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Cultura

Raid a Verona contro la stampa libera ma non sono stati i fascisti

100 anni fa, dopo l’accordo tra Giolitti e Mussolini, la spedizione “liberale” contro il Corriere del Mattino, quotidiano popolare e antifascista.

San Pietro Incarnario, Verona
San Pietro Incarnario, Verona, sede del Corriere del Mattino

L’attacco all’informazione oggi è informatico: gli hacker scatenati contro il sito noipartigiani.it, che ha raccolto 500 testimonianze tra gli ultimi rimasti in vita della Resistenza. Cent’anni fa, il 24 aprile 1921, l’assalto fu materiale: mazze ferrate contro le macchine al Corriere del Mattino, il giornale popolare e antifascista di Verona, che poi le camicie nere assaliranno nel 1922 e che sarà chiuso definitivamente dal regime nel 1926. Questo 25 aprile ci fa ricordare non solo come fu riconquistata la libertà nel 1945, ma come si iniziò a perderla vent’anni prima.

Il luogo da visitare è piazzetta San Pietro Incarnario. Tranquilli, non c’è rischio di assembramento: non ci troverete nessuno. Proprio l’assenza è, però, affermazione di presenza: c’è sul muro un’iscrizione che dice tante cose del luogo, tranne una. Una tabella ricorda che “nella chiesa e nei dintorni” il beato Carlo Steeb celebrò la prima messa, don Nicola Mazza fu cresimato, santa Maddalena di Canossa iniziò le sue opere di carità, il beato Antonio Rosmini alloggiò, san Daniele Comboni fondò le missioni africane. E ancora, sempre qui, san Gaspare Bertoni, madre Teodora Campostrini, don Antonio Provolo, padre Filippo Bardellini… Non c’è dubbio: un luogo storico per la cristianità.

San Pietro Incarnario, Verona. La targa ricorda i personaggi illustri transitati in questo luogo ma non menziona il Corriere del Mattino, giornale popolare e antifascista fondato nel 1916 da Giovanni Uberti.

San Pietro Incarnario, Verona. La targa ricorda i personaggi illustri transitati in questo luogo ma non menziona il Corriere del Mattino.

Qui si trova la Verona dell’Ottocento e del Novecento che può guardare a tanti suoi figli e dirsi Ti fanno onore, titolo del libro dedicato da monsignor Giovanni Cappelletti ai grandi concittadini. Ma un capitolo di quel libro è dedicato anche a Giovanni Uberti (Verona, 1888-1964), “il sindaco dei poveri” nel dopoguerra della ricostruzione. E in questo luogo, San Pietro Incarnario, c’era appunto la sede del giornale da lui fondato nel 1916, il Corriere del Mattino, che nel 1919 diventò organo del Partito Popolare Italiano (PPI) e si schierò contro il nascente fascismo, tanto che Mussolini lo chiuse definitivamente nel 1926, con le leggi che sancirono il regime dittatoriale.

In quella primavera del 1921 ci si preparava alle elezioni di maggio, che avrebbero portato alla Camera i fascisti, grazie all’alleanza nei listoni nazionali del liberale Giovanni Giolitti. L’Italia usciva da un biennio di scioperi e agitazioni sociali: tramontati i sogni di rivoluzione di socialisti e comunisti (“fare come in Russia”) e le velleità del Partito Popolare di dare rappresentanza alle grandi masse contadine, anche il fascismo è però in crisi: nessun eletto nel 1919, ras locali in contrasto con Mussolini. Ma siamo alla svolta: la violenza delle camicie nere si impone in città e campagne contro socialisti e popolari, che se si alleassero avrebbero una grande maggioranza alla Camera. Invece Giolitti fa posto ai fascisti nel suo blocco di potere liberale. Ha l’illusione di servirsene. Salva così Mussolini dalla crisi interna al suo movimento, che diventa forza parlamentare, si trasforma in partito e da lì a un anno, con la marcia su Roma, sarà al potere.

Angiolina Framba e Giovanni Uberti

Angiolina Framba e Giovanni Uberti

In quell’aprile di cent’anni fa a Verona la reazione antipopolare si manifesta con l’assalto al giornale di Uberti. A mettere in atto il primo raid punitivo non sono però le camicie nere ma il «Gruppo di Azione liberale, la mutua lega dei ben pasciuti figli di papà», come scrive il Corriere del Mattino tornato in edicola quattro giorni dopo il raid, «che tentano con la violenza – oggi che la violenza sembra diventata un tutt’uno con la legge – di riconquistare quello che i padri hanno dovuto lasciarsi strappare». Allusione ai contratti colonici favorevoli ai contadini, strappati dai sindacati popolari.

Cronaca del raid, secondo la versione del prefetto: il 24 aprile 1921 «circa 20 giovani liberali recatisi ad Azzago di Grezzana per un comizio» sono accolti a sassate. «Improvvisamente circa altre 20 persone, appartenenti presumibilmente al partito liberale, recaronsi sede giornale popolare Corriere del Mattino ove, forzata porta ingresso per evidente scopo rappresaglia danneggiavano gravemente con colpi mazza macchinario».

Uberti è a Roma (è candidato alla Camera per il PPI, sarà eletto), al giornale accorre dalla vecchia casa di famiglia, in via Dietro Filippini, sua moglie Angiolina: una ragazza esile, da lì a un anno morirà di tisi. Il giornale lamenta danni per 150.000 lire, il prefetto li quantifica in 20.000. Già dal 28 aprile, quattro giorni dopo il raid, il Corriere del Mattino riprende le pubblicazioni e può dare la sua versione dei fatti: la nota sulla «signora Uberti affrontata a mano armata» aggiunge al racconto un po’ di passione rispetto al referto prefettizio.

