INCHIESTA – Il dibattito sulle fonti energetiche tocca da vicino anche Verona dove negli anni Settanta, per far fronte alla crisi petrolifera, si era ipotizzata la costruzione di una centrale nucleare nella frazione di Torretta di Legnago.
Nel 1975 era stato elaborato il primo Piano energetico nazionale (Pen) il quale, per sopperire alla crisi petrolifera del 1973, prevedeva la realizzazione di otto impianti nucleari su quattro siti, per un’ipotesi di spesa attorno ai 30 miliardi di euro.
Tra i luoghi papabili il Comitato nazionale per l’energia nucleare (Cnen) aveva individuato proprio la piccola frazione agli estremi del Basso veronese secondo criteri stringenti: sismicità nulla dell’area, presenza di corsi d’acqua, scarsa densità abitativa.

Torretta, Legnago
L’idea, come riporta l’inchiesta del 2010 di Verona In, era di iniziare i lavori entro il 2013 per poi attivare gli impianti nel 2020. Si schierarono a favore l’assessore regionale all’Energia Massimo Giorgetti e Giancarlo Galan, ex patron del Veneto che in quel momento era ministro dell’Agricoltura.
Per Galan la centrale andava realizzata in casa, per non perdere i benefici che altrimenti sarebbero andati ad altre regioni. Più prudente il governatore Luca Zaia, favorevole al nucleare ma fuori dai confini regionali.
Oggi, visto che la guerra in Ucraina rischia di sconvolgere gli assetti geopolitici mondiali, abbiamo riaperto il dibattito interpellando sul nucleare anche i candidati sindaco alle prossime amministrative veronesi.
E se il referente generale della coalizione di centrosinistra Damiano Tommasi si mantiene defilato, non rilasciando dichiarazioni, il capogruppo di Fare Flavio Tosi, con un sì convinto, e il sindaco Federico Sboarina, con un’apertura ragionata, esprimono chiaramente il loro pensiero.
Posizioni favorevoli, le cui ragioni si fondano nella dipendenza energetica che attanaglia l’Italia, e di conseguenza anche Verona. I dati nazionali rilevano infatti che dei 69.935 milioni di metri cubi di gas naturale distribuiti in Italia nel 2020, 66.393 provenivano dall’estero (il 43% dalla Russia).

Flavio Tosi
Secondo il ministero della Transizione ecologica nella provincia scaligera nel 2020 sono stati distribuiti 1142,3 milioni di metri cubi di gas naturale, che equivalgono al 20% della distribuzione regionale: solo Venezia supera Verona coi suoi 1361,4.
Verona si conferma particolarmente energivora sul fronte dei consumi di elettricità: secondo il report del gruppo Terna, nel 2018 ha utilizzato 6460,3 GWh, più di ogni altra provincia veneta.
Per quanto riguarda i derivati dal petrolio, secondo il ministero della Transizione ecologica nel periodo gennaio-novembre 2021 l’ammontare delle vendite di benzina, gasolio e olio combustibile nel territorio veronese è stato di 511.271 tonnellate, seguono Padova (660.165), Vicenza (532.572) e Venezia (517.546).
Va detto che il Veneto agli ingenti consumi di energia ha risposto negli anni calando la dipendenza dal 95% del 2008 all’83,4% del 2015. Questo grazie ai progressi fatti soprattutto nell’idroelettrico e nel fotovoltaico: a fine 2020 il 14,3% dei 935.838 impianti fotovoltaici sul suolo italiano era in Veneto.
Ma la carenza di altre risorse rimane comunque esorbitante: nello stesso 2015 la nostra regione importava il 96% di gas naturale, il 100% di combustibili solidi fossili e il 97,9 % di petrolio e prodotti petroliferi. Perciò è normale che in questo periodo di crisi si torni a parlare di nucleare, e che questo succeda anche a Verona nel cui armadio si cela, a seconda dei punti di vista, l’incubo o il vestito di gala di Torretta di Legnago.
«Dubito fortemente che Torretta possa essere presa in considerazione, essendo vicina a un luogo densamente abitato come Legnago: i comitati scientifici normalmente giudicano idonei luoghi più decentrati» spiega Tosi al nostro giornale.
Di un sito nucleare nella frazione della Bassa veronese si era tornati a parlare all’inizio degli anni Ottanta. Ma i rischi per popolazione e agricoltura, l’acqua sottratta al Tartaro per raffreddare la centrale (e non più utilizzabile per l’irrigazione) spinsero il Comune a dichiarasi denuclearizzato.
Qualche anno dopo, nel 1986, si verificò il disastro di Chernobyl che contaminò Ucraina e zone limitrofe. Così, quando nel 1987 fu indetto in Italia il referendum per abrogare i contributi che gli enti locali ricevevano per dare il consenso alle centrali sul proprio territorio, trionfò il sì.
Di conseguenza, le tre centrali ancora attive all’epoca (la quarta di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta, era già stata spenta nel 1982), cioè quella di Borgo Sabotino a Latina, quella di Trino vercellese e quella di Caorso a Piacenza, cessarono le attività e per Torretta qualsiasi possibilità nucleare sembrava scongiurata. Almeno fino a luglio 2009, quando viene approvata la legge n. 99 che definisce le tipologie di impianti per la produzione di energia nucleare realizzabili sul suolo italiano.

