Restare per due anni di fila senza Vinitaly (e anche senza Fieracavalli) è una mazzata che avrebbe tramortito chiunque. Figuriamoci Veronafiere, che già benissimo non stava. Quasi due anni di pandemia hanno portato in dote a Verona anche questo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: i soci di Veronafiere hanno sottoscritto un aumento di capitale da 30 milioni di euro, ma nello stesso tempo hanno cominciato a litigare. Comune di Verona (socio con il 39,48 per cento) contro Fondazione Cariverona (socio con il 24,08 per cento), nonostante le premesse portassero a una ripartenza della Fiera, dopo un periodo così travagliato che ha colpito duramente l’intero settore.
“L’industria fieristica italiana ha registrato perdite di fatturato prossime all’80% nel corso del 2020, con punte del 100%, a cui si aggiungono quelle delle filiere collegate, allestitori e congressuale in primis, e l’indotto generato, diretto e indiretto”: sono parole di Maurizio Danese, presidente di Veronafiere oltre che di Aefi, l’associazione che rappresenta le fiere italiane.
Con queste basi, l’aumento di capitale deliberato all’unanimità la scorsa settimana dall’assemblea dei soci “a sostegno dello sviluppo del Piano d’azione per la ripartenza del Gruppo Veronafiere”, è sembrato il punto fermo della possibile ripartenza, pur con un programma e dei piani di investimento tutti da scrivere.

Maurizio Danese
“Il voto unanime dei soci – di nuovo Maurizio Danese – è la premessa fondamentale per iniziare un percorso che porti a una conclusione positiva questo lungo periodo di grave difficoltà per Veronafiere che, come tutto il sistema fieristico mondiale sta ancora pagando un duro prezzo a causa della pandemia da Covid-19. L’aumento di capitale consentirà di attuare il Piano di azione per la ripartenza che prevede un 2021 di transizione per uscire dall’emergenza Covid, agganciare la ripresa nel 2022 e tornare entro il biennio 2023-2024 ai livelli pre-crisi, generando fatturato, redditività e indotto che la Fiera di Verona ha assicurato a soci, stakeholder e territorio fino al 2019. In questo scenario, i soci hanno assicurato il loro sostegno per lo sviluppo internazionale della società, anche attraverso alleanze e collaborazioni”.
La prima fase dell’aumento di capitale riservata ai soci si concluderà il 30 giugno prossimo. Da quella data e fino al 30 settembre 2021 eventuali quote non sottoscritte (Cariverona?) saranno disponibili sul mercato. Fin qui i fatti, dunque.
Cariverona ha però subito messo le cose in chiaro: “La Fondazione ha partecipato in qualità di socio all’assemblea straordinaria convocata da Veronafiere Spa per l’approvazione di una proposta di aumento di capitale. La Fondazione ha espresso voto favorevole alla delibera proposta dal consiglio d’amministrazione. Intervenendo nella discussione, il presidente di Cariverona, Alessandro Mazzucco, ha confermato la disponibilità a sottoscrivere l’aumento anche per un importo superiore a quello di pertinenza della partecipazione detenuta dalla Fondazione (24,08% del capitale sociale)”.

Sboarina, Danese, Mantovani
Bene. Ed ecco la stoccata: “Tale sottoscrizione potrà tuttavia avvenire in un ambito di condizioni ragionevoli e raggiungibili, che Cariverona sollecita fin dal 2018 a Veronafiere e agli altri soci”. Tradotto, significa che Cariverona si aspetta una cosa, o meglio due: il cambio di management ai piani alti di Veronafiere, per cominciare, e poi anche una mano più libera verso l’ingresso di nuovi soci, magari con un occhio di riguardo al capitolo investimenti.
Una presa di posizione che però non è andata tanto giù al sindaco di Verona Federico Sboarina, che rimarca la centralità del radicamento territoriale: “La città non può fare a meno della sua fiera e dal 1898 mai come oggi è il momento di finirla con le chiacchiere e di dimostrarlo con i fatti. L’aumento di capitale serve al rafforzamento e al miglioramento della società, nel farlo non accettiamo condizioni di nessun tipo. L’interesse dei soci è di avere un’azienda sempre più performante che sta ai livelli alti del mercato mondiale, ma ben salda sul territorio. Per il bene della nostra città nessuno dovrebbe essere in disaccordo e spero che non ci siano posizioni che non corrispondono al bene della nostra comunità. Il radicamento territoriale è un valore non barattabile”.

