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Interviste

Addio a Maurizio Zangarini, storico della Resistenza

INTERVISTA inedita al fondatore e presidente emerito dell’Istituto veronese per la storia della Resistenza: «Ho ricevuto minacce, che tristezza. Resta tanto da scrivere, ma c’è una collana e c’è l’istituto»

Maurizio Zangarini
Maurizio Zangarini

È morto all’età di 72 anni Maurizio Zangarini, storico, fondatore e presidente emerito dell’Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, già docente di storia contemporanea all’Università di Verona.

Ero laureando a Padova, me lo fece conoscere il mio relatore Angelo Ventura, il professore gambizzato dai terroristi rossi. «A Verona vai a parlare con Zangarini, il migliore dei miei laureati». Aveva fatto una tesi sperimentale, studiando le classi sociali della Verona fascista attraverso i necrologi sul giornale L’Arena.

Quella che segue è un’intervista inedita che Zangarini mi concesse a casa sua, in Valdonega, nel 2019: la Cierre edizioni, cooperativa di cui Zangarini era stato tra i primi autori, voleva preparare un libro per i 20 anni d’attività. Il Covid bloccò il progetto. Pubblico ora, senza cambiare il tono di conversazione schietta tra due vecchie conoscenze.

Finché ho lavorato all’Arena, ho resistito agli inviti perché collaborassi all’Istituto veronese: volevo restare libero di criticarlo, ma non ce n’è mai stata occasione. Tra virgolette parla Zangarini, l’interlocutore (e provocatore, tollerato sempre con un sorriso) è chi scrive.

«Mi ero laureato e specializzato in storia contemporanea a Padova con Angelo Ventura che era direttore dell’Istituto regionale per la storia della Resistenza e che mi ha offerto di collaborare con lui. Io gli ho proposto di aprire un istituto a Verona. In un primo momento ha detto di no, poi ha accettato, anche perché in quel momento insegnava all’Università di Verona Maurilio Guasco che era direttore dell’istituto ad Alessandria e Ventura si sentiva più sicuro della linea».

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– La linea: che parola da vecchio movimentista…
«Dài, voglio dire che si doveva fare ricerca storiografica con metodo scientifico e non propaganda».

– Già, molti protagonisti della Resistenza erano vivi e attivi politicamente, con la divisione tra l’Associazione nazionale partigiani (Anpi), vicina ai comunisti, e i Volontari della libertà che se ne erano dissociati…
«All’nizio nell’Istituto veronese c’erano Giovanni Dean, ex partigiano e primo storico della Resistenza veronese – una garanzia, la sua partecipazione –, professori universitari come Giovanni Zalin, Gian Paolo Marchi ed Emilio Franzina, che sarebbe diventato presidente, Anna Lona moglie di Roberto Fasoli, laureata da poco con Franzina in storia contemporanea… Avevo costituito questo comitato di garanti per garantire appunto serietà scientifica».

– Come avete cominciato?
«Da subito nasce la collana storica Cierre con il libro Politica e società a Verona in epoca fascista, miscellanea di studi sul fascismo. Io nel 1982 intanto collaboravo con L’Arena per l’inchiesta Verona nell’epoca fascista, avviata dal caporedattore Jean Pierre Jouvet e uscita in 111 puntate».

– Ci ho lavorato anch’io: Ventura telefonò da Padova per acquistare tutte le copie arretrate del giornale, ma costavano troppo per le casse dell’istituto…
«Almeno, grazie a questa collana storica dell”istituto veronese sono venuti a stampare da Cierre anche colleghi di Treviso e Belluno, ed è arrivata anche la rivista degli istituti regionali per la storia della Resistenza, Venetica (era da Francisci editore). La “nostra” collana è stato lo strumento che ha permesso a Cierre di non essere più solo una casa editrice locale, di avere un ambito almeno regionale».

