La presidente del Consiglio riunisce i suoi ministri il primo maggio, per lavorare nel giorno della festa del lavoro, come prima di lei volle solo il suo collega Benito Mussolini.
I metalmeccanici del sindacato Fiom giocano d’anticipo e celebrano, ma in modo antifascista, il Natale di Roma, istituito dal fascismo nel 1924, proprio per sostituirla nel calendario delle festività civili al primo maggio: giornata irrimediabilmente socialista e popolare agli occhi del nascente regime.
Beh, anticipazione davvero, perché l’iniziativa veronese della Fiom (Federazione impiegati operai metallurgici della Cgil) si è svolta il 20 aprile scorso: un giorno prima di quello in cui Mussolini rievocava la mitica fondazione di Roma.
Dopo una mattinata di assemblea per i delegati sindacali Fiom nelle fabbriche, il sindacato ha chiesto all’Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea di accompagnare i suoi iscritti nel pomeriggio in una camminata per le vie di Verona, sui luoghi che cent’anni fa videro la nascita del fascismo. E dell’antifascismo.
C’erano una quarantina di sindacalisti. A far loro da guida, per l’Istituto storico, chi scrive e il giovane ricercatore Dinu Besleu, moldavo di nascita: segno dei tempi, come al convegno Fiom la relazione di Ray, sindacalista italiano di origine indiana.
È stato anche un modo per Verona di restituire la cortesia a Maurizio Landini, segretario generale della Cgil dopo anni proprio alla guida della Fiom: Landini era stato l’oratore ufficiale l’anno scorso all’annuale cerimonia per l’assalto agli Scalzi. Ogni 17 luglio si ricorda quell’impresa, la più celebre della Resistenza veronese, in cui venne liberato dalla prigione fascista il sindacalista Giovanni Roveda, ultimo segretario della Fiom prima che il fascismo sopprimesse anche la libertà sindacale.
C’era stata l’irruzione dei neofascisti alla Cgil di Roma il 9 ottobre 2021, Landini ricordò agli Scalzi che cent’anni fa il fascismo iniziò le sue violenze proprio con gli assalti alle sedi sindacali.
Via Chiavica, a due passi dalle Arche Scaligere, è stata una delle prime tappe nella camminata storica del 20 aprile con la Fiom, davanti a quella che fino al 1922 era stata la Camera del lavoro. I fascisti la occuparono dopo il fallimento dello sciopero generale nell’agosto di quell’anno fatidico.
Centouno anni dopo, del prossimo sciopero generale («compagni, prepariamoci») si era parlato nella mattinata del convegno Fiom: se la storia può insegnare qualcosa, fu proprio il fallimento dello sciopero generale nell’agosto 1922 che convinse Mussolini a tentare l’attacco finale nell’ottobre successivo, con la marcia su Roma.
Lo sciopero generale, protesta per richiedere un ritorno alla legalità contro il dilagare delle violenze fasciste, doveva essere a sorpresa, con l’obiettivo di lasciare l’Italia paralizzata. Ovviamente il segreto non ci fu, così i fascisti poterono organizzare i crumiri per sostituire gli scioperanti nei posti di lavoro.
Conseguenze devastanti a sinistra per il flop dello “sciopero legalitario” . A Verona il Partito socialista, di obbedienza massimalista (obiettivo di massima: la rivoluzione) ritirò i suoi assessori dalla giunta comunale del sindaco Albano Pontedera, socialista che seguiva invece la linea riformista di Filippo Turati e Giacomo Matteotti.
Questi padri nobili del movimento avevano fondato il Partito socialista unitario, dopo l’altra scissione del convegno che a Livorno aveva visto la nascita del Partito comunista d’Italia.

La cronaca sul “Corriere del Mattino”, diretto da Uberti, dell’Assemblea antifascista del 6 aprile 1925 a un anno dal delitto Matteotti: tra i partecipanti la FIOM
Così il 28 ottobre 1922, mentre duemila camicie nere calavano in armi su Verona, il Corriere del Mattino, ultimo giornale libero in città, doveva annunciare la caduta della giunta socialista di Verona. Suicidio per divisioni interne dell’opposizione democratica, mentre la destra eversiva, per quanto minoranza, dilaga. Dice niente?
La camminata antifascista del 20 aprile è finita in piazzetta San Pietro Incarnario, proprio dove aveva sede il Corriere del Mattino diretto da Giovanni Uberti, deputato del Partito popolare italiano, PPI: il giornale fu occupato dalle camicie nere, che lo fecero uscire come loro bollettino di vittoria.

Giovanni Uberti (1888-1963) in una foto scattata probabilmente all’Assemblea antifascista a Verona il 6 aprile 1925: all’occhiello la medaglietta da parlamentare, nel taschino la penna da giornalista
Il giornale fu poi restituito a Uberti e ai popolari. Una concessione di Mussolini neopremier: blandire le opposizioni più malleabili, prima di stroncarle. Dice niente?
Ma dopo l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti nel 1924 ogni equivoco cade, ed è proprio al Partito popolare, con sede vicina al suo Corriere del Mattino, che un anno dopo si riuniscono le opposizioni democratiche veronesi.
All’assemblea c’era anche la Fiom. Sembravano possibili nuove elezioni, il fascismo era in crisi. Invece nel 1926 Mussolini instaura la dittatura con le “leggi fascistissime”: partiti sciolti, deputati destituiti, Uberti compreso che finisce al confino.
La rievocazione è finita, siamo con i delegati Fiom a San Pietro Incarnario: ex salone del PPI e redazione-tipografia del giornale non esistono più, distrutti dai bombardamenti nell’ultima guerra, non c’è niente da vedere.
Ma invece passa un distinto signore che non passa inosservato: assomiglia perfino nella barba a un protagonista del 28 ottobre 1922 appena visto nelle foto d’epoca, un ufficiale che difendeva la prefettura e fece sparare contro gli assalitori fascisti (uno squadrista morto), il maggiore d’artiglieria Teodoro Guarienti.
Infatti il passante è suo nipote, Guariente Guarienti, l’avvocato più famoso di Verona. «Papà e gli zii», racconta, «i figli del maggiore mio nonno, dovevano andare a scuola scortati dai carabinieri, per paura di rappresaglie fasciste». La prima tappa del 20 aprile storico era stata sul luogo della sparatoria, angolo corso Sant’Anastasia–vicolo Cavalletto, l’ultima tappa con il nipote di un protagonista, sul luogo dove la Fiom c’era nel 1925 ed è voluta tornare cent’anni dopo. Dirà qualcosa.
Giuseppe Anti

Ii pieghevole stampato dall’Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea per illustrare il percorso svolto con la FIOM: in copertina la cornice della lapide, rimossa, che ricordava il “Fascio terzogenito” sul palazzo Orti-Manara, Corso Porta Palio, 31

Giuseppe Anti è nato a Verona il 28 agosto 1955. Giornalista, si è occupato di editoria per ragazzi e storia contemporanea; ha curato fino al giugno 2015 gli inserti "Volti veronesi" e le pagine culturali del giornale L'Arena. giuseppe.anti@libero.it
