Oggi è il 25 aprile, il giorno della Liberazione. E ne abbiamo riparlato con la Gianna, mia mamma.
I suoi racconti dei bombardamenti, avvenuti quindici anni prima della mia nascita, devono aver turbato il mio sonno di bambina dei pur prosperi e pacifici anni ’60, tanto che ricordo nitidamente incubi ripetuti dove scambiavo il rumore delle ruote dei camion sui tombini di Viale Venezia per esplosioni.

Gianna (in basso)
Per fortuna tanta gente allora riuscì a scappare lontano dall’incubo di quella realtà, diventando parte dei tanti “sfollati”: profughi in fondo, seppur di pochi chilometri. Così è successo anche a mia mamma. Le sorelle Angelina, Rosetta e Amelia erano già sposate e abitavano tutte fuori Parona, mentre il Moretto era in servizio nell’aereonautica militare. Lei, la perenne “butina” della famiglia, viveva coi genitori e Maria al centro del paese, perciò dopo il bombardamento del 25 luglio 1944 arrivò un carretto coi buoi per portarli via insieme a quel poco che si poteva caricare. Una famiglia vicina di casa di uno zio aveva offerto loro una stanza della sua casa, a Santa Maria di Negrar.
A Santa Maria stettero bene, in mezzo a quattro famiglie contadine non mancava mai da mangiare. Rimasero là nove mesi, fino al 25 aprile del 1945.
Quella notte suo padre, mio nonno Domenico, sentì rompere il perfetto silenzio della campagna dalle campane di Verona, e capì. Quando all’alba suonarono anche le campane vicine, le donne uscirono a dirsi «la guerra è finita!».
Una come me s’immaginava chissà quali festeggiamenti, per un giorno ancora oggi giustamente celebrato. Invece no, nei ricordi di mamma ci furono degli abbracci e qualche sorriso, ma erano sorrisi mesti, quasi tristi. Una famiglia che abitava nella stessa corte aveva perso un figlio in Russia, come si poteva festeggiare? E poi tutti pensarono a chi era ancora lontano… sarebbero davvero tornati?
Dopo un paio di giorni tornò almeno Giacinto, il marito dell’Angelina. Camminava male, si vedeva che gli era successo qualcosa. Stava passando dalle montagne, in Trentino, perchè non si poteva passare dalle strade normali, c’erano i tedeschi in ritirata. Ma anche lì i tedeschi l’hanno trovato. E l’hanno riempito di botte, gli han rubato tutto quel che aveva addosso e anche la bicicletta. Così, piano piano ha dovuto scendere da Trento a Verona a piedi.
Probabilmente è successo nei dintorni di quella che ora è una bella ciclabile. L’ho percorsa qualche settimana fa con la mia e-bike, ed ero un po’ stanca, all’arrivo. Avresti riso delle mollezze mie e di questi “giovani”, zio Giacinto?
Donatella Miotto