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Lettere

Le donne in Afghanistan: un dramma che non può essere ignorato

Il ritorno al potere dei Talebani ha segnato per la condizione femminile nel paese afghano un altro rovinoso declino, che ci riguarda tutti.

Donne afghane (Foto Osservatore Romano)
Donne afghane (Foto Osservatore Romano)

Afghanistan: alla ribalta una drammatica questione di genere che merita riflessione e azione forti. In un Paese come il nostro, che insorge e non esita a passare anche alla violenza in nome di un malinteso diritto di libertà di scelta in materia sanitaria, noi tutti/e non possiamo non ribellarci e mobilitarci per i soprusi che vengono compiuti sulle donne in Afghanistan. Nel mondo ormai reso globalizzato dalla comunicazione tutti siamo coinvolti ed interpellati.

Qui è infatti in atto la negazione più radicale della donna nel suo essere persona, madre, attivista politica, soggetto di diritti. Qui è con ignominia in gioco il suo ruolo sociale, giuridico, tout court il suo voler esistere. Una cultura che, con la riconquista del governo da parte dei Talebani, espressione del più cupo fondamentalismo islamico, aderisce alla violazione feroce di ogni dignità umana, sembra cancellare tutto il percorso che le donne hanno storicamente compiuto.

Qui la donna, venti anni fa, con la caduta dei Talebani ad opera dell’intervento delle Nazioni Unite, aveva fortemente sperato che il suo destino stesse finalmente cambiando. Si era illusa che, grazie a un mutamento politico e sociale più generale del Paese, avrebbe guadagnato ruolo, diritti e dignità. Era consapevole che il percorso di emancipazione sarebbe stato lento e complesso. Ambiva infatti ad abbandonare una condizione atavica di subalternità, che la rendeva presenza negata come corpo e mente, vittima di un possesso maschile che le usava contro ogni forma di sopruso in nome di una legge teocratica.

Si percepiva però che la carica di un’energia trasformativa della cultura era in atto. Per sé stesse e per le figlie, le donne avevano lottato, si erano riappropriate del diritto allo studio, della scelta di un ruolo professionale e gradualmente si erano imposte nei luoghi pubblici occupando incarichi nei settori della comunicazione, della medicina e dell’educazione. Il loro obiettivo era di rappresentare e veicolare nuovi modelli culturali che le strappassero alla dipendenza maschile. Dunque dall’invisibilità del burqa alla visibilità del corpo e della parola.

Ora, dopo vent’anni, il ritorno al potere dei Talebani ha purtroppo fatto tabula rasa di questo arduo cammino di emancipazione e ha fatto ripiombare l’Afghanistan nel più buio oscurantismo della restaurazione. Ignorando velocemente le false promesse dell’ascesa, questi fondamentalisti hanno così inasprito la condizione femminile con una lunga serie di perverse restrizioni, dal divieto di lavorare all’esterno della casa, accedere alle scuole e praticare sport, all’impossibilità di avere rapporti sessuali non coniugali, ascoltare musica e danzare. Nessuna concessione poi alla visibilità, all’estetica del corpo, che ritorna ad essere segregato nel burqa. Tutto ciò pena crudeli punizioni fisiche fino alla lapidazione. Nella negazione totale dell’essere femminile, la stessa parola “donna” è stata bandita dall’uso corrente.

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A fronte di questi ignobili provvedimenti, tra le donne afghane, quelle che hanno potuto sono fuggite, altre terrorizzate si sono barricate in casa, altre ancora, politicamente più agguerrite, continuano con coraggio a battersi avvalendosi di tutti gli strumenti che l’era della comunicazione mette al loro servizio.

Anche la conferenza del G20 di ottobre e l’intera comunità internazionale guardano così oggi a Kabul e a quanto accade alle donne. Si attivano per ripristinare libertà e diritti, anche se c’è la consapevolezza che spesso le buone e giuste intenzioni non bastano a raggiungere gli obiettivi, perché complesse e contraddittorie sono le relazioni politiche ed economiche che legano i vari Paesi.

Ciò che almeno per tutte noi donne deve risultare sempre e comunque irrinunciabile è la lotta contro la violazione dei diritti umani. Quei diritti che anche nel nostro bel Paese democratico, piagato dai femminicidi, vengono purtroppo calpestati giornalmente a scapito delle donne e della nostra storia. Ma rimane fermo che non è più lecito girare la testa dall’altra parte.

Corinna Albolino

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Written By

Originaria di Mantova, vive e lavora a Verona. Laureata in Filosofia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si è poi specializzata in scrittura autobiografica con un corso triennale presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (Arezzo). In continuità con questa formazione conduce da tempo laboratori di scrittura di sé, gruppi di lettura e conversazioni filosofiche nella città. Dal 2009 collabora con il giornale Verona In. corinna.paolo@tin.it

1 Comment

1 Comment

  1. Paola Lorenzetti

    16/10/2021 at 10:49

    Grazie Corinna, per aver riportato la condizione femminile afghana ancora alla nostra attenzione, che si era affievolita dopo le prime settimane dall’avvento dei talebani. Dobbiamo invece ogni giorno lottare dai nostri paesi perché i diritti minimi delle donne non vengano soppressi. Forse chiedere dei presidi dell’On nel paese potrebbe servire a qualcosa?

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