La Centrale nucleare dismessa di Caorso, Piacenza
Il 30 novembre di quell’anno, memore del Piano energetico degli anni Settanta, nella frazione legnaghese nasce il Comitato antinucleare. Sono 950 gli aderenti che attivano campagne di sensibilizzazione in preparazione del referendum del 2011, conclusosi, dopo l’incidente di Fukushima avvenuto l’11 marzo di quell’anno, con un’altra vittoria schiacciante del fronte contrario alla presenza di reattori in Italia.
«In realtà durante il periodo precedente al referendum il nome di Torretta non è mai stato fatto esplicitamente ma, visti gli avvenimenti passati, abbiamo preferito cautelarci strutturando un martellante programma di conferenze e riunioni per avvertire i cittadini dei rischi del nucleare» racconta l’ex presidente del Comitato Lino Pironato di Legambiente Legnago.
Pironato ricorda i grandi livelli di partecipazione: «Singoli cittadini e associazioni provenienti da tutto il Basso veronese aderivano alle nostre iniziative e noi le portavamo non solo in questa zona, ma anche a Verona e nel Polesine, coinvolgendo insegnanti ed esperti in materia. Don Vittorio Eminente, storico parroco di Torretta, ci ha dato una grossa mano in tutto questo, mettendo a disposizione la chiesa del paese per le riunioni».
Un successo costruito, prima dello scioglimento definitivo del Comitato nel periodo successivo al referendum, sulla condivisione di una visione comune, che s’incarnava nei classici capisaldi della fazione antinucleare, come spiega lo stesso Pironato: «L’investimento nel nucleare non era necessario, sia per i costi, sia per l’inquinamento che avrebbe causato: le sostanze radioattive sono difficilmente smaltibili e in Italia un deposito per lo smaltimento definitivo non è ancora stato individuato».
Col tempo il parco tecnologico si è evoluto e il criterio di distanza da una centrale, o da un sito di stoccaggio delle scorie radioattive, rischia di essere molto relativo, come ha dichiarato a Verona In il sindaco Sboarina: «In Francia e in Slovenia ci sono centrali nucleari a pochi chilometri da casa nostra, di cui pagheremmo le conseguenze in caso di eventuali incidenti. La situazione d’emergenza attuale deve essere l’occasione per fare nuove valutazioni: le campagne antinucleari avevano senso 40 anni fa, oggi le tecnologie offrono maggiori garanzie di sicurezza rispetto a quelle degli anni Ottanta».
Occorre sottolineare che l’energia nucleare ha anche dei pro: pur derivando da una fonte non rinnovabile (l’uranio), non rilascia emissioni di CO2, risultando in linea con l’obiettivo di ridurre l’inquinamento atmosferico. E potrebbe anche essere prodotta in casa, riducendo la dipendenza energetica dall’estero.
Ed è proprio ciò che, senza troppi giri di parole, viene espresso da Tosi: «Il nucleare è una scelta che si doveva fare prima, perché per realizzare una centrale ci vogliono 7-8 anni. Il nucleare è l’unica fonte pulita in grado di assicuraci una capacità energetica adeguata: le rinnovabili, da sole, non saranno mai bastevoli per l’autosufficienza».

