Connect with us

Hi, what are you looking for?

Cultura

Il socialista Bonato e l’ultima uscita di Angelo Pangrazio

La conferenza su un eroe popolare da riscoprire fu presentata dal giornalista scomparso a Natale. Ricordiamoli insieme

Il giornalista Angelo Pangrazio
Il giornalista Angelo Pangrazio

Il socialista Primo Bonato

Primo Bonato

Primo e ultimo: ogni volta che si fa un gesto importante bisognerebbe farlo come se fosse il primo, l’ultimo, l’unico; ci insegnavano così, a catechismo, per la confessione. Mentre andavo a Villa Bartolomea, per sentire una conferenza su Primo Bonato (Spinimbecco di Villa Bartolomea 1879 – Cadidavid di Verona 1920), deputato socialista di cent’anni fa, non sapevo che c’era, come moderatore, il collega e amico Angelo Pangrazio.

Avevamo lavorato assieme alla redazione Provincia dell’Arena. «Anche tu qui? Ciao!» e via. Era l’ultimo incontro: venti giorni dopo, Angelo Pangrazio è morto, il giorno di Natale.

Quella sera a Villa Bartolomea non ho parlato, scrivo adesso in memoria del collega scomparso quello che avrei voluto dire allora. Tacqui perché, dopo la relazione di Plinio Pancirolli, intervistato da Pangrazio, c’erano già tante persone del pubblico a intervenire. Compaesani e perfino pronipoti del vecchio deputato socialista, «figlio di pescatori nell’Adige e nei fossi della Bassa», ha spiegato Pancirolli, «analfabeta che aveva imparato a leggere sui volantini di propaganda socialista, e da quella scuola nel partito era arrivato a diventare sindacalista dei contadini nella Federterra, segretario della Camera del lavoro a Verona, deputato socialista al Parlamento nel 1919».

Pancirolli ha dedicato anni di ricerca per far riemergere dall’oblio il deputato pescatore. Io ho incontrato Primo Bonato perché ho scritto la storia del suo avversario politico: Giovanni Uberti (1888-1964). Sindacalista dei contadini anche Uberti, ma per le Leghe bianche, concorrenti alle Leghe rosse dominanti nella pianura veronese.

Nel 1919, alle prime elezioni del dopoguerra, e per la prima volta con il suffragio universale (solo maschile, ma per tutti, senza più esclusioni per i non abbienti) il socialista Bonato e il popolare (democristiano) Uberti si contendono il seggio. Uberti deve parlare in piazza a Trevenzuolo, ma si presenta Primo Bonato, che chiede il contraddittorio. Gli è concesso: gli oratori parleranno mezz’ora a testa. Comincia Uberti, ma prima che abbia il tempo di finire comincia in piazza un «vivo pugilato nel quale i nostri organizzati si serrano intorno all’oratore», cronaca del Corriere del Mattino, giornale diretto da Uberti.

Il giornalista-sindacalista-candidato si becca una sassata in fronte; riporta un’«emorragia curata alla farmacia», mentre i carabinieri disperdono la folla. Uberti è a casa, lo dice il suo giornale, perché la botta in testa qualche postumo glielo lascia, e il Corriere del Mattino se ne esce con un commento sbagliato fin nel titolo: Vm vi repellere. Volevano dire Vim vi repellere, respingere la forza con la forza.

Advertisement. Scroll to continue reading.

È un fervorino indicativo dei tempi: «Bisogna che i nostri avversari si convincano che anche noi sappiamo pestare, picchiare, egregiamente se il caso lo richieda […] che anche noi, oltre alla coscienza della buona causa, abbiamo giovani dai muscoli saldi e dalle braccia robuste». Questo su un giornale cattolico… Penseranno di lì a poco i fascisti, con picchiatori ben più determinati, a stroncare con la forza sia socialisti che popolari.

A correggere il tiro, deprecando ogni violenza, comunque provvede presto Uberti, tornato al giornale: è stato nel frattempo intervistato dal Resto del Carlino, quotidiano bolognese, e l’articolo ripubblicato sul Corriere del Mattino sottolinea quindi la sua versione già divulgata fuori Verona e fuori dal partito. Uberti è presentato «con la testa fasciata […] instancabile […] incline alle lotte del suo partito contro gli avversari di qualunque colore essi siano, coi moderati, ex alleati, e con i socialisti.

