C’è una questione salariale in Italia che si continua a sottovalutare e non affrontare. La remunerazione del lavoro, benché l’Italia sia la terza economia della UE per PIL, e la seconda per manifattura, è inferiore alla media europea. Inoltre siamo l’unico Paese europeo in cui negli ultimi 30 anni le retribuzioni sono diminuite in termini reali.
Ma se già ora la situazione è critica, con una inflazione che in pochi mesi ha raggiunto il 7,3% su base annua, e che è destinata ad aumentare e durare nel tempo, il potere di acquisto delle famiglie rischia il tracollo.
L’inflazione è guardata con attenzione anche dalla Banca Centrale Europea, che fra i suoi obiettivi ha la stabilità dei prezzi con una inflazione positiva ma inferiore al 2% Cristine Lagarde, Presidente della BCE, nel giro di pochi mesi, prima aveva affermato che l’inflazione non c’era, poi che c’era ma era modesta, poi che sarebbe stata temporanea, ora invece che rimarrà alta e durerà a lungo. Ben venga la verità. Ma come venirne fuori?
La risposta della BCE sembra orientata all’aumento dei tassi di interesse, che tuttavia non è la cosa giusta da fare. E lo dice Francesco Giavazzi, noto economista, accademico e consigliere del Presidente Mario Draghi, il quale a sua volta della BCE ne era stato Presidente.
Il motivo è che questa inflazione non è dovuta ad un eccesso di domanda interna, ma dipende da fattori totalmente esterni quali l’aumento, dopo la pandemia, dei prezzi del petrolio, del gas e di quasi tutte le materie prime. Vero che l’economia è in ripresa, ma non ha ancora recuperato quanto perso durante la pandemia, e la guerra in Ucraina sta pure rallentando la crescita. L’aumento dei tassi di interesse, in questo contesto, non solo non ridurrà l’inflazione, ma frenando gli investimenti finirà per portare in recessione l’Europa intera.
L’inflazione in Europa rimarrà sostenuta, ed a lungo, per almeno altri tre motivi. Prima di tutto a causa della folle guerra in Ucraina con le relative tensioni geopolitiche, le sanzioni, e la dipendenza energetica dalla Russia che con fatica e notevoli costi potrà essere ridotta. Secondo per la necessità strategica di ridurre le catene di approvvigionamento dei beni dall’estero. Lo abbiamo capito quando, nel marzo 2020, non si trovavano mascherine chirurgiche e FFP2, tutte rigorosamente importate dalla Cina. In futuro produrremo di più in Europa, e le importazioni avverranno da Paesi “amici” e non troppo instabili politicamente. Non sarà la fine della globalizzazione, solo una sua rimodulazione. Ma ovviamente molti beni costeranno di più.
Terzo motivo è la transizione energetica che la UE sta portando avanti in pompa magna, con obiettivi ambiziosi ma anche altrettanto costosi. La riduzione delle emissioni di CO2 del 55% entro il 2030 e la fine della vendita di auto con motore diesel e benzina dal 2035, non sono cose da poco. Serviranno investimenti enormi nel settore industriale dell’automobile, della componentistica, delle infrastrutture di supporto, della produzione delle energie rinnovabili e della distribuzione elettrica. Ma tutto ciò avrà un risvolto sui prezzi.
Davanti ad una inflazione che rimarrà alta ed a lungo, l’unica risposta macroeconomica giusta è quella di tutelare i redditi fissi come salari, stipendi e pensioni. Serve quindi una indicizzazione delle retribuzioni, affinche le famiglie possano recuperare il potere d’acquisto perso con l’inflazione.
A tale riguardo però il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha già espresso parere negativo, per evitare una rincorsa prezzi-salari. Per contro la BCE ha già annunciato oltre al controproducente aumento dei tassi di interesse, anche la fine del quantitative easing. Di conseguenza lo spread è tornato in questi giorni a valori preoccupanti, con maggiori futuri costi per i contribuenti italiani.
Dopo la crisi economica della pandemia ed in piena guerra in Ucraina, BCE e UE non sembrano andare nella direzione della tutela del lavoro e dei redditi fissi. E il Governo Draghi cosa farà? Continuerà con i ritocchi estetici? Non saranno certo le modeste rimodulazioni delle aliquote irpef o le periodiche elargizioni una tantum a risolvere la questione salariale in Italia. E tanto meno il salario minimo legale se, e quando, verrà istituito.
Se l’inflazione sarà pagata dai lavoratori, allora veramente stiamo andando verso situazioni sociali difficili al limite della sostenibilità, in Italia ed Europa.
Claudio Toffalini

Claudio Toffalini è nato a Verona nel 1954, diplomato al Ferraris e laureato a Padova in Ingegneria elettrotecnica. Sposato, due figli, ha lavorato alcuni anni a Milano e quindi a Verona in una azienda pubblica di servizi. Canta in un coro, amante delle camminate per le contrade della Lessinia, segue e studia tematiche sociali e di politica economica. toffa2006@libero.it

Francesco
18/06/2022 at 15:27
Bell’articolo. Chiaro e “onesto”: ecco un abbinamento raro nell’ attuale panorama della comunicazione economica