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Oltre la siepe, mirando interminati spazi di là da quella

INTERVISTA – Il teatro secondo l’attore, regista e autore cinematografico Alessandro Anderloni: «La disobbedienza è fondamentale per la nostra società, perché scatena pensieri, discussioni e creatività»

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Alessandro Anderloni

INTERVISTAAlessandro Anderloni, direttore artistico, regista teatrale e produttore cinematografico, nasce a Velo veronese nel 1972. Proprio in quei luoghi, «da montanaro», sorge la sua passione per le arti e il teatro e negli stessi continua a brillare: dal 1990 guida la compagnia teatrale Le Falìe, con la quale ha portato sul palcoscenico buona parte dei suoi compaesani, mentre dal 1995 dirige il Film Festival della Lessinia.

Anderloni non è però esule dalla vita cittadina, visto che si adopera anche a Verona attraverso numerosi progetti di teatro nelle scuole e in carcere. Più di 5.000, ci racconta, i giovani coinvolti con un approccio culturale dal basso. Lo abbiamo intervistato su questi temi.

Alessandro Anderloni

Alessandro Anderloni

– Anderloni, con la nuova Amministrazione è emerso con forza il tema dell’inclusività. Ma, nel concreto come si realizza un teatro inclusivo?
Anderloni. «Bisogna andare nelle scuole di quartiere e far recitare tutti, non solo i selezionati o gli iscritti a un corso. Questi ultimi, probabilmente, sono già stati indirizzati dalle famiglie, mentre coinvolgere classi intere permette a chiunque, anche a chi non avrebbe mai trovato lo stimolo, di avvicinarsi al teatro e di scoprire in sé una ricchezza umana inaspettata. La parola inclusività è totalmente vuota se non la si riempie di esperienze di vita autentiche».

– Ma a Verona è possibile realizzare in maniera diffusa questo modello inclusivo?
Anderloni. «Lo dico da 20 anni. Un progetto pluriennale di teatro a scuola, ben finanziato e con uno spazio pubblico a disposizione, cambierebbe la fisionomia culturale di Verona nel giro di due generazioni. Con benefici per tutti: posti di lavoro per il comparto dello spettacolo, possibilità per i giovani di avviare una carriera professionale e creazione di una rete tra le scuole. Non capisco perché non si pensi a una progettualità simile, partendo da alcuni esempi virtuosi che la città pare aver dimenticato».

– A quali esempi si riferisce?
Anderloni. «Al Maggioscuola, che era capace di produrre una straordinaria vivacità culturale, garantendo uno spazio economicamente accessibile alle scuole per inscenare gli spettacoli di fine anno; e alle finalità originarie, da rispolverare, per cui il teatro Camploy è stato costruito, cioè ospitare anche i gruppi scolastici e non solo i grandi nomi».

– L’Amministrazione comunale, in ambito culturale, dovrebbe coinvolgere figure meno gestionali e più artistico-intellettuali?

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Anderloni. «Sì, anche perché ci sono molti professionisti di questo tipo a Verona in attesa di un’opportunità di lavoro, che non sempre può partire da un progetto scolastico nato dalla buona volontà. Serve uno sforzo comune più alto per incentivare iniziative simili, in modo da favorire anche dei percorsi di formazione specifica per chi si occupa del teatro-scuola».

Alessandro Anderloni recita Dante, Purgatorio, Dogana di fiume (Foto Flavio Pettene)

Alessandro Anderloni recita Dante, Purgatorio, Dogana di fiume (Foto Flavio Pettene)

– Perché tutto questo non succede?
Anderloni. «In realtà capita che il Comune promuova iniziative lodevoli: penso, per esempio, al percorso sul Paradiso di Dante finanziato dalla scorsa Amministrazione in piena pandemia. Ma ciò che scoraggia è l’estemporaneità con cui tutto questo avviene a Verona, dove non si costruiscono mai progetti solidi e periferici. Forse non c’è piena consapevolezza dei benefici educativi e sociali che una cultura non limitata ai soli grandi eventi può portare».

– Dalla sua esperienza come le sembra che i giovani recepiscano la cultura e il teatro?
Anderloni. «È un mondo che ignorano. Ma è normale in una città focalizzata soltanto in ambiti che non toccano la loro vita. Non si può fare cultura senza coinvolgimento attivo: bisogna parlare con i giovani, conoscerli e dare loro spazi in cui possano esprimersi liberamente. In poche parole, bisogna coltivarli».