È un combattente, contro tutti, convinto della bontà di una lotta a base socialista, ma cattolica; fu dissidente dai clericali “vecchio stampo”». Infine, nelle dichiarazioni virgolettate di Uberti, ecco proclamata la sua «ripugnanza a usare i metodi della violenza predicata dai socialisti», che suona a rettifica della precedente replica bellicosa uscita sul giornale. Invece di una controrivoluzione, è sempre Uberti intervistato a parlare, il Partito popolare «col suo programma di evoluzione verso le più alte forme di libertà e giustizia sociale mira invece a impedire questa rivoluzione – nel suo comune significato – sostituendovi una serie di riforme».

Ma non è tempo di riformismo per l’Italia. Uberti non viene eletto, Bonato sì, in una pattuglia di quattro socialisti che confermano Verona tra le province rosse: anche in Comune viene eletta una giunta socialista, sindaco Albano Pontedera. Ma già nel 1920 degli scioperi operai e contadini, la controrivoluzione deprecata da Uberti la fanno i fascisti.

Il 4 novembre, giorno che ricorda la fine della guerra (la “Festa della Vittoria” sarà istituita più avanti, nel 1922, da Mussolini), i fascisti assaltano il municipio di Verona. Su Palazzo Barbieri, dopo la vittoria socialista alle elezioni comunali di ottobre, sventola la bandiera rossa. «Cencio insultatore», l’aveva chiamato l’Arena.

Italo Bresciani, alla guida dei fascisti, si incarica di cancellare l’insulto a mano armata: mentre le camicie nere assaltano il municipio resta «colpito alla coscia da una pallottola di rimbalzo», come scrive il Corriere del Mattino, ma capita di peggio a Policarpo Scarabello, deputato socialista.

Advertisement. Scroll to continue reading.

Scarabello presidia palazzo Barbieri con i compagni, è ucciso dallo scoppio di una bomba a mano modello Sipe, come quella che aveva mostrato ai tramvieri crumiri e poi “in discussione” con l’industriale Attilio Rossi durante gli scioperi. Episodi già raccontati dai giornali, a creare il mito dell’“onorevole bomba”. Un altro difensore del municipio, Marino Passarini, morì in seguito per le ferite riportate nell’esplosione.

Di Scarabello il giornale popolare scrive che «una Sipe scoppiò squarciandogli orribilmente la mano e la coscia destra […] mentre succedeva l’invasione dei fascisti al piano terra».

Due giorni di sciopero generale, imponente funerale con corredo di scontri, forse l’ultima volta in cui la “Verona del popolo” riconosce la sua forza. Al ritorno dal cimitero, dei 15.000 partecipanti al funerale, circa duemila, dietro una bandiera nera dell’anarchia, spaccano vetrine in piazza Vittorio Emanuele (ora piazza Bra) e tentano di dirigersi verso la redazione del giornale Arena, respinti dalla polizia.

C’è una sparatoria in via Nuova (ora Mazzini), dove i fascisti si rifiutano di ritirare un tricolore dalla finestra, tre feriti. Per i fascisti è l’inizio della scalata al potere, come scrive nelle sue memorie il loro capo veronese Luigi Grancelli: dai pochi che erano, dopo il 4 novembre 1920 «diventammo rapidamente sei-settecento».

La fine del 1920 vede tre funerali di massa in un mese. Dopo Scarabello, infatti, muoiono Passarini, il giovane militante ferito nell’esplosione in municipio, e Bonato, il deputato socialista. Il sindacalista della Federterra cade in moto a Cadidavid, primo paese a sud della città, il 17 novembre, mentre da Verona torna a Isola della Scala, pendolare del socialismo.

Uberti fa la stessa vita in motocicletta, sempre in giro da un comizio a una riunione sindacale, ma viaggia sdraiato nel sidecar. Ha fatto acquistare al Partito popolare la moto con l’autista: saggio investimento.

Advertisement. Scroll to continue reading.

I funerali dell’on. Bonato: già nel titolo la cronaca sul Corriere del Mattino conferma l’onorabilità del defunto e segnala il dovuto rispetto allo scomparso. Se «i funerali di Scarabello vollero essere una specie di protesta e di reazione contro l’elemento fascista, una affermazione di partito, e degenerarono in chiassate contro i tricolori», scrive il quotidiano di Uberti, «questi per concorso e contegno di popolo e di cittadini riuscirono una grande manifestazione di pietà».

