Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus: con questi versi Orazio apre la celebre Ode I, 37 per festeggiare la morte della regina Cleopatra. Si tratta di versi celebri, tornati alla mente di chi scrive dopo aver letto gli articoli che hanno commentato l’arresto di Matteo Messina Denaro, al primo posto della lista dei cinque latitanti più pericolosi inseriti dalla Direzione centrale della Polizia criminale del Dipartimento della Pubblica sicurezza nel “programma speciale di ricerca” (gli altri quattro sono un sardo, un palermitano, un napoletano ed un calabrese nato a Vibo Valentia).
Articoli dove si è scritto di «giorno storico», «successo di un Paese che funziona», «uno dei giorni fondamentali per la storia del nostro Paese». Un entusiasmo per me eccessivo, temperato da poche riflessioni su quella che è ora la criminalità organizzata (lo ha fatto Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di Avviso Pubblico) e su come è stato catturato Messina Denaro dall’Arma dei carabinieri («Abbiamo dunque un boss che si mette in fila aspettando il suo turno per le cure come un malato qualsiasi», ha detto Giuseppe Di Lello, magistrato nel pool antimafia di Antonino Caponnetto, in un’intervista rilasciata a Il Manifesto); un entusiasmo che richiama, in qualche modo, le celebrazioni che lo scorso anno hanno ricordato i quarant’anni dell’omicidio del generale-prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa e i trent’anni delle stragi nelle quali morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Il 10 dicembre dello scorso anno, nella sala teatro del Convento dei Cappuccini di Padova, sono stato relatore ad un convegno sulla figura di monsignor Antonio Riboldi, con una comunicazione intitolata “Italia anni Ottanta: la sfida della criminalità organizzata e la risposta dello Stato”. Nel mio intervento ho voluto ricordare anche gli altri anniversari tragici come i quarant’anni degli omicidi del vicequestore Antonio Ammaturo, dell’assessore regionale campano Raffaele Delcogliano e dell’agente Calogero Zucchetto, la cui memoria è stata fagocitata dalle figure prima ricordate.
Ora, non vorrei che pure l’arresto di Messina Denaro fagocitasse quanto vi è intorno, in modo particolare una seria analisi sull’attuale criminalità organizzata che nel Veneto (vedi inchiesta di Verona In, Mafia a Verona, gli imprenditori sono soli e hanno paura, ndr) per fare solo un esempio tratto dalle ultimi relazioni della Dia, ha individuato delle opportunità nel settore turistico delle province di Belluno, Padova, Venezia e Verona.
È dunque una criminalità organizzata che ha cambiato pelle, come ricordato lo scorso novembre a Napoli dal procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo: «Falcone diceva che la mafia era un fenomeno destinato a finire. Si riferiva a cosa nostra e aveva ragione. Ma dubito che la stessa cosa possa dirsi delle organizzazioni criminali moderne. Le mafie sono una componente strutturale del tessuto economico e sociale e se ne parla troppo poco».
Se però le mafie sono divenute «una componente strutturale del tessuto economico e sociale» è pure perché non hanno mai smesso di intrattenere rapporti con il potere politico.
Nel 1898 Ermanno Sangiorgi, questore di Palermo, così lamentava le difficoltà che incontrava nella lotta alla mafia: «Sgraziatamente i caporioni della mafia stanno sotto la tutela di senatori, deputati e altri influenti personaggi che li proteggono e li difendono per essere poi, alla loro volta, da loro protetti e difesi».
Parole che, anche in momento come questo, in cui si esprime grande soddisfazione per l’arresto dell’ultimo capo di Cosa Nostra, sono ancora di estrema attualità.
Antonio Mazzei
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Antonio Mazzei è nato a Taranto il 27 marzo 1961. Laureato in Storia e in Scienze Politiche, giornalista pubblicista è autore di numerose pubblicazioni sul tema della sicurezza. antonio.mazzei@interno.it