Resistenza

25 aprile, Festa della Liberazione

– Nel 1992, con la medaglia d’oro al valor militare concessa alla città di Verona per i meriti di guerra nella Resistenza, dalla ricerca storica ti tocca diventare protagonista della cronaca. Ricordo un titolo della Repubblica: Una medaglia spacca Verona e la tua risposta al giornalista che ti chiedeva se la medaglia era meritata: «Sì e no».
«L’istuto non fu coinvolto nella richiesta della medaglia. Eravamo alle primissime armi. Io come fondatore ero in rotta di collisione con l’Anpi: non ne volevo la presenza istituzionale. Dicevo: questo è un istituto di ricerca storica e non di reduci. Diciamo pure che sono stato sconfitto. Poi con Raul Adami alla presidenza dell’Anpi diciamo che abbiamo trovato un accomodamento».

– Ma, insomma, questa medaglia era meritata? Io l’avevo chiesto a Dean, lui diceva di no. E tu?
«Dean diceva di no. Vuoi farmi convinto? Guarda. Mettono nella motivazione tutte le vicende più varie e poi come fatto saliente l’assalto agli Scalzi, che è fatto da veronesi, sì, ma voluto e guidato da fuori. Ci sono stati due caduti, quelli sì medaglie d’oro alla memoria. Non mi pare che l’assalto al carcere sia motivazione di per sè di un riconoscimento alla città. Eppoi il fatto che sia arrivata nel 1992… Fui invitato alla cerimonia per il conferimento della medaglia, ma non partecipai assolutamente alla preparazione della motivazione».

– Chi l’ha scritta?
«Credo che la pratica l’avesse in mano Alberto De Mori».

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– Il professore ed ex assessore comunale dc, nel primo dopoguerra esponente del movimento politico Liberi Lavoratori…
«Lui. Ma nella motivazione hanno poi voluto inserire tante cose…».

– La popolazione di Avesa che svuota la polveriera tedesca, guidata da don Giuseppe Graziani. La prima medaglia d’oro della Resistenza assegnata per i meriti di un cappellano delle Brigate Nere…
«Quello che don Graziani ha fatto ad Avesa è meritorio. Certo resta una figura controversa. Giovanni Cappelletti nel suo libro I cattolici nella Resistenza non lo nomina».

– Confermo: don Cappelletti andò a intervistarlo a Rovereto, dove don Graziani si era ritirato dopo la guerra, e mi disse: “È rimasto fascista”
«Come era fascista Verona, c’è poco da fare. Mussolini decide che il congresso fondativo del Partito Fascista Repubblicano sia qui; qui esce la Carta di Verona, “costituzione” della Repubblica Sociale Italiana. Quel Mussolini che aveva telegrafato il citatissimo elogio: “questa mia un poco, tanto Verona”, fascista fin dalle origini».

– Dopo la medaglia d’oro arrivarono le giunte comunali di centrodestra…
«La sindaca Michela Sironi, Forza Italia. Lo statuto dell’Istituto veronese prevedeva che ci fossero tre rappresentanti del Comune, due della maggioranza e uno della minoranza. Tra quelli della maggioranza lei mette Adimaro Moretti degli Adimari di Allenza Nazionale, ex Msi neofascista. Scoppia il caso nell’assemblea dell’Istituto. Il peso del suo voto era irrilevante, però era un fatto simbolico. Partecipò a una sola assemblea, nella quale si venne, come dire, a a una constatazione amichevole: militare di carriera, avendo lui giurato a suo tempo fedeltà alla Costituzione della Repubblica, nata dalla Resistenza, automaticamente poteva entrare nell’assemblea».

– Vorrei confermare una benemerenza patriottica dello scomparso Adimaro. Quando il sindaco Tosi voleva vendere Palazzo Forti, provocai Adimaro: lì c’è il Cenotafio cittadino, con incisi i nomi di tutti i veronesi caduti per l’Italia. Non vorrà che nel porticato con le lapidi vadano a parcheggiare i condomini?! E Adimaro, sdegnato tuonò contro Tosi.
«Il sindaco Tosi! Nella sua seconda giunta, voleva mettere come rappresentante del Comune nell’Istituto quel neofascista alto e pelato, come si chiama?».

dalla resistenza alla costituzione

– Hai avuto altre grane?
«Andavo a parlare nelle scuole e non facevo discorsi di circostanza. Raccontavo anche della gente sgozzata, dei partigiani che dicevano “noi in montagna ci torniamo, purché non ci sia quel matto di Marozin a guidarci».

