Digitalizzazione a rilento per tre delle principali biblioteche di Verona, la Civica, la Capitolare e il sistema bibliotecario dell’Università, che ha nella Frinzi la sede centrale.
Infatti solo una minima parte dei loro patrimoni è già stato digitalizzato, confermando in pieno le tendenze nazionali e regionali: secondo l’ultima indagine Istat riferita al 2021 (da cui risultano però escluse le biblioteche universitarie) in Veneto soltanto il 17,5% delle biblioteche dichiara di aver avviato un percorso di digitalizzazione. Dato che sale al 21,8% se si considera il panorama nazionale nel suo complesso. Eppure beni potenzialmente digitalizzabili affollano gli scaffali italiani e anche quelli Veronesi.

Alberto Raise
Nella Civica sono custoditi 3500 manoscritti, 1900 incunaboli, 6000 cinquecentine e un numero non conteggiato di secentine e volumi editi tra il Settecento e l’Ottocento. A questa sezione antica, si aggiungono una serie di giornali storici (L’Arena, Il Gazzettino, Verona Fedele, Il Corriere del mattino), un centinaio di testate minori (L’Audacia, Il Lavoro, Can de la Scala tra i titoli veronesi), raccolte ottocentesche e primo novecentesche di quotidiani nazionali e altri documenti, tra cui carteggi, autografi ed edizioni speciali.
Un’abbondanza che, perlopiù, è priva di un alter ego virtuale: oltre a qualche singola digitalizzazione estemporanea, il principale progetto realizzato dalla Civica, come specifica il neo dirigente volontario Alberto Raise, è la conversione digitale dei primi 100 anni del quotidiano L’Arena, dal primo numero (12 ottobre 1866) al 1969, in formato fotografia.
Se le sorti delle copie restanti rimangono un mistero, appaiono più nitidi altri orizzonti, rischiarati dal possibile accesso ai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR): «L’obiettivo è digitalizzare il nostro patrimonio di manoscritti e cinquecentine con le risorse del PNRR provenienti dalla Regione. A livello operativo invece – spiega Raise – c’è già una collaborazione con l’Università di Verona, che implica interessanti operazioni digitali sul nostro manoscritto miniato della Preghiera alla Vergine. Seguiranno aggiornamenti».

Daniela Brunelli
Spostando il focus proprio sull’Ateneo veronese, emerge una maggiore staticità. Su un patrimonio di oltre 600.000 volumi moderni e quasi 4000 antichi (115 del XVI secolo, 219 del XVII, 540 del XVIII e 3014 del XIX), «non sono in corso progetti di digitalizzazione». Ad affermarlo è Daniela Brunelli, coordinatrice del sistema bibliotecario dell’Università, che rimanda però a diverse esperienze digitali già intraprese dalla stessa.
Tra queste, le sue 14 riviste online, il ciclo di romanzi cinquecentesco di Amadis di Gaula, digitalizzato dal progetto Mambrino assieme alla Civica, il Codice digitale degli archivi veronesi curato dallo storico Andrea Brugnoli, la piattaforma Skenè. Texts and Studies, che mette a disposizione edizioni annotate di testi drammaturgici e il Laboratorio di Studi Medievali e Danteschi (LaMeDan), specializzato nello studio e la digitalizzazione di beni librari e documentari.
Meno frammentato lo scenario sul fronte della Capitolare, ma sicuramente ambizioso: l’obiettivo, che compare nel Piano strategico 2022 – 2026, è quello di creare una digital library in cui far confluire, nell’arco degli anni, tutto il patrimonio della biblioteca (o almeno tutte le sue unicità). Ovvero: 100 mila volumi tra moderni e antichi, 1280 manoscritti, 12 mila pergamene medievali, 125 metri lineari di documenti d’archivio e 800 oggetti artistici.

Timoty Leonardi
«Per il momento siamo riusciti a digitalizzare soltanto gli 800 beni del nostro museo canonicale, – ammette Timoty Leonardi, project manager della Capitolare – ma il progetto di conversione digitale del restante patrimonio è già stato formulato. Dobbiamo solo capire come muoverci e trovare i finanziamenti necessari, anche perché non siamo in corsa per i fondi del PNRR».
Del resto, digitalizzare è un processo articolato, che può risultare anche piuttosto costoso. Innanzitutto perché le linee guida per la digitalizzazione del patrimonio culturale, redatte dal ministero della Cultura, richiedono l’impiego di numerosi professionisti (restauratori, addetti alla logistica, responsabili e operatori tecnici, catalogatori e informatici), di cui spesso gli enti conservatori non dispongono indoor.
E poi dipende dal tipo di bene a cui si intende concedere una seconda vita virtuale: «Digitalizzare manoscritti e opere antiche richiede sforzi economici maggiori rispetto a un giornale» spiega Giacomo Marchioro, esperto in diagnostica e digitalizzazione di opere d’arte dell’Università di Verona.
La soluzione dunque, oltre a disporre di fondi in quantità, è gestirli in maniera sapiente. A esplicarlo è lo stesso Leonardi dalla Capitolare: «Non serve agire su tutti i volumi: la precedenza va ai pezzi unici e in uno stato di conservazione tale da consentire una digitalizzazione. Si tratta infatti di un processo invasivo e a volte restaurare costa più che digitalizzare».
Gregorio Maroso

Gregorio Maroso è laureato in Filosofia, Editoria e giornalismo all'Università di Verona. Da sempre si interroga sulla vita e spera che indagare e raccontare i suoi aspetti nascosti possa fornirgli le risposte che cerca. gregoriomaroso@gmail.com
