Il monte Baldo insegna la carità di patria. L’ultima volta è stata salendo in bicicletta sulla strada Graziani. Dopo Spiazzi, il curvone a destra all’uscita dal bosco apre la vista sulla montagna. Lì ritrovo i ciclisti esteri che mi avevano superato di slancio, più giovani e forti. Non che siano stanchi: è che l’improvviso paesaggio toglie loro lo slancio e restituisce al ciclismo la sua parte umana oltre che animale. Alla lettera, panorama mozzafiato.
Rimonto il gruppo e un ragazzo mi sorride: «Meraviglioso! È parco nazionale, vero?» Annuisco e faccio forza sui pedali per allontanarmi dalle domande. Perché ho mentito, per carità di patria. Dovrei dire che non solo il Baldo – Hortus Italiae (Giovan Battista Olivi, 1584), “paterno monte” (Giosuè Carducci, 1881) – parco nazionale non è, né parco regionale come almeno è la Lessinia. Ma che i Comuni baldensi del Veronese nemmeno si mettono d’accordo per una petizione comune all’Unesco, perché l’organizzazione culturale delle Nazioni Unite lo proclami patrimonio dell’umanità. Via, pedalare.
Eppure «quasi possiamo parlare del monte Baldo come un mondo, totalità, nel senso che rappresenta non tanto una fetta di mondo, quanto un modo di essere del mondo». Questo l’ha scritto Eugenio Turri (1927-2005) nel 1973 per il suo libro Il monte Baldo, riedito da Cierre nel 1993 e che ora la casa editrice veronese riporta nelle librerie con un’edizione dalla grafica rinnovata e con un inserto fotografico inedito.
Il monte Baldo (il mondo), come appunto Turri intitola il primo capitolo, perché questo «classico della letteratura geografica» narra «”la montagna dei veronesi”, ma non solo; il Baldo è molto di più. Un vero e proprio museo vivente», e qui a parlare è Lucia Turri, figlia dell’autore e curatrice di quest’ultima riedizione, «dove si possono comprendere i complessi meccanismi dei fenomeni naturali, dai tempi lunghi della storia geologica ai ritmi delle stagioni. Uno studio completo del Baldo, considerato come un unico sistema territoriale, offrendo anche una riflessione approfondita sui problemi».
Ecco, i problemi. «Turri ne soffriva», dice la figlia Lucia. Partecipava alle riunioni di chi proponeva il parco nazionale, come l’amico e cofondatore del Wwf Italia Averardo Amadio (1921-2020). Poi tornava a casa arrabbiato per gli ostacoli creati dagli amministratori locali, più attenti ai voti dei cacciatori e dei cementificatori che alla difesa del paesaggio. «Non andarci più, che ti ammali, gli diceva mia mamma», ricorda la figlia.
Una volta almeno, già malato, Eugenio Turri per il Baldo l’abbiamo fatto sorridere. Un superiore consesso geografico aveva stabilito di riformare la suddivisione delle Alpi. Basta “Ma con gran pena le reca giù”, come ci insegnavano alle elementari. Ricordate? Marittime, Cozie, Graie… Arriva invece la SOIUSA, già sovietica nella sigla, che sta per Suddivisione ortografica internazionale unificata del sistema alpino.

Eugenio Turri (foto Archivio Eugenio Turri)
Il Baldo, orrore, vi è compreso nelle Prealpi Bresciane. Non è il primo scippo nella storia, perché «già Flavio Biondo nella sua Italia Illustrata (1558) fa rientrare il monte Baldo nella Marca Trevigiana», insegna Turri. Ma io voglio titolare I bresciani ci rubano il Baldo. Turri capisce e abbozza: «Dal punto di vista culturale e della geografia umana il Baldo è indubbiamente veronese». Così la mia pagina di giornale è fatta e lo studioso ci concede anche la sua ultima fotografia, sofferente ma con un sorriso sornione di fronte al suo, nostro Baldo.
Giuseppe Anti

Giuseppe Anti è nato a Verona il 28 agosto 1955. Giornalista, si è occupato di editoria per ragazzi e storia contemporanea; ha curato fino al giugno 2015 gli inserti "Volti veronesi" e le pagine culturali del giornale L'Arena. giuseppe.anti@libero.it

Michelangelo
22/02/2023 at 11:39
Meraviglioso! Sembra di immergersi ne “La leggenda dei monti naviganti” di Paolo Rumiz, mi sono rispecchiato in questo mondo.
Michelangelo.