Mentre la recente edizione speciale, in anteprima, del Vinitaly ha registrato successo di presenza di operatori e di affari conclusi, il problema della Fiera di Verona ritorna al centro del dibattito politico locale. L’occasione immediata è costituita dalla rivendicazione di Cariverona, la fondazione di origine bancaria, espressione della vecchia Cassa di Risparmio locale dopo la fusione con Unicredit, e socio di Veronafiere, di collegare il suo recente contributo di aumento di capitale di 30 milioni a un rinnovamento del gruppo dirigente.
Una richiesta legittima, anche se la durata in carica degli attuali dirigenti e la qualità dell’azione della Fiera rappresentano un fatto singolare rispetto ai diversi enti comunali. In ogni caso, a mio avviso, tale condizione non coglie la situazione e le reali prospettive dell’ente fieristico.
In premessa si potrebbe osservare che l’intervento di Cariverona di ricapitalizzazione della Fiera, come quello analogo dell’Aeroporto Catullo, pur rappresentando la prosecuzione di interventi del passato, durante la gestione Biasi, quando il patrimonio era di ben altra entità, oggi non appare coerente con le finalità istituzionali della stessa Fondazione fissate dalla legge istitutiva e riguardanti gli ambiti della cultura e della solidarietà sociale. Finalità del tutto diverse dal ruolo di agenzia finanziaria a sostegno degli investimenti negli enti economici partecipati dal Comune che questi interventi configurano.
In secondo luogo, la Fiera, pur essendo diventata l’ente comunale che mediamente influisce in modo significativo sullo sviluppo locale, come dimostrano le rassegne più rilevanti di Vinitaly, Marmomacc e Samoter, che contribuiscono a definirne una identità efficiente, non ha risolto adeguatamente il problema del suo futuro. Essenzialmente per due motivi: la mancata fusione con altre fiere, indispensabile per raggiungere una dimensione che la renda competitiva sul mercato globale, nel quale, in parte è già inserita, e la debolezza finanziaria, evidenziata dalla enorme difficoltà e dal carattere anomalo dell’ultima ricapitalizzazione, nonché dalla insufficienza dei mezzi finanziari per realizzare gli indispensabili investimenti futuri.
Circa il primo motivo pesa, tra i possibili progetti di fusione, in particolare va ricordato il fallimento del progetto fieristico regionale veneto lanciato da Zaia e mai avviato, con le conseguenti alleanze alternative della Fiera di Vicenza con quella di Udine, e della fiera di Padova rivolta altrove.
Sul piano finanziario, dopo la fusione delle banche locali, con il trasferimento del baricentro finanziario e gestionale a Milano, Verona ha ridotto al lumicino le fonti di finanziamento locale e l’assenza di un reale progetto di fusione impedisce alla Fiera di partecipare all’utilizzo dei fondi del PNRR.
Con questi limiti strutturali si sta sempre più profilando un’ipotesi di fusione necessitata, nella quale il ruolo della nostra Fiera, saltate tutte le altre ipotesi, diventa inevitabilmente subalterno; e, non a caso, l’ipotesi che allo stato appare più realistica è quella di una fusione con la Fiera di Milano, con effetti analoghi a quanto è avvenuto con le banche e l’aeroporto.
Una sorte che, alla luce dell’esperienza, non appariva e non appare inevitabile, ma, per i modi e gli effetti con i quali si è concretizzata, risulta la conseguenza dei limiti della nostra classe dirigente, politica e non solo, incapace di affrontare un negoziato all’altezza dei problemi che potevano essere risolti in termini positivi anche per il nostro territorio. Per questo i conflitti attuali appaiono in tutta la loro inadeguatezza e distorsione rispetto alla realtà e alle prospettive della Fiera, e acquistano il senso di una polemica marginale destinata a non cambiare i preoccupanti dati di fatto.
Verona, che in passato era riuscito a dar vita a un sistema di enti che nei decenni successivi hanno svolto una funzione di traino della crescita e della qualità della vita del territorio, oggi attraversa una fase di declino nella quali tali enti stanno progressivamente perdendo le battaglie dell’innovazione e della fusione con enti analoghi per acquisire una dimensione e un livello di efficienza tali da renderli protagonisti nella nuova realtà delle condizioni di vita e del mercato.
Avendo in gran parte perduta l’autonomia finanziaria, indispensabile per gli investimenti finanziari necessari per garantire il futuro, molte scelte della politica locale corrono sempre più il rischio di ridursi a premesse, più o meno consapevoli, alle scelte decisive di un re di Prussia che riesce, a prezzi di svendita, ad acquisire la proprietà o il controllo degli enti. Un processo regressivo, destinato ad influire negativamente sul futuro della città e dei cittadini. Un problema vitale, che dovrebbe essere al centro del dibattito politico in occasione delle elezioni comunali del prossimo anno.
Luigi Viviani
Urgente la fusione con altre fiere per competere con il mercato globale e uscire dalla debolezza finanziaria

Luigi Viviani negli anni Ottanta è stato membro della segreteria generale della CISL, durante la segreteria di Pierre Carniti. Dopo aver fondato nel 1993 il movimento dei Cristiano Sociali insieme a Ermanno Gorrieri, Pierre Carniti ed altri esponenti politici, diviene senatore della Repubblica per due legislature. Nel corso della legislatura 1996-2001 è stato sottosegretario al Lavoro con il ministro Cesare Salvi; nella successiva, vicepresidente del gruppo dei Democratici di Sinistra al Senato. viviani.luigi@gmail.com

Enrico
07/11/2021 at 20:04
Una visione prettamente economico-finanziaria, ma esistono altri parametri ed altri valori su cui giudicare la bontà dell’operato di una realtà economica.
Ciò che i cittadini vedono sono un ente fiere ed un Comune (che ne è il maggiore azionista) che si dimenticano (anche se è più probabile che proprio non vogliano vedere) che attorno alla fiera vivono e lavorano almeno 60.000 cittadini che non dovrebbero vedere costantemente compressi i loro diritti alla vivibilità ed alla salute.
Perché si lascia, anche in questi giorni, che i quartieri siano invasi dalle auto e si mantiene chiuso il nuovo parcheggio scambiatore della Genovesa?
Dove sono inoltre le dovute opere compensative (adeguati parcheggi e verde di mitigazione) relativi all’ampio ed ingombrante insediamento di questa società?
Non è forse tenuta, al pari delle altre realtà imprenditoriali, a rispettare requisiti di insediamento urbanistico?
Non bastano le belle intenzioni declamate nei bilanci ambientali…
Quanti alberi ha piantato l’Ente nelle proprie ampie aree di insediamento? Temiamo piuttosto che, come il socio Comune, siano più quelle tagliate.
Ecco, anche queste sono prospettive di cui tenere conto per uno “sviluppo sostenibile”, oltre che possibile.
ODC
07/11/2021 at 12:20
Noi ad Atene facciamo così. Discorso di Pericle agli Ateniesi.
Quanto è distante la nostra Verona ? Ben oltre 2400, anni e più.