C’era una certa attesa per l’omelia del vescovo di Verona Domenico Pompili, in occasione della festa del patrono di Verona San Zeno. È stato il primo messaggio diretto alla città, e in particolare alla politica, da parte del nuovo presule.
Si è trattato di un discorso breve, stringato, letto con la pacatezza delle occasioni importanti, ma denso di significato e di indirizzi. Un messaggio chiaro, pensato, consapevole su dove vuole arrivare.
Partendo dalla triplice affermazione del Salmo 127 sui limiti dell’azione umana, non sostenuta dall’aiuto divino, il vescovo bolla i limiti più evidenti dell’odierna prassi politica, cioè la divisione profonda, il confronto muscolare, la semplice ricerca del consenso, l’uso strumentale dei problemi seri, la mancanza di visione sul futuro del territorio.
Mentre dai recenti incontri del vescovo con i diversi vicariati della diocesi nei vari ambiti della vita collettiva (volontariato, istituzioni, imprese, educazione, salute) sono emerse concrete testimonianze di impegno per il bene comune, più in generale esiste la difficoltà di indirizzare i due vettori del cambiamento: digitalizzazione e sostenibilità, verso obiettivi di libertà e democrazia, cioè di pluralismo, sussidiarietà, solidarietà e pace.
D’altro canto, in questa fase post-pandemica, o si sceglie questa strada o esiste il pericolo di scivolare nell’esonero dalla responsabilità. Pur essendo la strada tutt’altro che facile, ma investendo sulle persone e sulla qualità delle relazioni personali e istituzionali è possibile farcela.
Dopo il tempo dell’io, dell’aggressività e della competizione, viene il tempo del noi e della collaborazione. Senza relazioni positive la vita umana si impoverisce e così impoverisce il mondo. San Zeno ci aiuti a trovare, dentro di noi, quella attitudine relazionale necessaria a costruire il bene comune.
Nell’insieme un discorso che valorizza le relazioni collaborative per la realizzazione del bene comune, che riflette anche il ruolo del nostro vescovo di presidente della Commissione Cei per le Comunicazioni.
La reazione della politica locale è avvenuta nel segno di una adesione acritica e, nella sostanza, difensiva.
Anche se il sindaco Damiano Tommasi si è identificato con gli indirizzi del vescovo, auspicando una prosecuzione del rapporto nel tempo, nell’esperienza concreta dell’amministrazione della città, raggiungere posizioni condivise, negli ambiti più significativi della politica veronese, rappresenta un obiettivo difficile da raggiungere.
Più articolate. anche se alla fine di approvazione scontata, risultano le posizioni del centrodestra: pur in un contesto di adesione, a destra si tende a considerare legittime le differenze di linea strategica, dato che costituiscono la realtà della politica.
Per il resto il messaggio del vescovo Domenico risulta accolto nella sua sostanza, dato che, sulla base delle dichiarazioni, esso rifletterebbe le intenzioni, e buona parte delle azioni, della classe politica locale.
In particolare, la condivisione con il vescovo è arrivata anche dai soggetti che, negli ultimi tempi, sono stati protagonisti degli scontri istituzionali più duri, come i dirigenti attuali o ex di Fondazione Arena e Agsm-Aim.
Nella Fondazione Arena si è addirittura cercato di soprassedere alla grave frattura tra la maggioranza del Cda e il sindaco, affermando che si sta riprendendo a collaborare, mentre in Agsm-Aim proseguono i conflitti legali e non tra le due coalizioni che si confrontano in Comune.
In tale contesto, l’improvvisa convergenza sul messaggio del vescovo acquista il carattere prevalente di convergenza occasionale e strumentale dettata dall’interesse di evitare effetti negativi.
Questo approdo testimonia, a mio avviso, che, anche in tale occasione, è mancata da parte degli interessati una riflessione critica e autocritica sulla qualità e gli indirizzi della politica locale che le stesse affermazioni del vescovo sollecitano.
Rimango convinto che senza questo approfondimento sarà molto più difficile raggiungere una convergenza minima sullo stato attuale della città e sulla visione del suo futuro, per poter ridare slancio collaborativo alla politica.
Troppe, a mio avviso, sono le occasioni mancate rispetto alle potenzialità del nostro territorio e della nostra società.
È tempo di farsi una ragione della trasformazione del nostro sistema economico e sociale verso un modello di sviluppo incentrato su un terziario povero di lavoro qualificato, e su una insufficiente valorizzazione del patrimonio storico-artistico di Verona.
Delle conseguenze della perdita dei soggetti trainanti del nostro sistema creditizio e finanziario (due banche e Cattolica Assicurazione) e dei ritardi dell’innovazione digitale e tecnologica. Degli squilibri del nostro mercato del lavoro e dei problemi che rallentano il sistema di istruzione e formazione specie riferiti al lavoro. Dei limiti di alcune infrastrutture e di una eccessiva chiusura nei rapporti con l’Europa e la dimensione internazionale.
Evidenziare tali limiti e carenze, credo non significhi fare del disfattismo pregiudiziale ma porre, con spirito esigente, alcuni problemi cruciali, osservati dal punto di vista dei giovani, che risultano coloro sui quali ricadono le maggiori conseguenze negative di tale stato di cose.
Ma questa è la politica locale e larga parte della sua classe dirigente che, anche in tale occasione, non riesce a smentirsi. Tuttavia, anche questo episodio si è dimostrato un test significativo sulla reale condizione della politica veronese, che induce tutti a riflettere, credo compreso lo stesso vescovo.
Luigi Viviani

Luigi Viviani negli anni Ottanta è stato membro della segreteria generale della CISL, durante la segreteria di Pierre Carniti. Dopo aver fondato nel 1993 il movimento dei Cristiano Sociali insieme a Ermanno Gorrieri, Pierre Carniti ed altri esponenti politici, diviene senatore della Repubblica per due legislature. Nel corso della legislatura 1996-2001 è stato sottosegretario al Lavoro con il ministro Cesare Salvi; nella successiva, vicepresidente del gruppo dei Democratici di Sinistra al Senato. viviani.luigi@gmail.com

Giorgio Montolli
25/05/2023 at 11:25
Quello del vescovo Domenico è un discorso semplice e denso di significati. Parte dal salmo 127 della Bibbia ma esprime valori comuni alla tradizione spirituale universale. È quindi un messaggio che potremmo definire ecumenico, e sta qui la sua forza. Il fatto poi di essere coinciso, senza sfronzoli, aumenta la sua efficacia perché tutti possono capire, basta volerlo.
Come infatti dice il senatore Viviani, si può ascoltare senza sentire ed è quello che ripetutamente accade quando dal coro ancora fuoriesce qualche voce dissonante, subito marginalizzata.
La responsabilità è però anche della Chiesa, che manifesta una difficoltà nell’essere profeta ai nostri tempi, così mutati rispetto al passato, così difficili ma anche interessanti per chi è disposto a nuove sfide.
Le religioni, come altre realtà spirituali che esplorano oltre il sensibile, vivono se riescono ad esprimersi nella contemporaneità e questo richiede il coraggio di reinventarsi nei contenuti e nei linguaggi, cercando nuovi interpreti e senza perdere di vista la fonte. g.m.