Federico Sboarina
Sullo stesso argomento si allinea, con più delicatezza, anche Sboarina: «Le fonti rinnovabili sono sicuramente da perseguire, ma l’emergenza in Ucraina, abbinata alla nostra dipendenza energetica, non ci consente di demonizzare il nucleare: bisogna coniugare la sostenibilità ambientale con quella economica».
A sinistra invece tutto tace, anche se qualche lontana eco si riesce a sentire: Tommasi infatti, dopo un rimando al suo ufficio stampa e alcune interlocuzioni con lo stesso, ci ha fatto sapere di non voler intervenire su una questione che ancora non prevede il nucleare pulito (quello derivante non dalla fissione, ma dalla fusione di atomi ndr), su cui si stanno eseguendo studi.
Nel frattempo c’è chi vaglia percorsi alternativi, come il il consigliere comunale della Lega Alessandro Gennari, promotore di una mozione, approvata il 10 marzo scorso, che impegna l’Amministrazione comunale a promuovere sia la realizzazione di comunità energetiche rinnovabili, sia l’autoconsumo collettivo.
Obiettivi nobili, ma che difficilmente potranno garantire l’autosufficienza. Una prova la fornisce il rapporto di Legambiente Comunità rinnovabili del 2021, che ha stilato una classifica dei Comuni italiani 100% rinnovabili. Sono quelle realtà che, impiegando almeno tre tipi diversi di tecnologia, riescono a soddisfare i consumi termici ed elettrici dei residenti esclusivamente attraverso energia sostenibile. Solo 40 i Comuni entrati in graduatoria, dei quali due in Veneto: Asiago nel vicentino e Limena nel padovano.
Del resto, quando si parla di rinnovabili il quadro è complicato dall’ubicazione geografica, fattore decisivo nel determinare quali risorse naturali possano contribuire a produrre energia a basso costo e a basso impatto ambientale.
Gregorio Maroso

Gregorio Maroso è laureato in Filosofia, Editoria e giornalismo all'Università di Verona. Da sempre si interroga sulla vita e spera che indagare e raccontare i suoi aspetti nascosti possa fornirgli le risposte che cerca. gregoriomaroso@gmail.com

Giovanni Prando
16/03/2022 at 20:46
Da legnaghese, le faccio i miei complimenti per la completezza dell’articolo.
Bravo!
Claudio Toffalini
16/03/2022 at 17:07
Noto l’isteria degli iperliberisti per il debito che lo Stato lascia alle future generazioni. (Un debito che si potrebbe cancellare semplicemente con un clic sul computer della BCE)
Tutto bene invece lasciare alle future generazioni le scorie nucleari che hanno tempi di dimezzamento ben che vada di centinaia di anni?
Alberto Ballestriero
16/03/2022 at 12:01
“Se ci riferiamo al nucleare di quarta generazione, i primi prototipi su scala semi-industriale non arriveranno prima del 2050. Vorrei vedere poi dove verrebbero realizzati gli impianti nucleari visto che non siamo ancora riusciti a trovare un sito dove smaltire le scorie. Il costo del MWh del nucleare è più del doppio rispetto ai nuovi impianti eolici o fotovoltaici. A mio parere per il 2035, al ritmo di 20GW all’anno avremo già realizzato l’utosufficienza con le rinnovabili”. Queste affermazioni, rilasciate in un’intervista del 10 marzo scorso a Il Manifesto, sono del presidente di Elettricità Futura Agostino Re Rebaudengo, la principale associazione del mondo elettrico italiano (500 imprese, 70% della produzione di energia).
Quindi Tosi e Sboarina oltre a dimostrarsi non informati sugli ultimi sviluppi dell’energia, si dimostrano anche non informati sui rischi che tutti stiamo correndo con la guerra in corso in Ucraina. Sono a conoscenza che la più grande centrale nucleare d’Europa è già stata attaccata, volutamente o per accidente, e che abbiamo rischiato la catastrofe? Se questi sono gli amministratori che si propongono alla guida della città…!