Giovedì 7 ottobre alle 17 nella Sala Farinati della Biblioteca Civica, con il patrocinio del Comune, il fotografo Alessandro Gloder presenta il suo libro Verona ReNova, 115 immagini in grande formato della città, scattate durante il primo confinamento anti-Covid, che aveva spopolato strade e piazze. Sabato e domenica alla bottega Gloder di via Sottoriva 52ª il libro sarà presentato dall’autore e messo in vendita a 40 euro.
Guardiamo la città che si immagina in Shakespeare (“non esiste mondo fuori delle mura di Verona: non c’è che purgatorio, supplizio, l’inferno stesso”, come piange Romeo); guardiamo la stessa Verona che si esalta in Dante (“lo primo tuo refugio e ‘l primo ostello”, Paradiso, appunto, canto XVII, verso 70). Ma guardiamola, la città, come una cosa nuova. ReNova, nell’anagramma latino di Verona che Alessandro Gloder ha scelto come titolo per il suo libro di fotografie.
La cosa nuova è il primo confinamento per la pandemia (marzo- maggio 2020). Cosa nuova a memoria d’uomo, allora. Oggi sappiamo che può ripetersi: nel frattempo c’è stato un secondo confinamento. Quello straniamento di silenzio e deserto urbano è da dimenticare, per chi lo ha vissuto; da non credere, speriamo, per le prossime generazioni.

Verona renova (foto Alessandro Gloder)
Ricordare, quindi, è un servizio che ci rende il fotografo. Aiuta il bianco e nero di queste immagini. Come accadeva nel primo confinamento, fa silenzio. Affermazione in assenza, direbbe uno psicologo: a farsi desiderare, sulla pagina, sono i colori, così come nel silenzio desideravamo sentire una voce nella via Mazzini del passeggio, ma allora silenziata, senza il vociare abituale. Il bianco e nero come una forma di pudore che ci accompagna al ricordo. Il bianco e nero è una scelta artistica, che non vuol dire irrealistica. Capita anzi in tempi di pandemia che sia la realtà a imitare l’arte.
A Verona con Shakespeare succede tutti i giorni, chiedere alla segreteria postale di Giulietta, che sbriga quotidianamente la corrispondenza in arrivo da tutto il mondo per l’eroina della tragedia. Ma stavolta, in tempo di pandemia, alla tragicommedia si è dedicata la burocrazia governativa britannica: là si chiama “red tape”, dal colore del nastro con cui si legavano i faldoni di scartoffie; ma stavolta si è espressa in bianco e nero.
Il governo di Sua Maestà, dunque, ha prodotto un documento che sembra una delle cancellazioni per cui è diventato famoso Emilio Isgrò. L’artista veneziano cancella testi famosi, dai Promessi Sposi alla Bibbia, per riaffermarne il valore in assenza di possibile lettura. I censori londinesi hanno conciato alla Isgrò un rapporto del comitato scientifico consultato sulla pandemia. Lo chiamano Scientific Advisory Group on Emergencies, in sigla Sage.

Scientific Advisory Group on Emergencies (Sage)
Creativi nelle sigle, gli inglesi, ma non solo: il rapporto, che criticava le prime politiche sanitarie del governo Johnson, lo hanno pubblicato, ma tutto cancellato. Isgrò, che nasce giornalista, potrà essere criticato come artista, ma nessuno lo tocchi quale profeta. Auguriamocelo, “in un tempo”, parole sue per la ripresa dalla pandemia, “in cui l’arte contemporanea (diventata un potentissimo strumento mediatico) contribuisce non poco all’immagine anche economica d’un Paese, non meno che l’economia in senso stretto”, (Emilio Isgrò, Oggi servono artisti liberi, su Avvenire, primo maggio 2021).
Ci voleva un fotografo in bicicletta a girare solitario, con il permesso della prefettura, per consegnarci questo album di una Verona re nova anche per i suoi abitanti, che non erano autorizzati a esplorarla così, dappertutto. Ciascuno – ricordate? – doveva battere solo e sempre le solite strade: casa, lavoro, edicola, farmacia… Su tante altre strade, nel silenzio che sanno ricreare, le immagini di Gloder evocano l’eco di storia e leggende.
Ognuno trovi la sua strada: le pagine non sono numerate, proprio perché ciascuno vi crei un personale itinerario. Questo che segue è solo d’esempio: se volete, andate a cercare le immagini che lo hanno disegnato, e meglio se vi perderete per ritrovarvi sui passi vostri. Narra la leggenda che Antonio Miglioranzi costruì la prima casa fuori porta. La vedete in fotografia, con l’orgoglioso frontone firmato “Miglioranzi Antonio”, all’incrocio di corso Milano: così, senza gente, quel posto avrebbe potuto fotografarlo Moritz Lotze, alla fine dell’Ottocento. Ma il luogo allora era senza case, solo la spianata al di là dei bastioni, che il fotografo tedesco documentò. Magari si sarebbe fermato un carrettiere, sostando abbastanza per fissare la sua immagine.

