Ricordate il misterioso dipinto dell’Arma Christi, che era conservato nella Cappella Giusti della basilica di Sant’Anastasia? Dopo un lungo restauro, curato dallo studio Cristani, tornerà nella chiesa «nel mese di giugno. Non abbiamo ancora una data precisa», informa l’arciprete, monsignor Giacomo Radivo, «ma verrà ricollocata non più dov’era, su una parete laterale della cappella Giusti, a tre metri d’altezza, ma in una delle cappelle dell’abside, a lato dell’altar maggiore, probabilmente nella Cappella Pellegrini per cui fu dipinto in origine».
La decisione sarebbe stata presa in accordo con la Soprintendenza, che ha autorizzato e supervisiona il restauro, «perché dov’era prima», continua monsignor Radivo, «l’opera era poco visibile, lontana dagli occhi di fedeli e visitatori. Ora potrebbe essere esposta sopra l’altare della Cappella Pellegrini, sopra un supporto ligneo che la metta bene in vista. La realizzazione di questo allestimento ha allungato ulteriormente i tempi: speravo di riportare il dipinto in chiesa già a Pasqua. Comunque voglio rassicurare parrocchiani e veronesi sempre attenti al patrimonio artistico della basilica: il dipinto tornerà nella chiesa di Sant’Anastasia, a cui appartiene».

Arma Christi (autore ignoto) prima del restauro
Il restauro del dipinto è stato finanziato dall’Associazione Chiese Vive, a cui è affidata la custodia della basilica e delle altre chiese monumentali di Verona in cui è chiesto un biglietto d’ingresso a pagamento (per i turisti, non per i veronesi); Chiese Vive deve decidere se realizzare un video o pannelli illustrativi per spiegare il restauro.Perché, appunto, c’è molto da spiegare. La tavola, prima del restauro lontana dagli occhi e con le figure su fondo nero, aveva l’aspetto di un oggetto misterioso. Oggi mostra un brillante fondo azzurro, ma è piena di lacune e non nasconde le ferite del tempo. «Che disastro», per dirlo con le parole che scappano a Tomaso Montanari, storico dell’arte, rettore dell’Università per stranieri di Siena e autore di numerosi saggi di impegno civile, tra cui il recente Chiese chiuse, in cui ha contestato proprio l’ingresso a pagamento nelle chiese italiane (Einaudi, 2021) ed Eclissi di Costituzione (Chiarelettere, 2022).
Montanari non è tipo da risparmiare giudizi categorici: ha appena contestato come «ecomostro» la nuova cantina vinicola Masi «che rovina il paesaggio superstiste della Valpolicella, già troppo negrarizzata» (articolo sul quotidiano Il Fatto, 23 maggio 2022). Ma sul dipinto di Sant’Anastasia Montanari non vuole esprimere un giudizio critico compiuto, senza avere prima esaminato direttamente l’opera e senza aver potuto studiarne la storia. Si limita a dire quello che sarà presto sotto gli occhi di tutti: un dipinto disastrato.
È giusto restituirla così alla chiesa, l’Arma Christi, ripulita ma senza nasconderne le ferite, come aveva fatto il precedente intervento ottocentesco, che ora giudicheremmo pesantemente censorio?
Diverso è il parere dello storico dell’arte Enrico Maria Guzzo, già direttore del Museo Canonicale di Verona, attualmente funzionario della Galleria d’arte di Palazzo Maffei. «Finalmente vedo il dipinto senza le pesanti ridipinture», afferma soddisfatto Guzzo, aggiungendo che «il fondo azzurro e le abbondanti dorature», ora ricomparse grazie al restauro, «donano un senso di preziosità, trasmettendo sacralita».
La tavola è un’opera cinquecentesca di Antonio Badile, membro di una ricca famiglia di mercanti d’arte veronesi. Badile ha dipinto altre Arma Christi conservate rispettivamente nella sacrestia della chiesa dei Santi Nazaro e Celso e nel Museo di Castelvecchio. La tavola ora al museo proviene dalla chiesa soppressa di San Silvestro ed è molto vicina a quella di Sant’Anastasia, nonostante fosse una predella, cioè la base di una pala d’altare, mentre l’Arma Christi di Sant’Anastasia sormontava come cimasa un’ancona d’altare dipinta o forse in parte anche scolpita.
Michelangelo Piccin
Ha collaborato Giuseppe Anti

Arma Christi nella chiesa di San Nazaro e Celso, Verona