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– Giuseppe Marozin, comandante Vero, condannato a morte dal Cln d Vicenza.
«Ho detto tutto quello che pensavo di Marozin. Dino Poli, preside, ha mandato in giro il resoconto. All’Anpi, Raul Adami riceve due lettere, perché riferisca a me. In una c’era scritto: “Attento che c’è Papalia”, il procuratore della Repubblica; nell’altra: “Attento a come parli perché abbiamo ancora le armi”. Mi ha fatto un po’ tristezza, devo dire. Capita di avere delle delusioni. Anche dopo aver sentito Miro Marchi che raccontava una Resistenza tutta comunista e poi vai a intervistare quelli che lui dice comunisti e ti senti dire: “Comunista io? No, ero cattolico”…».

– Come sei arrivato all’Università?
«Non ho avuto la cattedra; sono entrato come ricercatore e sono andato in pensione da professore a contratto. Avevo la cattedra senza essere cattedratico, mai di ruolo. Non ho voluto fare altri concorsi, neppure l’ultimo “concorsone! Nel 2014 per diventare ordinario: non ci ho neanche pensato, ero troppo contento così. Facevo quello che mi piaceva e mi pagavano. Credo che sono stato piuttosto bravo: mi piaceva quando insegnavo e quando seguivo le tesi; ho avuto varie soddisfazioni».

– Torniamo alla storia: perché non hai mai pubblicato la tua tesi basata sui necrologi dell’Arena”?
«Era già passato di moda come meccanismo di indagine storica. Pensa che avevo fatto tutto senza computer. Una schedina per ogni nome, si scriveva tutto a macchina, si tagliava e si invollava: si facevamo fogli lunghi così. Ma si scriveva tanto bene: ci stavi attento a quello che facevi, pensavi subito al risultato».

– Come sono nati invece gli altri libri che hai scritto?
«Il diario dell’oste Valentino Alberti (1796-1834), per cui vengo citato da Giovanni Rapelli come fonte per la storia della lingua, me l’aveva segnalato Federico Bozzini che era vulcanico. “Hai visto quella roba in Biblioteca Civica?” Cinque volumi manoscritti rilegati. Bello: mi sono molto divertito. Viene fuori un’immagine sia popolana che nobile della città, una storia sfaccettata. Sono contento anche per La voce dei partiti, storia delle trasmissioni politiche su Radio Verona dall’ottobre 1945 all’aprile 1946. La radio come fonte storica è usata pochissimo in Italia. Forse in altre province non sono rimasti negli archivi i testi accettati e timbrati dalle autorità per le trasmissioni, quelli che invece ho trovato io a Verona».

– Una bella soddisfazione deve essere stata vedere la tua Storia della Resistenza veronese arrivata alla seconda edizione: se un libro si ristampa, vuol dire che è letto.
«Doveva chiamarsi “Storia politica della Resistenza”, perché volevo scrivere non tanto quello che ha fatto, ma come si era formata la Resistanza. Maurizio Miele della Cierre ha detto che sarebbe stato un titolo che dissuadeva dal leggere: – Lassa star…».

– Però, dico io, ogni storia è una storia, cioè una narrazione: non puoi prescindere dal raccontare i fatti…
«Ho scelto un criterio cronologico. Mi dicono: tu non parli di questo, non dici quello. A me di raccontare la battaglietta di qua, la scaramuccia di là, l’eroe di un paese o dell’altro, non interessava».

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– Ma con un personaggio come Marozin: perché non farne un bel ritratto?
«Ne parlo eccome. Quello che interessa di Marozin è che lui si dica apolitico, apartitico, e che poi finisca con Pertini alla liberazione di Milano».

– Un altro personaggio che meritava un capitolo è Carlo Perucci, già presidente dell’Azione Cattolica veronese, capo della missione militare RYE, sigla in morse per le trasmissioni da Verona occupata al Sud già liberato.
«La Resistenza veronese fu cattolica al 98 per cento, compresa quella che non mi piace per niente della missione RYE, dichiaratasi alternativa al Cln».

