Siamo spesso indulgenti nei confronti dei più giovani. Oggi l’Italia offre loro molte più opportunità rispetto 50 anni fa, e sotto questo punto di vista la loro condizione pare migliore, ma il problema non sono tanto le opportunità, quanto la possibilità di potervi accedere, e queste sono minori rispetto a un tempo.
Chi è ricco ovviamente non ha problemi, ma chi non lo è vede sempre più ridotta la possibilità di proseguire gli studi dopo il diploma e così manchiamo un obiettivo importante, quello di costruire una società fatta di cittadini e non di sudditi (Piero Calamandrei). Difficile poi trovare un lavoro che risponda ai propri desideri.
Pare non esserci alternativa a questa ingiustizia, già preconizzata da tanti pensatori nel secolo scorso, quando anche l’operaio voleva il figlio dottore (Contessa, Paolo Pietrangeli) e spesso riusciva in questa sua ambizione contribuendo a costruire una società fatta di competenze e non di corporazioni.
Conoscenza poca, lavoro poco, opportunità poche e anche poca consapevolezza, perché gli ingredienti per una rivoluzione ci sarebbero tutti, tra l’altro non raccolti da una classe politica che evidentemente non fa parte di questo mondo di nuovi poveri, ma dell’altro.
Quello che non si dovrebbe fare, e qui mi rivolgo ai giovani, è scartare a priori ciò che affonda le radici nel passato, seminando una sorta di odio generazionale nei confronti di chi è venuto prima. È sciocco. Il motivo è semplice e provo a spiegarlo con un esempio.
Tra un 25enne senza prospettive di lavoro e un 50enne disoccupato non passa molta differenza. Mentre ce n’è tanta tra lo stesso 25enne che non sa dove sbattere la testa e un coetaneo, magari mediocre, che ha avuto la fortuna di avere papà e mamma agiati professionisti, che ha un bel lavoro, una casa di proprietà, abiti firmati, vacanze 5 stelle, viaggi all’estero, ecc. Così la società si impoverisce.
Concludo con un invito ad uscire dagli schemi perché le divisioni non pagano in termini di giustizia e progresso sociale. Il termine “Lotta di classe”, epurato dai significati esecrabili che ha assunto nel terrorismo politico, esprime ancora bene il concetto, se non altro perché pungola chi considera i privilegi sempre come esclusivi, o ha smesso di impegnarsi perché si trasformino nel bene possibile per il maggior numero di persone possibile. (g.m.)

È diventato giornalista nel 1988 dopo aver lavorato come operatore in una comunità terapeutica del CeIS (Centro Italiano di Solidarietà). Corrispondente da Negrar del giornale l'Arena, nel 1984 viene assunto a Verona Fedele come redattore. Nel 1997, dopo un periodo di formazione in editoria elettronica alla Scuola grafica salesiana, inizia l'attività in proprio con uno Studio editoriale. Nel 2003 dà vita al giornale Verona In e nel 2017 al magazine Opera Arena Magazine (chiuso nel 2020). Dal 2008 conduce il corso "Come si fa un giornale" in alcuni istituti della Scuola media superiore di Verona. giorgio.montolli@inwind.it
