Anche Verona ha i suoi condannati per mafia. A un anno dall’arresto di 33 persone nell’ambito dell’operazione “Taurus”, Verona è ufficialmente terreno di ‘ndrangheta, con i suoi mafiosi e i suoi pentiti. 24 dei 33 imputati sono stati condannati lo scorso 5 luglio 2021 alla pena detentiva per vari reati nonché al risarcimento dei danni alle parti civili tra cui Regione Veneto, Cgil Veneto e Cgil Verona. Il giudice ha confermato inoltre i provvedimenti di confisca di beni per oltre 3 milioni di euro.
La presenza della criminalità organizzata a Verona è di lunga data ma – dal primo processo a Felice Maniero e alla Mala del Brenta – si è dovuto aspettare 25 anni perché si ricominciasse a parlare del 416-bis (reato di associazione a delinquere di stampo mafioso): nel luglio del 2020 partono cento avvisi di garanzia e i Carabinieri del R.O.S. arrestano 33 persone tra Veneto, Emilia Romagna, Lombardia e Calabria, riaccendendo definitivamente i riflettori su traffico di stupefacenti, rapina, estorsione, usura, riciclaggio, turbata libertà degli incanti, furto aggravato, favoreggiamento e violazione delle leggi sulle armi. L’operazione Taurus, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Venezia, prendeva il via dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia relative a traffici di droga verso il Veneto ma porta poi gli inquirenti a scoperchiare il vaso di Pandora della ‘ndrangheta a Verona: i sodalizi criminali in provincia risalgono infatti ai primi anni Ottanta e i reati commessi da affiliati ndranghetisti residenti a Villafranca, Sommacampagna, Valeggio, Isola della Scala e Lazise sono il frutto di legami consolidati tra tessuto economico locale e ndrine originarie della piana di Gioia Tauro.
E’ partito tutto da Sommacompagna, comune veronese in cui – come racconta il giornalista Gianni Belloni alla Commissione Parlamentare Antimafia – «un imprenditore di discreto successo aveva una forma di adattamento e di collaborazione con le mafie e non era per nulla minacciato». Un legame quello con il territorio taciuto e poi negato anche da molta politica, che per decenni ha guardato al fenomeno mafioso come a un corpo estraneo alla realtà locale: «La chiusura del rito abbreviato, con le relative condanne, e i rinvii a giudizio sono la dimostrazione evidente della presenza della criminalità organizzata nel tessuto produttivo regionale. L’ennesima prova che non siamo più di fronte a sporadiche infiltrazioni, ma a un radicamento che parte da tempi lontani», dichiarano Silvana Fanelli (Cgil Veneto) e Stefano Facci (Cgil Verona).
Annalisa Mancini