Funerali civili, anzi, «cerimonia pagana», nel linguaggio del giornale cattolico, che vira verso toni oltranzisti; non c’è la predica del prete, ma i deputati socialisti superstiti Todeschini e Baglioni come oratori. Bonato, però, è almeno sepolto in camposanto e non cremato, e poi ha «una bambina di 14 anni attualmente in collegio dalle madri Canossiane».

L’intesa tra cattolici e socialisti, che solo avrebbe potuto fermare il fascismo, riesce a Verona solo in questo caso, in articulo mortis. Purtroppo non sarà più così, agli imminenti funerali della democrazia parlamentare, da lì a pochi anni.

Il rapido susseguirsi delle due tragiche scomparse, Scarabello e Bonato, fanno scrivere a Verona del popolo, periodico socialista: «un tragico destino ci perseguita». I compagni di lotta e i parenti non vogliono credere per la morte di Bonato a Cadidavid all’incidente casuale, dalle conseguenze aggravate per soccorsi improvvisati, cure approssimative del medico che si è trovato in paese, tardivo ricovero.

Così inizia il racconto di «una corda tesa attraverso la strada», che compare in un solo articolo della stampa socialista e poi sparisce dalle cronache. Da quelle dell’Arena e dell’Adige si può capire, ma la stampa d’opposizione, che ancora c’era, con un minimo di indizi ne avrebbe scritto ancora. Ma tanto basta a far entrare Primo Bonato nella leggenda, e ancora nella sua Villa Bartolomea Plinio Pancirolli e Angelo Pagrazio lo hanno ricordato come caduto per la libertà e il riscatto del popolo, e questo è vero indubbiamente, agguato o scivolone che fosse, a Cadidavid.

Un anno dopo la morte di Primo Bonato, il congresso socialista di Livorno vide nascere il Partito Comunista d’Italia: chissà se il deputato sindacalista della Bassa sarebbe passato con i rivoluzionari obbedienti a Mosca o sarebbe rimasto socialista con i compagni della corrente massimalista.

Advertisement. Scroll to continue reading.

Una storia di scissioni, quella della sinistra italiana, di cui Angelo Pangrazio ha vissuto le ultime tappe.

Con il Partito democratico sembrarono finalmente unite in Italia le anime dei partiti di massa che con i Bonato e gli Uberti avevano battagliato, lasciando vincere il fascismo. «Io lo dicevo da tanto che il Pci doveva cambiare», sentii dire ad Angelo Pangrazio in redazione, ancora quando il suo partito cambiò nome in Pds.

L’ultimo suo libro è stato sul ritorno dei lupi, l’ultima sua apparizione pubblica nel ricordo di Primo Bonato: è stato un onore e un privilegio, Angelo.

Giuseppe Anti

Advertisement. Scroll to continue reading.
Written By

Giuseppe Anti è nato a Verona il 28 agosto 1955. Giornalista, si è occupato di editoria per ragazzi e storia contemporanea; ha curato fino al giugno 2015 gli inserti "Volti veronesi" e le pagine culturali del giornale L'Arena. giuseppe.anti@libero.it

Click to comment

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Banner-Studio-editoriale-Giorgio-Montolli

Advertisement

MEMORY BOOKS

Scarica gratis

COSA SONO I MEMORY BOOKS?
Approfondimenti su tematiche veronesi.
A COSA SERVONO?
Offrono una visione diversa di città.
QUANTO TEMPO PER LEGGERLI?
15 minuti.
PERCHÉ SCARICARLI?
Sono rari.
QUANTO COSTANO?
Nulla.

Advertisement
Advertisement

Altri articoli

Flash

Il 10 febbraio alle 9.15 il sindaco Damiano Tommasi, nell’Auditorium del Palazzo della Gran Guardia, darà il via alle iniziative ufficiali, che proseguiranno alle...

Interviste

INTERVISTA inedita al fondatore e presidente emerito dell'Istituto veronese per la storia della Resistenza: «Ho ricevuto minacce, che tristezza. Resta tanto da scrivere, ma...

Cultura

Affondò la corazzata britannica, di cui resterebbe l'ancora in Pradaval a Verona. Lo ritrasse John Phillips, autore anche di un reportage sul manicomio di...

Cultura

Il monumento vegetale della città, colpevolmente distrutto, riappare alla Biblioteca Civica in fotografie e in un articolo di Berto Barbarani