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La sede del Corriere del Mattino devastata il 24 aprile 1921

La sede del Corriere del Mattino devastata il 24 aprile 1921

Giuseppe Meggiolaro si infervora in un reportage sugli antefatti di Azzago. Non è un estremista a scrivere sul Corriere del Mattino redivivo: Meggiolaro è un dirigente sindacale popolare che del fascismo, prima, invitava a «disinteressarsene e/o seguirlo attentamente». Ma stavolta – racconta – ad Azzago, paese in collina nella Valpantena, zona di mezzadri sindacalizzati da Uberti nell’Est Veronese – c’è stata una spedizione punitiva degli agrari. Sequestrato don Amadio Mazzi, bruciata la canonica, feriti quattro contadini. Sì, c’è stato un ferito anche tra gli agrari, il conte Rizzardi «guaribile in giorni 20». Ma perché il nobile ferito, scrive sempre Meggiolaro, stava sul «camion degli agrari», e in buona compagnia: «il conte Sagramoso, il conte Ruffoni, il marchese Carlotti e un figlio del comm. Bertani presidente della Federazione Agraria». Sono proprietari della Valpantena che vedono in Uberti il nemico e che si vendicano contro il suo giornale: «Sfruttatori in guanti gialli, come al Corriere del Mattino usarono le mazze ferrate le giacche lustre», nella sintesi del quotidiano.

Per protesta contro il raid, scioperano tutti i tipografi degli altri giornali cittadini, e il sindaco socialista Albano Pontedera (che l’anno dopo sarà costretto alle dimissioni) visita la sede del Corriere del Mattino. Arrivano anche i fascisti, dispiaciuti di essere stati anticipati dagli agrari, e si mettono a cantare per disturbare, contrastati da cori di Noi vogliam Dio e Bianco fiore.

La sede del Corriere del Mattino devastata il 24 aprile 1921

La sede del Corriere del Mattino devastata il 24 aprile 1921

Tra gli attestati di solidarietà inviati al giornale (da parte di don Luigi Sturzo, del canonico Giuseppe Manzini…), Uberti può pubblicare in evidenza quello di monsignor Michelangelo Grancelli, ex direttore del Verona Fedele – il quotidiano diocesano che era stato chiuso, soppiantato proprio dal Corriere del Mattino – che parla di «inqualificabile atto vandalico». Si vede che monsignor Grancelli ci tiene a fare sapere come la pensa: non come suo nipote, il fascista Luigi Grancelli, direttore del periodico fascista Audacia. Il giornale di Uberti ricambia, incensando monsignor Grancelli, «il nestore dei giornalisti veronesi».

Dopo una campagna elettorale così, il voto del 15 maggio vede premiati i socialisti, che si confermano primo partito nel Veronese con 42.195 voti e quattro deputati, ma anche i popolari: miglior risultato rispetto al 1919, con 31.113 voti. Alla Camera, oltre ai rieletti Giovan Battista Coris e Ugo Guarienti, va anche Uberti, con un’eccezionale affermazione personale: 23.965 preferenze. Quasi quante le lire che quel 15 maggio 1921 raggiunge la sottoscrizione fra i suoi lettori: 24.006,40 (pare che siano bastate per rimediare ai danni alla tipografia: si vede che la stima del prefetto era quella corretta).

San Pietro Incarnario, Verona

San Pietro Incarnario, Verona

Il Blocco nazionale giolittiano (liberali, radicali, democratici, ex combattenti) rielegge il ministro Luigi Rossi, anche con i voti dei clerico-moderati procurati dal vescovo Bartolomeo Bacilieri, che ha voluto il giornale di Uberti in tempo di guerra, ma ora torna a fidarsi di atei devoti piuttosto che di cattolici democratici.

Ma la vera notizia è che i fascisti, con 9379 voti, mandano in Parlamento Alberto De Stefani, economista, professore universitario: Verona lo elegge in una lista autonoma del Fascio, mentre anche Mussolini a Milano ce l’ha fatta solo perché era entrato nel listone giolittiano. Sì, i fascisti a Verona possono vantare una lunga tradizione.

Nel 1926, con le “leggi fascistissime”, Uberti finì al confino: un cattolico democratico e antifascista non era più di moda, mentre la Chiesa si apprestava al concordato con Mussolini “uomo della provvidenza”. Alla Liberazione i partigiani andarono a cercare Uberti nelle macerie di San Pietro Incarnario bombardata, lo vollero prefetto. Poi fu costituente ed eletto sindaco di Verona, il primo democristiano.

Giuseppe Anti

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Written By

Giuseppe Anti è nato a Verona il 28 agosto 1955. Giornalista, si è occupato di editoria per ragazzi e storia contemporanea; ha curato fino al giugno 2015 gli inserti "Volti veronesi" e le pagine culturali del giornale L'Arena. giuseppe.anti@libero.it

2 Comments

2 Comments

  1. Marcello Toffalini

    21/04/2021 at 20:59

    Grazie Giuseppe per questa meravigliosa pagina di storia, che non mi era nota.

  2. Giuseppe Braga

    21/04/2021 at 18:55

    Giovanni Uberti fu anche uno fra i più attivi dirigenti veronesi, e veneti, del “Sindacalismo Bianco”, impegnato in particolare nella difesa del bracciantato agricolo. Fu promotore della costituzione a Verona e nel Veneto della Federazione Italiana del Lavoro”, la FIL, confluita nella CISL con il Congresso di questa Confederazione tenutosi a Napoli dall’11 all’14 novembre 1951. La CISL Veronese, costituitasi nel novembre 1949, trovo una propri sede autonoma ed indipendente da tutto e da tutti, in via San Pietro Incarnario numero 4……

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