Vangelo di Giovanni
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da sé stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà». Giovanni 16, 12-15.
Siamo stati abituati fin da bambini a fare spesso il segno della croce. Non è un segno magico, uno scaccia malanni. Non è nemmeno un portafortuna.
È la sintesi della nostra fede. Ci ricorda che per Gesù Dio è Trinità. Che cosa vuol dire?
Per Gesù la Trinità non è un concetto da capire, da spiegare. È invece un dono da accogliere, un mistero da contemplare. Gesù non ci dice mai chi è Dio con un ragionamento, ma che cosa fa Dio per noi.
Per Gesù Dio è un “Padre” che si prende cura di noi. È un “Figlio”, che si fa uno di noi, per insegnarci a vivere. È lo “Spirito”, che è dentro di noi, per aiutarci, per darci il coraggio di vivere.
Gesù con la sua vita e con il suo insegnamento, ci ha raccontato un Dio che è relazione, che è comunione, fraternità.
Il libro della Genesi ci dice che l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Quindi se Dio, come ci ha raccontato Gesù, è relazione, possiamo dire che anche la nostra identità, come quella di Dio, è trinitaria.
Una delle più significative filosofe del ‘900, Hannah Arendt dice che la nostra identità, il nostro “io”, è un “io plurale”. Perché? Perché ognuno di noi, dice la Arendt, è un incrocio di relazioni, un incrocio di esperienze. Nessuno può pensarsi senza gli altri. Perché la solitudine ci fa paura? Perché è contro natura.
Non siamo fatti per essere soli. Abbiamo bisogno dell’altro. Siamo tutti mendicanti di affetto, perché stiamo bene, solo quando abbiamo accanto qualcuno che ci vuole bene. Che tutto è in relazione, che tutto è connesso, ce lo ha insegnato anche la pandemia che stiamo vivendo. Se da una parte siamo stati costretti a vivere distanziati, dall’altra sentiamo sempre più il bisogno di ritrovarci, di abbracciarci, di toccarci.
E come dice papa Francesco: dobbiamo renderci conto che non ci si salva da soli, ma assieme. Quindi credere nel Dio-trinità vuol dire che per realizzare noi stessi e diventare veramente quello che siamo, dobbiamo vivere uno stile di vita “trinitario” cioè di comunione, di rispetto e di accettazione di tutte le diversità. Chi non rispetta il diverso, non rispetta Dio.
Se Dio è amore e relazione vuol dire che Dio è là dove ci sono delle persone che si amano. Vuol dire che l’amicizia profonda tra le persone, diventa il luogo privilegiato dove abita Dio, e quindi dove io posso veramente incontrare Dio.
Che cosa ci ha insegnato Gesù? “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati”. Siamo fatti per amare ed essere amati.
Allora a chi ti chiede chi è Dio o che cosa è la Trinità, non cercare di rispondere con un ragionamento, ma con un gesto d’amore. Regalagli un sorriso, una carezza, un abbraccio. È il modo migliore per “parlare” di Dio.
Don Roberto Vinco
Domenica 12 giugno 2022
Parlami di dio, tacendo
Simone Weil, (1909 – 1943) filosofa
È importante che impariamo a parlare di Dio
non con le parole, ma con il linguaggio della vita.
Volersi bene è il modo migliore per raccontare Dio.

Don Roberto Vinco, docente di filosofia allo Studio Teologico San Zeno e all'Istituto Superiore di Scienze Religiose San Pietro Martire di Verona, è collaboratore nella parrocchia di Novaglie. roberto.vinco@tin.it
