresentata, poteva essere una buona occasione per favorire tale riconciliazione, ma i fatti sono andati in tutt’altra direzione.
Fin dall’inizio della preparazione l’importante evento è stato subito assunto direttamente dal governo che su di esso ha deciso di investire un consistente pacchetto di risorse, emettere un apposito francobollo, poi la trasmissione in mondovisione con l’aggiunta dello spettacolo delle Frecce tricolori.
La presenza straordinaria dei Presidenti di Senato e Camera, di cinque ministri e di diversi sottosegretari ha completato l’opera, tesa ad affermare una sorta di potere identitario sull’iniziativa e sulla città.
Fino alla vigilia era prevista anche la presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma, in questo contesto, gli altri impegni che l’hanno costretto a non venire, lasciano intravvedere vari significati.
Naturalmente, di fronte a tanto interesse ed attivismo, il sindaco Tommasi è stato costretto a fare buon viso a cattivo gioco, prendendo atto che la gestione effettiva dell’evento è progressivamente passata in altre mani.
Rimane tuttavia del tutto evidente il problema di una classe dirigente allergica alle regole istituzionali e che interpreta la politica come mezzo per raggiungere il potere, da gestire con netti criteri di parte assieme agli amici e contro gli avversari.
Una esperienza negativa che proietta una luce preoccupante specie sulle riforme costituzionali che il governo ha in animo da tempo di realizzare. Con riformatori del genere il pericolo è quello di stravolgere gli equilibri costituzionali che la nostra Carta ha saputo introdurre con particolare saggezza e che hanno retto in tutti 75 anni della storia complicata della nostra Repubblica.
Per questo ci sono tutte le condizioni per essere seriamente diffidenti della scelta di mettere mano alle riforme costituzionali che, con le proposte sul presidenzialismo e sul premierato, attaccano, da posizioni diverse, il delicato equilibrio tra Parlamento, Presidente della Repubblica e Premier del governo, con il serio pericolo di cambiare la qualità della nostra democrazia.
Credo perciò che la difesa della struttura fondamentale di tale equilibrio dei poteri che ha consentito vita e sviluppo del nostro sistema democratico, rimanga un patrimonio da difendere.
Mentre questa indebita invasione della destra, in occasione di una giusta celebrazione del centenario di un festival che rappresenta un grande merito di Verona, occorre che anche nel nostro territorio la pratica attiva della democrazia sia il vero antidoto a deviazioni di questo genere.
Anche alla luce di questo episodio, in particolare il sindaco Tommasi deve convincersi che far assumere un netto profilo civico alla propria amministrazione può forse consentire di vincere più facilmente le elezioni, ma, senza un serio rapporto con la coalizione dei partiti amici molto più difficilmente è possibile governare la città.
Luigi Viviani

Luigi Viviani negli anni Ottanta è stato membro della segreteria generale della CISL, durante la segreteria di Pierre Carniti. Dopo aver fondato nel 1993 il movimento dei Cristiano Sociali insieme a Ermanno Gorrieri, Pierre Carniti ed altri esponenti politici, diviene senatore della Repubblica per due legislature. Nel corso della legislatura 1996-2001 è stato sottosegretario al Lavoro con il ministro Cesare Salvi; nella successiva, vicepresidente del gruppo dei Democratici di Sinistra al Senato. viviani.luigi@gmail.com
