INTERVISTA – La Biblioteca Capitolare di Verona si presenta come una delle istituzioni culturali in attività più antiche non solo della città scaligera, ma del mondo intero. Originariamente Scriptorium in cui i Canonici del Capitolo copiavano su pergamena libri destinati alla formazione disciplinare e religiosa, oggi custodisce, tra biblioteca e archivio, un patrimonio culturale millenario, che non si limita al sapere liturgico, ma sconfina nei meandri laici dello scibile. Tra i documenti conservati più noti c’è l’Indovinello veronese, riconosciuto come una delle prime testimonianze scritte del volgare italiano. Per indagare la valenza generale della cultura nell’epoca contemporanea e scoprire i prossimi obiettivi della Biblioteca Capitolare, ne abbiamo intervistato il Prefetto, monsignor Bruno Fasani.

Mons. Bruno Fasani
– Mons. Fasani, si dice che la Biblioteca Capitolare sia la più antica al mondo. È davvero così?
Fasani. «Sì, e non si tratta di millanteria. Qui custodiamo il codice del veronese Ursicino, che porta la data del 1° agosto 517. Alcune tracce storiche indicano che Verona, all’epoca, era già conosciuta come importante punto di riferimento culturale e questo fa pensare che la Biblioteca sia stata fondata prima, probabilmente nella seconda metà del 300».
– Oggi quale ruolo riveste all’interno del contesto veronese?
Fasani. «In passato era un luogo che gli studiosi frequentavano per fare ricerca e oggi è stata rilanciata questa vocazione culturale: siamo in rapporto con diverse università rinomate a livello internazionale, come Oxford o la Sorbona per citarne alcune, allo scopo di rendere Verona e la Biblioteca eccellenze accademiche a livello mondiale. Inoltre stiamo trasformando una parte della nostra realtà in un museo visitabile dal pubblico».
– Una realtà molto nota ai ricercatori internazionali, meno ai veronesi…
Fasani. «Esatto. Avere riservato la Biblioteca in passato solo a pochi studiosi di eccellenza non ci ha aperto al grande pubblico. Ma lentamente qualcosa sta cambiando: varie emittenti da tutto il mondo ci hanno dedicato dei servizi televisivi e le visite guidate ultimamente sono sempre al completo».
– A livello di bilancio come state?
Fasani. «Non andiamo in attivo, ma di certo i nostri bilanci non sono mai in negativo. Economicamente non disponiamo di finanziamenti pubblici e ci rendiamo autonomi attraverso i biglietti venduti ai visitatori, oppure affittando i nostri saloni ad aziende che organizzano i loro convegni».
– Tra social e digitalizzazione abbiamo ancora bisogno delle biblioteche?
Fasani. «Certamente. Il digitale è prezioso ma troppo appiattito sul presente: essendo in grado di darci tutto e subito, ci illude di non avere bisogno né di storia né di futuro. Ma così viene meno la memoria, che invece è preservata autenticamente dalle biblioteche. Queste ci tramandano una ricchezza che viene da lontano e racchiudono gli stimoli per farci riappropriare della cultura a tutti i livelli. Un’esigenza, in un mondo che ormai l’ha tradita».
– Cosa intende?
Fasani. «Oggi, forse anche a causa dei metodi scolastici, si identifica il nozionismo con la cultura. Ma il patrimonio culturale in realtà dovrebbe essere qualcosa che i cittadini respirano costantemente, rispecchiando la sua ricchezza nella bellezza spirituale».
– Come si può risvegliare questa bellezza spirituale nei giovani, riportandoli in luoghi come la Biblioteca?
Fasani. «È chiaro che la cultura bisogna saperla raccontare, ma non basta. Occorre che sia anche sperimentata: le nuove generazioni devono essere coinvolte sul lato pratico attraverso esperienze che riconducano al vissuto o alle attività di ciò che si sta tramandando. Altrimenti si rischia di scadere in un inutile accademismo verbale».
– Avete siglato, in collaborazione con il Museo Egizio di Torino, il Piano strategico 2022-2026. Cosa dobbiamo aspettarci dalla Capitolare nell’immediato futuro?
Fasani. «In sintesi i nostri obiettivi sono tre: digitalizzare tutto il patrimonio custodito nella Biblioteca; proporre un allestimento accattivante, anche attraverso contenuti digitali, dei nostri tesori, in modo da renderli appetibili al pubblico; infine trasformare la Biblioteca nel centro culturale di riferimento internazionale per gli studi sui codici antichi, ospitando modernissime attrezzature provenienti dagli Stati Uniti».
– In questo ambizioso percorso avete intenzione di coinvolgere altre istituzioni culturali veronesi? Spesso si parla di individualismo a Verona…
Fasani. «Il mondo della cultura a Verona non si è mai reso conto di quanto trovare sinergie avrebbe potuto giovare a tutti. Collaborare dunque è una nostra priorità e già da qualche anno stiamo cercando di intensificare i rapporti con diverse realtà, come l’Università di Verona o la Fondazione Cariverona».
– A Verona è da poco cambiata l’Amministrazione pubbblica. Qualche proposta culturale da avanzare all’assessora Marta Ugolini?
Fasani. «Sarei contento se l’Amministrazione aiutasse la Capitolare a diventare l’hub internazionale di cui parlavo prima. Non economicamente, ma creando nell’opinione pubblica e tra i possibili stakeholder una certa sensibilità, affinché il nostro obiettivo possa concretizzarsi più velocemente».
– La cultura, così come è stata gestita negli ultimi anni a Verona, coincide con la visione che ha la Diocesi a riguardo?
Fasani. «Dovrei prima capire qual è la visione della Diocesi».
– E con la visione della Chiesa?