Alessandro Mazzucco
Primo e secondo socio di Veronafiere che fanno a botte l’uno con l’altro in un periodo, per così dire, non proprio favorevole per il settore. Uno scontro, quello tra primo cittadino e Cariverona, che non è di certo sfuggito a Flavio Tosi, ex sindaco e futuro candidato sindaco, che non perde l’occasione per attaccare l’attuale primo inquilino di palazzo Barbieri: “Stiamo parlando dell’asset cittadino più importante per prestigio e indotto economico, ma il sindaco sembra non badarci e anziché mediare nell’interesse della stessa Fiera, si mette a litigare con Fondazione. Invece di sanare i conflitti, li alimenta e li acuisce”.
È la campagna elettorale, bellezza. E inevitabilmente lo scontro piomba anche nell’agenda del centrosinistra: “La fragilità finanziaria in cui si trova la Fiera è certamente dovuta alla pandemia ma non solo – è l’opinione dei consiglieri dem Elisa La Paglia e Federico Benini –. Errori strategici ne sono stati fatti. Al sindaco ora chiediamo lucidità e condivisione, o si rischia di rivedere lo stesso film dell’aeroporto, in cui siamo arrivati a trattare alleanze con possibili partner industriali con il cappello in mano invece che da posizione solida e forte”.

Federico Benini
“Da tempo avevamo evidenziato che i problemi della Fiera non derivavano soltanto dal Covid, ma risalivano a ben prima della pandemia e sono riconducibili a una gestione gravemente carente sotto tutti i punti di vista: degli investimenti, dei risultati, della trasparenza e di una inaccettabile autoreferenzialità. Ora il rischio è grosso – sottolinea Michele Bertucco, di Sinistra in Comune –, visto che il Comune per la Fiera deve già sborsare 12 milioni di euro. Se dovesse trovarsi nelle condizioni di metterci anche i 7 milioni di Cariverona l’avanzo di amministrazione non basterebbe”.
Avanzo di amministrazione, per la cronaca, che ammonterebbe a poco meno di 30 milioni di euro. In totale. Basteranno per tutto? A meno che il Comune non trovi un’altra strada per saldare il conto: una decisione di giunta del febbraio scorso prevederebbe infatti “il conferimento alla società Veronafiere, in conto capitale, delle aree site in viale del Lavoro e in via Scopoli”. Certo, difficile che Veronafiere accetti un simile scambio sotto la voce “aumento di capitale”, ma tant’è.
Insomma, dopo l’aeroporto, la Fiera. A proposito di aeroporto. È di questi giorni l’annuncio da parte di Ryanair di 23 nuove rotte per l’estate 2021 sugli scali del polo aeroportuale del Nordest: solo una di queste 23 riguarderà il Catullo (destinazione Corfù, le altre 22 tutte da Treviso). Non proprio un bel segnale per lo scalo veronese. E ora nel barattolo degli “asset” da difendere a tutti i costi e sui quali litigare e stracciarsi le vesti c’è finita la Fiera. Con miglior fortuna?
Carlo Garzotti

Giornalista professionista, collabora con giornali, riviste e testate web di Verona e nazionali. In città ha coordinato la redazione del settimanale L'Adige di Verona, ed è tra i fondatori della testata all news VeronaSera, della quale è stato anche direttore responsabile. Scrive di politica, attualità, economia, sport, e di tanto altro ancora. carlo.garzotti@gmail.com

ODC
27/04/2021 at 10:34
Credo che la vicenda della Fiera sia paradigmatica.
Un socio forte decide di mettere soldi per ri-lanciare,l’Azienda .
Chiede nel contempo ,che si rifletta sul managment.
L’altro socio si irrigidisce . vuole mantenere fiduciariamente alcune caselle .
Esattamente come in Regione , o in Comune a Verona ( dove in attesa delle nuove elezioni,una quindicina di eletti dal popolo hanno pensato bene di cambiare poltrona ).
E’ in corso una deriva formata da incompetenti , disperati del posto fisso,piccoli faccendieri, che con l’amministrazione della cosa pubblica non c’entrano nulla .
E’ di città immobile , ricca di sensali che hanno fatto della politica non più un’arte ma un lavoro, priva di valori morali prepolitici , di cui stiamo parlando .
E proprio questa assenza di valori etici che ci porterà alla rovina.