– Perché Perucci, sei tu a pubblicare i documenti dell’epoca, temeva che dopo la guerra ai nazifascisti ci sarebbero stati i comunisti da fronteggiare.
«Verissimo. Tutte le diatribe contemporanee, sul fatto che la Resistenza non è solo dei comunisti, lui le aveva anticipate allora. Ma Perucci trae conclusioni pratiche che a me paiono eccessive; in quel contesto di guerra; si comporta in modo da essere controproducente per la Resistenza. Non metto in dubbio la sua volontà di fare la guerra, il suo antifascismo, ma prevale il suo anticomunismo. Comunque, un personaggione, lo ammetto. L’unico che ha il coraggio di andare ad affrontare Marozin: poteva finire come a Porzus, a parti inverse».

– Là i partigiani comunisti hanno ammazzato i cattolici…
«E in Lessinia Perucci poteva ammazzare Marozin!».

– Ripeto: perché non hai dedicato a Perucci un capitolo?
«Lascio parlare le sue carte. Sono scelte personali di scrittura».

– Dopo la guerra Perucci cosa ha fatto? …
«Ha insegnato pedagogia o psicologia alla Cattolica a Brescia. Di lui se ne è ricordato Barbieri, altro uomo della Resistanza cattolica, era molto giovane, affidandogli la presidenza della scuola di servizio sociale che era a Sant’Eufemia. Era molto più legato ai Liberi lavoratori che alla Democrazia cristiana».

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– Nel libro manca la fucilazione dei fascisti veronesi nel maggio 1945.
«Avrebbe aperto un altro capitolo…».

…e la morte di Luciano Dal Cero: fuoco nemico o fuoco amico?
«Raccontare la storia di un comandante di battaglione è quello che non volovo fare. Mi interessa di più raccontare cosa fanno i fratelli Lisetta e Luciano Dal Cero nel 1943, quando da soli si mettono a lavorare con il primo Cln e vengono arrestati e interrogati. Che dopo lui faccia dire le preghiere al suo battaglione non mi interessa. Sì, mi sarebbe interessato scrivere come fu ucciso e perché, ma allora non si finisce più. Potrebbero essere cose da scrivere da altri, visto che c’è una collana e che c’è l’Istituto storico».

– L’ultimo tuo contributo è al libro, edito da Viella, sull’assalto dei partigiani al carcere fascista degli Scalzi, per far evadere il sindacalista della Cgl Giovanni Roveda.
«Documento che a sparare all’evaso Roveda è stato Berto Zamperi, uno dei liberatori. Fuoco amico. Lo ammette Zampieri nel dopoguerra al Tribunale di Venezia. Racconta che è rimasto fuori dal carcere, suo compito era restare alla macchina, non si capisce perché: non sapeva guidare, neanche aveva la patente. Gli altri vanno dentro, esce la signora Roveda e si allontana eppoi esce di corsa davanti a tutti Roveda. Zampieri non lo conosce. Gli ordini ricevuti erano: chiunque venga fuori e non conosci, spara. E lui spara! Quello grida: fermo, sono io… Roveda poi, sull’edizione torinese dell’Unità e anche nella denuncia, accusa per la sua ferita il direttore del carcere, Olas, ma non c’è provvedimento contro Olas perché il giudice istruttore con la denuncia di Roveda aveva anche l’ammissione di Zampieri».

Giuseppe Anti

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Written By

Giuseppe Anti è nato a Verona il 28 agosto 1955. Giornalista, si è occupato di editoria per ragazzi e storia contemporanea; ha curato fino al giugno 2015 gli inserti "Volti veronesi" e le pagine culturali del giornale L'Arena. giuseppe.anti@libero.it

