RECENSIONE – Il 12 febbraio è andata in scena al Teatro Filarmonico di Verona la prima rappresentazione di Aida, di Giuseppe Verdi, nell’allestimento ideato dal regista fiorentino per il Teatro di Busseto nel 2001, in occasione del primo centenario della morte del compositore.
Aida e Franco Zeffirelli, un’opera e un artista legati a doppio filo alla città di Verona. L’opera, come si sa, è la regina delle rappresentazioni areniane, inaugurate nel lontano 1913 proprio con questo titolo e da allora immancabile nel cartellone del festival lirico estivo.
Quanto al Maestro, è noto l’amore per l’anfiteatro cittadino e il suo festival, per il quale ha firmato vari allestimenti, ultimo dei quali La Traviata del 2019, andata in scena solo pochi giorni dopo la sua morte.
Aida sarà puntualmente in cartellone anche nell’estate 2023, dove non poteva certo mancare per il 100° anniversario del festival. Perciò incuriosisce la scelta di rappresentare proprio quest’opera, a soli pochi mesi dall’inizio della stagione areniana, nel teatro cittadino, che certo non può ospitare i maestosi allestimenti che si è abituati a vedere.

Franco Zeffirelli in Arena nel 2001 durante le prove del Trovatore (Foto Fainello)
Ma a suggerire il perché di questa scelta per l’omaggio a Zeffirelli sono le sue stesse parole, contenute nella sua autobiografia, dove è raccontata la genesi di quella che lui chiamava la sua “Aidina”: un allestimento ideato per un piccolo teatro, una scelta mirata per valorizzare quella che, inserita in un’opera colossale, è in realtà “una storia molto privata e molto intima”.
Per questi motivi sono anche state tagliate alcune musiche destinate al ballo, con le relative scene affollate, senza peraltro compromettere l’impianto drammaturgico-musicale.
A dirigere la rappresentazione veronese è stato chiamato il maestro Massimiliano Stefanelli, lo stesso che diresse la prima di questo allestimento a Busseto, dopo un lavoro di preparazione in stretta collaborazione con Zeffirelli.
Dunque, anche a Verona si è potuto apprezzare una direzione rispettosa dell’intimità cercata dal regista. Il controllo dei volumi, la pulizia del suono e gli appropriati colori timbrici hanno creato le giuste atmosfere. Fondamentale a tale scopo l’ottima prova dell’orchestra della Fondazione Arena di Verona, che ha reso evidente la sua confidenza con quest’opera.
Ma anche il regista ha dato una mano alla musica e in particolare ai cantanti, con una scenografia, di fatto parapettata e plafonata, a fare da ottima cassa armonica, entro la quale hanno trovato spazio piccole ed efficaci azioni sceniche, fatte di atteggiamenti e giochi di sguardi, che solitamente nelle messinscene più imponenti vanno disperse.
Gli elementi scenici e i bei costumi di Anna Anni rievocano esplicitamente l’Egitto dei faraoni, rappresentato realisticamente, senza stilizzazioni di sorta. Unico neo, la scarsa funzionalità, che come spesso capita negli allestimenti zeffirelliani, costringe a frequenti interruzioni per cambi scena anche relativamente semplici e probabilmente evitabili.

Aida, Teatro FIlarmonico, Verona 2023 (foto Ennevi)
Messi nelle condizioni migliori, si sono ben espressi anche i cantanti. Monica Conesa, nel ruolo del titolo, ha ben sostenuto vocalmente la parte e ben figurato scenicamente, assieme a Ketevan Kemoklidze, interprete di Amneris.
Le due sono state molto convincenti nell’inscenare la rivalità amorosa e nel tratteggiare i propri personaggi: due giovani donne, innamorate e appassionate, capaci di esprimere la femminilità altera della figlia del faraone e quella indomita e repressa della schiava etiope.
Stefano La Colla è stato un Radames vocalmente di spessore e capacità di controllo (vedasi il Sib finale dell’aria d’apertura, sfumato come da indicazione di Verdi), ma con la tendenza a spingere, affrontando con atteggiamento eroico, di per sé intrinseco del personaggio, anche situazioni dove è meno consono.
Passando in chiave di Fa, da sottolineare la prova di Antonio Di Matteo nel ruolo di Ramfis, e Romano Dal Zovo in quello del Re. Grazie a bei timbri di basso, diversi ma entrambi attraenti, e alla giusta postura scenica, i due hanno incarnato efficacemente le figure simbolo del potere religioso e temporale.
Bene anche il baritono Youngjun Park, dalla buona presenza vocale e dal fisico imponente, che ha restituito un Amonasro indomito, minaccioso e determinato.
Apprezzabile il contributo di Riccardo Rados (Messaggero) e Francesca Maionchi (Sacerdotessa), così come i passi di danza della Prima ballerina Eleana Andreoudi.
Importante, infine, il contributo del coro della Fondazione Arena, preparato da Ulisse Trabacchin.
Paolo Corsi

Paolo Corsi è nato a Verona e vive in provincia di Trento. È attore, autore e critico teatrale. Da sempre appassionato d'opera, ha studiato canto e si è esibito come solista e in varie formazioni corali, partecipando come corista ad alcuni allestimenti di opere di Verdi, Rossini e Mozart. www.paolocorsi.it - posta@paolocorsi.it