Verona renova (foto Alessandro Gloder)
Un altro cortocircuito mentale: queste immagini urbane di Alessandro Gloder, tecnologia digitale, rievocano deserti urbani come quelli del fotografo pioniere Nadar, costretto a lasciare l’obiettivo aperto per mezz’ora davanti alla lastra di vetro al bromuro d’argento, così vi restavano impressionati gli edifici, ma niente che fosse in movimento.
Il confinamento ci rivela, nelle foto di Gloder, una città che dal movimento è segnata, anche se movimento non c’è. Il tratto dominante del paesaggio urbano veronese, nei colori romantici del grande visitatore ottocentesco John Ruskin, è “the peach blossom marble”, il marmo tinta fior di pesco. Nel bianconero realistico di Gloder, il tratto dominante del paesaggio è invece la segnaletica orizzontale per il traffico automobilistico. Sparite le macchine (tranne davanti alle chiese e ai monumenti, lì stazionano perennemente) ecco evidenziata la geometria di frecce, strisce, zebre, triangoli. Così non le avevamo mai osservate: assolutamente inutili, visto che non c’è un’automobile, sembrano fatte solo “per bellezza” (virgolette d’obbligo).
Effetto ancora più straniante dove l’inutilità è al cubo. Guardate le strade attorno a piazza Renato Simoni, immaginata dal fascismo per l’adunata, per fortuna non realizzata; il grattacielo al posto dell’arengario littorio, e per fortuna; le frecce disegnate per terra, a indicare la direzione verso il cantiere del filobus avviato con strage di alberature prima della pandemia, e che invece non si farà più, e per fortuna.

Verona renova (foto Alessandro Gloder)
Pandemia, cioè epidemia universale: quando tutto il mondo era coinvolto, siamo stati chiusi nell’orizzonte domestico. Uno sguardo parrocchiale, diciamo. Sembra una brutta parola, parrocchia, suona di stantio, restrizione geografica che si fa anche mentale. Gli amicucci della parrocchietta, Alberto Sordi. Invece è una bellissima parola: para-oikia, in greco, vuol dire quasi-casa, dimora temporanea; un avviso che l’assoluto non può essere chiuso in quattro mura, per nobili che siano. Per esempio, Sant’Anastasia, “la chiesa più bella di Verona” (Antonio Paolucci, che l’ha scritto quand’era direttore dei Musei Vaticani). All’ombra del campanile c’è la Sottoriva dove ha bottega Alessandro Gloder.
Dai tempi del primo confinamento, documentati dalla foto, già qualcosa è cambiato: ora c’è la paratia antialluvione alla porta. Non è solo il virus la minaccia globale, prepariamoci alle piogge monsoniche da riscaldamento climatico. L’ha detto il parroco del mondo, papa Francesco, nel memorabile Venerdì Santo sulla deserta Piazza San Pietro: “Credevamo di poter vivere sani in un mondo malato”.
Ma torniamo alla nostra, di parrocchia, e guardiamo il corso Sant’Anastasia, fotografato dalla piazza Erbe. Si può osservare la veduta come Marcel Proust ammirò quella di Delft nel quadro di Johannes Vermeer ora al Mauritshuius dell’Aja, “il più bel dipinto al mondo”, parola di Proust. (A proposito, merito del confinamento, gli studiosi hanno avuto il tempo per studiare ancora il quadro. Donald Oldson, astronomo alla Texas State University, ha stabilito che, secondo le ombre sul campanile della Nieuwe Kerk, il dipinto riproduce esattamente il paesaggio alle ore 8 del 3 settembre 1659).

