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Il rapporto Unipol-Ambrosetti e i ritardi del welfare Veneto

Lo studio prende in esame 22 parametri relativi alla struttura dei servizi e ai livelli di spesa. Un’indagine su povertà, disoccupazione, aspettativa di vita, spesa sanitaria pubblica e privata, istruzione e previdenza integrativa

Il Veneto risulta la Regione con il sistema di welfare complessivamente più arretrato rispetto a tutte le altre Regioni del Nord Italia. Lo dimostra un approfondito rapporto pubblicato Unipol-Ambrosetti, sulla base di 22 parametri relativi alla struttura dei servizi e ai livelli di spesa.  Si sono presi in considerazione, tra gli altri, povertà, disoccupazione, aspettativa di vita, spesa sanitaria pubblica e privata, istruzione, previdenza integrativa.

Tra questi destano particolare preoccupazione, e contribuiscono direttamente a collocare il Veneto all’ultimo posto nel Nord Italia: la spesa sanitaria pro-capite, quella per gli  asili nido, per l’istruzione e per la previdenza over 65.  In una classifica da zero a 100, il Veneto arriva a 70, mentre le altre Regioni del Nord vanno dal 81,3 del Trentino al 70,5 della Liguria.

Pur con questo quadro generale negativo il Veneto presenta alcune particolarità che è opportuno segnalare. Il livello medio di salute rimane abbastanza buono anche se si addensano problemi sui minori e gli anziani soli in aumento, e cresce il bisogno di cure.

Aumentano i problemi delle famiglie, connessi, da un lato, ai legami interni più allentati e, dall’altro, alla necessità di seguire i figli, che rende più difficile il rapporto con il lavoro. Ad esempio, negli ultimi tempi sono in aumento le dimissioni per ricercare un impiego più flessibile.

Nello stesso tempo, anche queste situazioni determinano una ulteriore sollecitazione a ridurre il già critico tasso di natalità. Peraltro, il perdurante crollo delle nascite non ha ancora mutato la convinzione generale della scarsa utilità dei flussi di migranti per alimentare un mercato del lavoro, spesso in difficoltà a coprire i lavori richiesti.

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Rimane invece una certa disponibilità, anche giovanile, verso il lavoro com’è dimostrato dal numero relativamente basso dei sussidi di disoccupazione, di chi usufruisce del Reddito di cittadinanza, e dei giovani che non studiano e non lavorano (Neet).

Permane tuttavia un ritardo marcato, rispetto alla media europea, della percentuale di giovani promossi nei vari ordini di studi, compresa l’università, che rappresenta un limite, spesso determinante, a spiegare l’insufficiente sviluppo dell’innovazione nel nostro sistema produttivo e sociale.

Resta, dato caratteristico del Veneto, lo sviluppo del volontariato come elemento fondamentale che contribuisce a migliorare la qualità del welfare. Negli ultimi tempi l’impegno volontario dei giovani si caratterizza però, tramite rapporti più discontinui e di breve durata, mentre aumenta il volontariato di anziani pensionati.

La presenza di orientamenti della popolazione orientati all’impegno e al lavoro, per cui non sono presenti situazioni patologiche di ricorso incondizionato ai servizi pubblici, rende più evidente le storture e i limiti del welfare regionale, e proietta un segnale particolarmente critico sulla modalità di governo della Regione.

Va tenuto presente che i problemi del welfare veneto non attengono a questioni particolari ma riguardano i quattro servizi pubblici essenziali che costituiscono il cuore di un sistema di welfare: sanità, istruzione, politiche sociali, previdenza.

A parte le politiche sociali nelle quali ultimamente si è investito di più, sui tre altri settori, che sono l’essenza e hanno fatto la storia del welfare, appare evidente lo stato di progressivo ridimensionamento del sistema dei servizi sociali regionali.

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La sanità pubblica, con investimenti calanti, cede progressivamente spazio a quella privata, e si caratterizza per maggior difficoltà di accesso alle strutture, code e tempi sempre più lunghi per gli esami, mancata programmazione dei medici necessari, assenza di un pieno post-pandemia.

L’istruzione, nonostante l’apporto delle scuole paritarie, rimane in ritardo rispetto alle esigenze culturali e di competenza richieste dalla società e non appaiono particolari prospettive di miglioramento.

I fondi pensionistici integrativi crescono ma risultano spesso come un fatto a sé stante, senza un rapporto consapevole con il sistema pensionistico nazionale, gravato da crescenti problemi di tenuta finanziaria.

L’insieme di questi preoccupanti limiti in una società che mantiene alcuni elementi di solidarietà, dovrebbe spingere ad aprire un dibattito sulla qualità del governo della Regione e indurre atteggiamenti di autocritica e scelte di rinnovamento.

La risposta dell’assessore regionale alla sanità Manuela Lanzarin è di tutt’altro tenore. Poiché è necessario investire di più, solo una diversa ripartizione delle risorse disponibili, soprattutto con la nuova autonomia regionale differenziata, si impone. Un motivo di più per rafforzare la nostra opposizione a una riforma che non risolve i problemi, e spacca il Paese.

Luigi Viviani

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Written By

Luigi Viviani negli anni Ottanta è stato membro della segreteria generale della CISL, durante la segreteria di Pierre Carniti. Dopo aver fondato nel 1993 il movimento dei Cristiano Sociali insieme a Ermanno Gorrieri, Pierre Carniti ed altri esponenti politici, diviene senatore della Repubblica per due legislature. Nel corso della legislatura 1996-2001 è stato sottosegretario al Lavoro con il ministro Cesare Salvi; nella successiva, vicepresidente del gruppo dei Democratici di Sinistra al Senato. viviani.luigi@gmail.com

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