Fasani. «Nella Chiesa che opera all’interno del tessuto sociale ho notato un indebolimento sul fronte culturale. Mi pare che la gestione quotidiana delle situazioni parrocchiali sia diventata talmente prioritaria da svilire quasi ogni prassi più profonda. Perciò, pur ammettendo che la politica è sempre attenta a non inimicarsi la Chiesa, lo spessore culturale di quest’ultima è stato così poco rilevante che è difficile parlare di contrapposizioni o sposalizi tra gestione della cultura e cultura ecclesiastica».
– Fede e cultura in che modo si conciliano oggi?
Fasani. «La fede non è un dogma moralistico ma opera attivamente nella storia, le cui verità vengono fatte emergere dalla cultura. Quest’ultima, se non si presenta come ideologia contraria a Dio, è un servizio alla fede e la aiuta a orientarsi meglio nel presente».
– Più nel concreto…
Fasani. «Le scienze umanistiche, per esempio, dimostrano oggi che l’omosessuale non è un perverso, ma una persona. Perciò la fede, coadiuvata dagli elementi evidenziati dalla cultura, guida il vero credente all’incontro con questa persona».
– Quale direzione si augura imbocchi il nuovo vescovo Domenico Pompili?
Fasani. «Quella di una Chiesa inclusiva, in grado di ascoltare tutti per cogliere ogni frammento di verità del mondo in cui viviamo».
– Il cattolicesimo dovrebbe avere più peso nelle politiche culturali?
Fasani. «Sì, ma non nel senso del potere. Il cristianesimo, con il suo concetto di una vita ulteriore a quella terrena, insegna che il tempo è più grande dello spazio. Questa prospettiva, che racchiude in sé l’idea di una progettazione del futuro oltre allo spazio attuale, dovrebbe essere paradigmatica in generale, soprattutto in quest’epoca concentrata solo sul presente».
– Spettacolarizzazione turistica della cultura e ruolo educativo della cultura popolare. Lei da che parte sta?
Fasani. «L’indotto economico non va demonizzato perché fa comodo a tutti. Però non deve essere confuso con la vera cultura: la casa di Giulietta permette a Verona di incassare un buon “bottino” e questo è un bene, ma di culturale ha ben poco, trattandosi di un falso storico. Mi piacerebbe che l’Amministrazione comunale introducesse qualche festival di cultura autentica, intimamente identificativo per la nostra città».
– Il nuovo assessorato ha però accorpato Cultura e Turismo. Un cambiamento che può far pensare a una proposta rivolta più al commercio che ai valori da lei evidenziati.
Fasani. «Il Comune ha bisogno dei grandi numeri. Forse Verona, visto il movimento turistico che presenta, avrebbe potuto pensare a un assessorato al Turismo specifico. Ma averlo accorpato non toglie spessore alla cultura, anzi, attribuisce all’assessora ulteriori responsabilità».
– Permane il problema di come far arrivare la cultura anche ai meno avvezzi. I monumenti possono assolvere a questa funzione educativa nel 2022?
Fasani. «Solo se sono supportati dai nuovi strumenti di comunicazione. Per esempio, che ci sia Berto Barbarani in piazza Erbe è un’ottima cosa, ma se fosse segnalato attraverso una rubrica apposita su Instagram o TikTok potrebbe intercettare anche i giovani, seminando un certo tipo di sensibilità culturale».
– La cultura è ancora appannaggio della Sinistra? L’accusa storicamente viene da Destra…
Fasani. «La Sinistra non si è impadronita della cultura, semplicemente, fino agli anni Novanta, la Democrazia Cristiana si è interessata più agli affari, lasciando un vuoto nelle pratiche culturali. In ogni caso oggi non si può più ragionare per compartimenti stagni: la cultura fa emergere la verità e dimostra come sia a Destra che a Sinistra ci sono state luci e ombre. Prima capiamo questo, meglio sarà per tutta Italia».
– Alcuni valori culturali, come quelli che fanno riferimento all’antifascismo e alla Resistenza, la Destra fatica a digerirli. Come si pone sulla questione?
Fasani. «Lo dico da figlio e nipote di partigiani: credere che la Resistenza sia stata tutta santa è un equivoco. Bisogna fare un’analisi seria, perché anche la Resistenza, oltre agli aspetti positivi che conosciamo, ha avuto i suoi fanatismi. Beatificarla a priori ha creato un solco ideologico-culturale che va superato».
– Prima diceva che il vero uomo di fede, attraverso la cultura, capta i nuovi valori che i periodi storici rendono dominanti. Ora, con il Governo Meloni, quali frammenti di verità coglie?
Fasani. «È prematuro dare un giudizio. Anche se ci sono stati dei segnali che mi hanno disturbato: la maniera in cui è stato formulato il provvedimento sui rave party; l’aver utilizzato il termine “residuali” sulla vicenda degli sbarchi, che vede coinvolte persone, non residui; o anche il via libera ai medici no-vax, che hanno dimostrato di non credere alla scienza. Detto questo, l’uomo di fede non demonizza, al massimo rettifica. Vediamo col tempo dove arriverà questo Governo».
Gregorio Maroso
LEGGI
La Biblioteca Capitolare, un patrimonio più mondiale che veronese
La Resistenza come valore per un progetto culturale diffuso
L’Accademia Filarmonica e Verona città musicale
Sinergie culturali, il Conservatorio si mette in gioco
Turismo e cultura, un equilibrio possibile

Gregorio Maroso è laureato in Filosofia, Editoria e giornalismo all'Università di Verona. Da sempre si interroga sulla vita e spera che indagare e raccontare i suoi aspetti nascosti possa fornirgli le risposte che cerca. gregoriomaroso@gmail.com