7 Comments

7 Comments

  1. Salvatore Emanuele Passaro

    13/02/2023 at 14:39

    Avrò sempre a cuore il caro prof. Zangarini, del quale conservo diversi confronti epistolari (via email) sulla figura di Marozin e dell’agente dell’Upi Sergio Menin. Diverse volte ci siamo incontrati nella sede dell’Aned di Verona e ci siamo scambiati informazioni e opinioni sulla Resistenza veronese. Grazie a lui sono giunto al carteggio di don Carlo Signorato, cappellano dei forti veronesi. Questa inedita intervista chiarisce molti miei dubbi e interrogativi sul perchè di un così tanto rumoroso silenzio sulla Resistenza umanitaria del prete di Santi Apostoli. Sì, ora capisco perchè a Verona ci sono figure storiche ancora non pervenute, silenziate, eclissate…La storia però, come ha insegnato benissimo il caro Zangarni, la fanno i documenti e, piaccia o meno, fanno la differenza.
    Grazie professore, io non la dimenticherò per il suo garbo, la sua disponibilità, la sua onestà intellettuale scevra da ogni speculazione di parte.
    S.E.P.

  2. Marcello Toffalini

    06/02/2023 at 07:36

    Un sincero grazie a Zangarini, come uomo e come studioso della Resistenza. Di lui ricorderò volentieri che la Resistenza al fascismo a Verona fu ad opera di pochi ribelli (pochi in confronto alla massa dei cittadini), prevalentemente cattolici, in un ambiente sociale decisamente fascista e prone alla guerra di conquista. E non tanto o non solo per le parole di Mussolini «“questa mia un poco, tanto Verona”, fascista fin dalle origini»: il contesto sociale era chiaramente dirimente ed illiberale nel ventennio, un contesto di diffusa ignoranza culturale e, anche dopo la guerra, restio alla condanna degli eventi fascisti se non a parole. Maurizio si rese conto che l’opposizione al fascismo non fu di massa ma di singoli o di pochi gruppetti, tanto da indurre la stessa sindaca Michela Sironi, a 50 anni dal conflitto, ad accettare tra le 3 figure di rappresentanza del Comune, in seno all’assemblea dell’Istituto della Resistenza, una figura destrorsa di tendenze paramilitari, come Adimaro Moretti degli Adimari (Alleanza Nazionale, ex Msi). Un altro grazie anche a Giuseppe Anti per la scelta di pubblicare l’inedita intervista.

  3. Maurizio Danzi

    05/02/2023 at 13:32

    Con Mauri ci siamo visti intorno all’8 settembre.
    Per lo storico l’8 settembre era l’8 settembre; per me l’8 settembre era il mio compleanno. Ironizzavamo su chi dovesse pagare gli spritz Campari: per lui con il limone, per me arancio. La decisione la prese lui: sei mio ospite.
    Stavamo impostando il calendario per il secondo anno della Scuola di formazione politica che ha trovato ospitalità presso il Movimento Federalista Europeo grazie alla cortesia di Giorgio Anselmi.
    Provo un dolore profondo.
    A Anna e Francesca le più sentite condoglianze.

  4. Cristina Stevanoni

    05/02/2023 at 12:08

    Desidero precisare meglio il mio pensiero, e proprio perché siamo in presenza di un’intervista postuma: Maurizio Zangarini mi sembra che riveli qui, sia pure attraverso il carattere desultorio dell’oralità, la sua indole di storico, che rivendichi il diritto dovere di attenersi ai fatti, ai fatti documentati. Il resto, si capisce che per lui è cicaleccio, o tempo sprecato.

    • Redazione2

      05/02/2023 at 13:09

      Grazie Cristina, ha colpito anche a me questo aspetto dell’intervista, l’essere al di sopra delle parti, quell’onestà intellettuale che ha molto a che fare con la libertà (g.m.).

  5. Marco Squarzoni

    04/02/2023 at 21:44

    Grazie per questo ricordo di Maurizio Zangarini, ci mancherà.

  6. Cristina Stevanoni

    04/02/2023 at 21:43

    Grazie a Giuseppe Anti per questa intervista, che rivela molto dell’indole di Maurim ricercatore e studioso, cittadino a tutto tondo di questa città. Grazie a Mauri, per la sua generosa e proverbiale umanità.
    Ti dobbiamo molto, sapevi anche ridere e sorridere. Sei stato un amico, fino all’ultimo, generoso nel darci informazioni, nell’indicare punti di vista inediti, insospettati, mai banali. Riposa in pace, che ti sia lieve la terra e duratura la nostra riconoscenza.

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