– Lei come li sta coltivando in questo periodo?
Anderloni. «Posso citare, tra i tanti, il percorso che sto portando avanti al liceo artistico Nani: stiamo scrivendo uno spettacolo intitolato Resistere, dieci storie di resistenza dai primi del Novecento ai giorni nostri. In ognuno di esse ci sono giovani che disubbidiscono: una capacità che i ragazzi d’oggi sembrano aver perso».

– Possiamo dire che uno degli scopi del suo teatro sia educare alla disobbedienza, nell’accezione positiva del termine?
Anderloni. «La disobbedienza, intesa non come delinquere ma come camminare in maniera provocatoria fuori dal seminato prestabilito, è fondamentale per la nostra società, perché scatena pensieri, discussioni e creatività. Attraverso il teatro si può imparare a ridiscutere ciò che viene dato per acquisito e assoluto».

– Deve però fare i conti con la pervasività dei dispositivi digitali e dei social, che spesso tendono a conformare…
Anderloni. «Il teatro costituisce proprio un’alternativa a questo, perché è fisicità e riesce a distaccare le persone dal digitale. È fondamentale creare momenti del genere senza perdersi in trovate discutibili, come il teatro online, che non ha senso di esistere e infatti è stato un fallimento».

– Com’è invece proporre il teatro in carcere?
Anderloni. «In carcere non esiste la finzione, hai a che fare con un flusso umano continuo e travolgente, contraddistinto da esigenze vere ed intense. In nove anni di lavoro in quest’ambiente ho toccato con mano quanto lì tutto sia molto più faticoso che fuori: al suo interno ho visto crollare metodi teatrali che davo per assodati. Ma così sono cresciuto umanamente e professionalmente».

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– Ci racconta una delle esperienze più significative vissute in carcere?
Anderloni. «Ricordo un detenuto, dalla storia molto travagliata e che pareva emotivamente inscalfibile in ogni circostanza. Mi ha confidato che, dopo uno spettacolo, quando tutti in cella dormivano, è scoppiato a piangere sotto le coperte. Questo vale più di qualsiasi riconoscimento».

– Lei capovolge la prospettiva comune: la cultura al servizio delle persone, e non le persone al servizio della cultura…
Anderloni. «La cultura non è solo quella che va sulla pagina degli spettacoli. Bisognerebbe ritrovarla quando si cammina per le strade cittadine, respirarla anche nei luoghi più inattesi, in maniera imprevista. Ma perché questo avvenga ci vuole coraggio e Verona in questo senso è deficitaria: si muove sempre sull’ordinario, senza coinvolgere un sottobosco culturale che invece è piuttosto folto e qualificato».

Alessandro Anderloni

Alessandro Anderloni

– Se venisse contattato dai piani alti per infondere un po’ di coraggio a Verona con un progetto importante, lei sarebbe a disposizione?
Anderloni. «Quando Gianfranco De Bosio ha rimesso in scena l’Aida del 1913, tutto è nato da una stretta di mano, tra uomini, con il sovrintendente dell’epoca, Carlo AlbertoCappelli. Io sono fatto alla stessa maniera: ci si guarda negli occhi, si prende un accordo e si agisce, senza bandi o commissioni di selezione in cui spesso è già stato deciso tutto. Ma al momento si sentono solo parole: sinergia, tavoli, reti, eccellenze del territorio, resilienza…».

– Qualche considerazione finale sul mondo teatrale veronese?
Anderloni. «È necessario che i professionisti del teatro s’interroghino sulle proposte che mettono in scena. Possono essere attrattive anche in dialetto, purché si assumano rischi: ma purtroppo a Verona non viene mai dato il tempo per sbagliare. Inoltre occorre entrare nell’ottica che il pubblico non vuole solo assistere a spettacoli, ma magari anche recitarli».

– La sfiora mai l’idea che l’arte teatrale possa soccombere?
Anderloni. «No, il teatro non morirà mai, almeno fino quando ci sarà una persona che racconta una storia e un’altra che la ascolta fisicamente nello stesso posto».

Gregorio Maroso

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Written By

Gregorio Maroso è laureato in Filosofia, Editoria e giornalismo all'Università di Verona. Da sempre si interroga sulla vita e spera che indagare e raccontare i suoi aspetti nascosti possa fornirgli le risposte che cerca. gregoriomaroso@gmail.com

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