Verona renova (foto Alessandro Gloder)
Ma guardiamo con gli occhi di Proust, che si sofferma su “una piccola ala di muro gialla…dipinta così bene da apparire, a guardarla isolatamente, simile a una preziosa opera d’arte cinese, di una bellezza che basta a se stessa”. Ecco, guardiamo ora così anche il corso Sant’Anastasia deserto, fotografato da Alessandro Gloder, ore 6,54 del 22 aprile 2020. In fondo a sinistra, dietro un cartello stradale con il divieto d’accesso, si alza una stretta striscia verticale di colore uniforme. Come una pennellata di grigio.
È il telone che copriva il ponteggio all’angolo con via Fogge, il cantiere per il restauro della facciata bloccato dalle regole del confinamento. Sotto il telone si nascondeva la Madonna di Verona, scultura di Donatello, lì sul muro dal 1450. Il proprietario della casa, Ferruccio Perlini, ha voluto farla restaurare per l’occasione. È riapparsa alla fine del confinamento, finiti anche i lavori. Una Madonna dolente, il genio di Donatello deve aver preso per modella una mamma in depressione post partum. Ma guardiamola nella fotografia della restauratrice Francesca Amati, studio Cristani (sede in via don Bassi, sempre nella parrocchia).

Madonna di Verona, via Fogge, particolare
Così finora poteva vederla solo il fortunato padrone di casa, dal balcone giusto a fianco: la bocca della Madonna triste si piega in un mezzo sorriso. Quello che ci vuole, per affrontare la ripresa. Avete bisogno di un sorriso tutto per voi? C’è una copia di questa Madonna donatellesca anche al museo civico veronese di Castelvecchio, là trasportata da vicolo Balena: la scultura è stata promossa nella sala grande della Reggia, durante il secondo confinamento; adesso è vicino alla porta in fondo e, se vi appoggiate allo stipite e guardate in su, la Madonna vi sorride.
E la leggenda di Antonio Miglioranzi e della sua casa, la prima in corso Milano? Si narrava a Verona che Antonio Miglioranzi, attendente del signor generale comandante la fortezza, nei tre anni in cui durava allora la naja aveva ben pensato al suo futuro. Ne aveva spesso parlato al suo generale: “Eccellenza, se lei mi rilasciasse un’autorizzazione perché io possa costruire una casetta fuori porta San Zeno… Se potessi aprire una botteguccia lì, finito il servizio militare, sarei a posto”.
Niente da fare: la legge, ancora dai tempi della Serenissima, prescriveva che nulla sorgesse fuori dai bastioni, per non dare riparo ad assedianti e perché l’artiglieria dei difensori potesse liberamente tirare su tutta la spianà. Venne il re in visita a Verona e il generale accorse al ricevimento. Nel salone vide subito il cardinale vescovo e si piegò devoto a baciargli l’anello. Ma solo allora il generale si accorse del re e scattò sull’attenti nel saluto militare. Che cappella! Salutare prima il vescovo e solo dopo – dopo!!! – Sua Maestà! Magari Sua Maestà non se ne è accorto, ma figurati se gli altri non avranno notato l’errore. Imperdonabile. Il generale cadde in una profonda depressione. Vedeva la fine della sua carriera. Nulla più gli interessava.
Fu così che un giorno, tra le carte degli ordini giornalieri, Achille Miglioranzi gli passò la sua petizione per la casetta e il generale gliela firmò, senza neanche guardarla. Iniziava lo sviluppo urbanistico della Verona contemporanea, senza progetti ma su iniziativa della speculazione privata, complice la corruzione dei pubblici poteri, facilitata dalla trascuratezza nel vigilare sui regolamenti e sulla loro applicazione. Come cosa nuova, ma questa è una storia vecchia.
Giuseppe Anti

Giuseppe Anti è nato a Verona il 28 agosto 1955. Giornalista, si è occupato di editoria per ragazzi e storia contemporanea; ha curato fino al giugno 2015 gli inserti "Volti veronesi" e le pagine culturali del giornale L'Arena. giuseppe.anti@libero.it

Maurizio Danzi
08/12/2021 at 16:47
Leggo, con colpevole ritardo, questo bell’articolo.
Complimenti all’Autore.