L’ha detto il ministro Gennaro Sangiuliano: «Penso che il fondatore del pensiero di destra italiano sia Dante Alighieri». Dante di destra? Come il bagno nella vasca, le Marlboro, il reggicalze, il cesso, il culatello? (Giorgio Gaber, Destra-sinistra).
Stiamo al gioco: Dante sarà di destra, ma di sicuro è antifascista. Non è un altro anacronismo. Sì, la distinzione politica tra destra e sinistra data dalla rivoluzione francese, 1789, quando i rappresentanti di aristocrazia e popolo scelsero i loro posti agli Stati generali.
L’antifascismo pure non può essere datato a prima del 1919, quando Benito Mussolini fondò i Fasci di combattimento. Però Dante fu mobilitato presto dagli oppositori delle camicie nere, nonostante ciò che aveva detto lo stesso Mussolini, a Ferrara, il 4 aprile 1921: «Noi fascisti faremo in modo che tutti gli italiani abbiano l’orgoglio di appartenere alla razza (sic) che ha dato Dante Alighieri».
Poi, diventato “il duce”, avrebbe rincarato la dose, con la Società Dante Alighieri in un ruolo di propaganda all’estero paragonabile a quello svolto oggi per la Cina marxista-capitalista dalla Fondazione Confucio, o per la Russia putiniana dalla veronese Fondazione Eurasia.

Giovanni Dean, all’occhiello la croce di prima classe al merito della Repubblica federale di Germania
Ma. Ma abbiamo un testimone incontestabile del Dante antifascista in Giovanni Dean (Trieste, 1904 – Verona, 1995), partigiano, storico (Scritti e documenti della Resistenza veronese, 1982), fondatore dell’Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea.
Dean aveva ottenuto di insegnare italiano e tedesco all’istituto tecnico industriale di Verona, l’odierno Galileo Ferraris, anche se non aveva la tessera del Partito nazionale fascista: «Fu una dispensa straordinaria nel 1933», raccontava, «per il decennale della marcia su Roma. Insegnavo ai ragazzi a pensare con la propria testa».
Come, se sotto il fascismo a scuola non si potevano certo leggere i classici della democrazia? «Dante. Nella Divina Commedia c’è quanto occorre a formare la coscienza: l’umanità peccatrice, la penitente, la beata; gli incalliti nei vizi, i colpevoli che si riscattano, i redenti dalle virtù morali e intellettuali. Volevo che i miei scolari pensassero e che capissero», continuava Dean nell’unica intervista che concesse, per “L’Arena” l’8 febbraio 1983, «volevo indurli a conoscere se stessi, a rendersi conto delle azioni e delle cose proprie e di quelle umane, ad amare lo studio e a sentirne la necessità. In altre parole, che la coscienza fossero essi stessi a formarsela».
Dante come vaccinazione contro il fascismo. Funzionò, eccome, a giudicare come si comportarono quegli studenti di Dean dieci anni dopo, quando dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 dovettero scegliere da che parte stare: con i tedeschi e i loro alleati fascisti o con i partigiani. Gli studenti dantisti di Dean. Emilio Moretto, gappista Bernardino nell’assalto agli Scalzi che liberò il sindacalista Giovanni Roveda. Roberto Franchini di Caprino, ufficiale della divisione Folgore che esortò i suoi paracadutisti a non rispondere alla chiamata alle armi di Salò. Gianni Valsini, catturato e incarcerato nel 1944…
«Uno dei miei migliori studenti», si commuoveva Dean ricordando quelle antiche letture di Dante, «era Ettore Panardo. Lo deportarono in Germania. Scomparve in un campo di concentramento. Nessuno sa dove né quando. Gli volevo bene, come se fosse mio figlio. Mi cruccia essergli stato d’esempio. Del resto non potevamo stare con le mani in mano ad aspettare che gli alleati ci liberassero. Il fascismo l’avevano generato il nazionalismo, gli egoismi di classe, le eterne insoddisfazioni degli italiani. Dovevamo sbarazzarcene noi, a ogni costo. Non furono pochi i ragazzi della mia scuola che sentirono questo dovere, arduo e crudele».
Se, dopo Dante «di destra» (ma, teste Dean, antifascista!) il ministro Sangennaro vuole uscirsene con un’altra sparata politicamente scorretta, potrebbe dichiararsi austriacante. Lo fece lo stesso dantista Dean già citato, lui che si vantava nato a Trieste suddito di Francesco-Giuseppe.
Lo arrestarono per una delazione nel 1944 e finì sotto interrogatorio delle SS. Si salvò perché, raccontava sempre in quell’intervista, «sentii che uno degli aguzzini era viennese. Gli parlai in tedesco, con il suo stesso accento austriaco. Io ho fatto le elementari a Vienna, durante la prima guerra mondiale abitavamo nella Kaiserstrasse, settimo distretto. Il militare rimase a bocca aperta: fino a quel momento avevo detto poche parole e solo in italiano».
«Lo ubriacai dei miei ricordi, di quando mio papà Ludovico, imperial-regio ispettore di dogana trasferito da Trieste a Vienna nel 1915, mi portava la domenica a passeggio nel parco di Schoenbrunn, e lì un giornò mi accarezzò un vecchio signore, che mi aveva sentito parlare con il papà, e mi disse anche lui in italiano “mangia, bambino, che sei magrolino e devi diventare grande!”. Era Francesco-Giuseppe». Così Dean, grazie alle ciacole austriacanti, fu rilasciato e tornò alla macchia. E io ebbi pronto il titolo per l’intervista: «Cecco Beppe mi salvò dalle SS».
Giuseppe Anti

Giuseppe Anti è nato a Verona il 28 agosto 1955. Giornalista, si è occupato di editoria per ragazzi e storia contemporanea; ha curato fino al giugno 2015 gli inserti "Volti veronesi" e le pagine culturali del giornale L'Arena. giuseppe.anti@libero.it
