Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia nell’ottobre del 1813, a febbraio del 1814 l’esercito austriaco occupò Verona, sostituendosi ai francesi. Nel 1815, con il Congresso di Vienna, Verona entrò a far parte del Lombardo-Veneto, uno Stato dipendente dall’impero austriaco. La città rimase sotto gli Asburgo sino al 1866 quando, con la Terza guerra d’Indipendenza, anche il Veneto si riunì all’Italia.
Verona fu sempre considerata un luogo strategico per gli scambi commerciali e le difese militari e gli austriaci la strutturarono come una vera e propria città-fortezza, a danno dei commerci. A causa dell’importanza di Verona come piazza fortificata la popolazione fu costretta a sottostare alla servitù militare, con vari divieti e con restrizioni sull’ubicazione delle costruzioni civili e industriali.
Tutto questo incise non poco sull’economia cittadina e sullo sviluppo urbano del territorio. In generale l’economia, la cultura, la socialità e la vita della città nel suo complesso patirono pesantemente il clima di stagnazione che contagiò negativamente anche le epoche successive.
La censura austriaca vietò, tra il 1814 e il 1848, la lettura del Decamerone di Boccaccio, le opere di Macchiavelli, di Beccaria e di altri classici. La filosofia e la storia erano considerate, dai due abati incaricati della censura, materie pericolose, così come le persone che vi si dedicavano.
Anche per tutti questi motivi i rapporti tra la popolazione e i militari austriaci furono sempre difficili e particolarmente tesi. Alla metà del 1800 in città risiedevano 36 mila militari, tra una popolazione di 56 mila veronesi. La struttura economica e commerciale si trasformò in funzione della massiccia presenza di soldati austriaci. Verona era diventata una tra le più importanti e strategiche piazzeforti militari d’Europa.
Anche sotto il Regno d’Italia rimase un presidio di frontiera; i vincoli e le limitazioni vissute dalla citta-fortezza durante il periodo austriaco, continuarono e la città mitigò il suo ruolo di piazza fortificata solamente dopo la Prima guerra mondiale. Ma, per oltre un secolo, il suo sviluppo economico, sociale e culturale fu gravemente limitato.
In compenso, la gestione dei militari lasciò ai posteri un vero e proprio museo diffuso, composto da forti e torri in collina; da una rete di lasagne scavate nel tufo; da una cinta di mura magistrali che potrebbero diventare il “parco delle mura”; da un sistema di forti extra moenia all’interno di una fascia verde che va dal Chievo al Pestrino; dalle interessanti strutture architettoniche dell’Arsenale, di Castel San Pietro, della Provianda di Santa Marta, dell’Ospedale di Santo Spirito e di altro ancora. Volumi edilizi e aree verdi che, se pianificati all’interno di uno strumento urbanistico, potrebbero permettere un enorme miglioramento delle condizioni qualitative del nostro territorio.
Sulle opportunità di adeguare il sistema culturale e museale di Verona al valore del suo patrimonio storico e artistico è doveroso citare l’ambizioso progetto di un Grande Castelvecchio. Per oltre 200 anni Verona è stata sottoposta ai rigidi vincoli militari, con tutte le relative conseguenze. Sarebbe tempo che le fosse restituita almeno una parte delle opportunità che le destinazioni e i divieti militari le hanno tolto. Per questo, ritengo antistorico e contro gli interessi della collettività veronese che i militari non condividano lo sviluppo del nostro museo, opponendosi all’allargamento dello stesso negli spazi ora occupati dal Circolo Ufficiali.
È già stato ampiamente spiegato che nella nostra città esistono edifici prestigiosi in grado di ospitare il Circolo, con una eventuale foresteria, come richiesto dagli stessi militari. Impuntarsi per mantenere un privilegio a danno dei cittadini significa non amare la città in cui sono ospitati.
Va anche ulteriormente stigmatizzato l’assurdo progetto della Giunta Comunale di realizzare i Magazzini della Cultura al Pestrino, una zona che potrebbe essere bonificata dalle recenti e fatiscenti palazzine militari e rinaturalizzata. Risulta incomprensibile il motivo per cui non si scelga di esporre le opere artistiche, ora contenute nei depositi del museo, in qualche palazzina dell’Arsenale. Con un solo biglietto si potrebbe visitare il museo di Castelvecchio e, attraversando il ponte scaligero, continuare con la visita dell’Arsenale.
Giorgio Massignan
VeronaPolis

Giorgio Massignan è nato a Verona nel 1952. Nel 1977 si è laureato in Architettura e Urbanistica allo IUAV. È stato segretario del Consiglio regionale di Italia Nostra e per molti anni presidente della sezione veronese. A Verona ha svolto gli incarichi di assessore alla Pianificazione e di presidente dell’Ordine degli Architetti. È il responsabile dell’Osservatorio VeronaPolis e autore di studi sulla pianificazione territoriale in Italia e in altri paesi europei ed extraeuropei. Ha scritto quattro romanzi a tema ambientale: "Il Respiro del bosco", "La luna e la memoria", "Anche stanotte torneranno le stelle" e "I fantasmi della memoria". Altri volumi pubblicati: "La gestione del territorio e dell’ambiente a Verona", "La Verona che vorrei", "Verona, il sogno di una città" e "L’Adige racconta Verona". giorgio.massignan@massignan.com

Maurizio Danzi
30/11/2021 at 22:01
Dalla Fortezza Bastiani.
Rimaniamo colti e rassegnati. Rimaniamo di vedetta. Impettiti nell’uniforme, il viso rivolto all’enorme spazio lontano della città, nulla interessando lo scorrere del tempo.
Un proconsole ci ha rafforzati dal suo silenzio. Una gentile ancella per conto del console delegato ci ha donato il suo sorriso estremo e una cara dolce speranza: fronteggiare i Tartari, combatterli, diventare eroi: sarebbe l’unica via per restituire alla Fortezza la sua importanza, per dimostrare il proprio valore e, in ultima analisi, per dare un senso agli anni buttati via in quel luogo di confine.
Sottotenente Giovanni Drogo.
Redazione2
01/12/2021 at 09:56
È invece succede che l’ultimo giorno, stanchi e malati, mentre scendiamo da quella fortezza che ha impegnato tutta la nostra vita, accadono gli eventi. Ma se così fosse avrebbe ancora un senso: non è scritto da nessuna parte che chi semina debba anche raccogliere.