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Interviste

Società liquida, comunità virtuali e senso di appartenenza

INTERVISTA – Migliorati: «Nella sua semplicità la parola “noialtri” ci spiega che appartenere a qualcosa o a qualcuno è un bisogno primario, che oggi si declina diversamente dal passato»

Piazza Bra, Verona
Piazza Bra, Verona

INTERVISTAAppartenenza, identità crisi delle élite sono le parole chiave di tre interviste con alcuni esperti dell’Università di Verona che pubblicheremo nelle prossime settimane. Iniziamo con Lorenzo Migliorati, 42 anni,  professore associato di Sociologia dei processi culturali presso il Dipartimento di Scienze Umane. I suoi interessi di ricerca concernono prevalentemente i processi di costruzione della memoria collettiva, gli studi di comunità e la teoria sociale. Con Migliorati abbiamo affrontato il tema dell’appartenenza da un punto di vista sociologico, per cercare di capire se oggi possiamo parlare di una “crisi” dell’appartenenza e spiegare a partire da questo diversi fenomeni sociali. 

Lorenzo Migliorati

Lorenzo Migliorati

– Quanto è importante da un punto di vista antropologico e sociologico l’appartenenza?

Migliorati. «L’appartenenza è un bisogno primario degli individui. Lo psicologo americano Abraham Maslow nella sua famosa “piramide dei bisogni” lo colloca dopo quelli fisiologici e di sicurezza. È un po’ come se “appartenere” – a qualcosa, a qualcuno – fosse il primo bisogno sociale delle persone. In nome dell’appartenenza si sono però prodotti anche abomini, pensiamo all’idea delle “razze”. L’appartenenza è il legame tra noi e gli altri, non a caso nel dialetto c’è un’espressione di grande fascino: per dire “proprio noi”, si dice noialtri, cioè noi, altri dagli altri».

– Il bisogno di appartenenza è nato come risposta a un istinto di sopravvivenza. Oggi sentiamo ancora questa radice?

Migliorati. «Sicuramente. Quelli che in sociologia si chiamano “processi di socializzazione primaria” sono indispensabili per entrare a far parte di ogni società, in qualsiasi epoca. Questi processi consistono nell’apprendere con un certo senso di sicurezza tutto ciò che è necessario alla nostra sopravvivenza sociale ovvero – nel caso dell’uomo – il sistema dei significati, il mondo sociale, la cultura. I genitori, i familiari e tutte le figure di riferimento ci guidano in questo processo di interiorizzazione che ci cambia radicalmente».

– Possiamo dire che Facebook, Twitter, Instagram, ecc. assolvono, nel bene e nel male, alle stesse funzioni dei gruppi sociali “tradizionali”, “reali”? Qual è la differenza?

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Migliorati. «Ho qualche dubbio. I social network sono strutturati e funzionano come la società “reale”, ma a differenza di questa mancano di quegli elementi che nella vita concreta diamo ampiamente per scontati: l’immediatezza, la spontaneità, il non verbale, le sensazioni fisiche che soltanto le relazioni faccia a faccia consentono. L’anno della pandemia, con l’esplosione delle attività sociali online (dalla scuola agli aperitivi virtuali) ce lo ha mostrato chiaramente. Quanto presto ci siamo stancati dei meeting e delle chiacchierate in rete? Sempre Maslow ci insegna che dentro il bisogno di appartenenza sta il bisogno di intimità sessuale. È possibile questa intimità in rete?».

– Il superamento dei vincoli della tradizione che impatto ha sulla cultura di una comunità?

Migliorati. «Sicuramente cambia la forma dei legami sociali. Le società tradizionali erano fondate su legami stretti, diretti e forti. Le società contemporanee si fondano su legami opposti, deboli e mediati. Nella nostra società globale ogni nostra azione ci inserisce in una relazione che si colloca in uno spazio e tempo indefinito. La cosa curiosa è che, però, l’avanzare della modernità non implica necessariamente il regredire della tradizione: nelle nostre società contemporanee convivono elementi dell’una e dell’altra che possono valorizzarsi reciprocamente o scontrarsi sul terreno politico».

– E sulla politica?

Migliorati. «Vale il medesimo discorso. Nazionalismo, localismo e sovranismo sono le parole di critica ai processi di globalizzazione e di cosmopolitismo. A mio modo di vedere si tratta però di un falso problema: il contrario di sovranismo, come rigida difesa e conquista della sovranità nazionale, non è il cosmopolitismo, l’essere cittadini del mondo, bensì la perdita di cittadinanza e di sovranità… ».

Bra

– Nell’era della globalizzazione come può essere rimodulato il concetto di appartenenza ad una comunità locale in modo da rendere compatibili i due sistemi?

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Migliorati. «Nel contesto della globalizzazione le appartenenze si sono moltiplicate e “virtualizzate” (ad esempio, io sono membro di una società scientifica di cui non ho mai incontrato letteralmente nessuno di persona) ed è possibile entrare ed uscire da ciascuna di queste comunità con la stessa rapidità e facilità con cui si spegne la webcam del nostro computer durante un meeting. Allo stesso tempo è però molto diminuita la richiesta dell’impegno personale e sociale per mantenerle vive e feconde. Accade così che molte delle relazioni e delle appartenenze “disaggregate” della modernità avanzata siano maggiormente esposte al rischio di strumentalizzazione: quando ho avuto le risposte alle mie domande, smetto rapidamente e senza alcun rimorso di frequentare una community virtuale; non è così per le comunità reali».

– Si attesta una mancanza di “corpi intermedi” tra Stato e cittadino che alimenterebbe il senso di estraneità per la “cosa pubblica”. È d’accordo?

Migliorati. «Lo sono in parte. Da una parte la modernità, fino alla prima metà del Novecento, si è retta su corpi sociali di intermediazione (partiti, sindacati, istituzioni) e questi sono stati grandi strumenti di integrazione sociale e di conquiste collettive; dall’altra, la modernità avanzata ha avvertito una pulsione di disintermediazione rappresentando quel passato come una limitazione alle possibilità dei singoli.

Ancora una volta, siamo posti di fronte a un falso problema. Sono convinto che la vera questione sia il fallimento del progetto per la contemporaneità – di pace perpetua fra gli stati e di un’identità unica, cosmopolita, al di là dei confini statali – di cui erano protagonisti i movimenti sociali.

Qualcosa si è inceppato lì negli ultimi trent’anni e credo che soltanto un forte connubio tra istituzioni “solide” e cittadinanza “liquida” possa rimettere in moto il motore dell’integrazione. Covid-19 ce lo ha mostrato con grande forza e la risposta delle istituzioni, a partire da quelle sovranazionali come l’UE, sta mettendo in evidenza proprio questa necessità».

– La difficoltà a distinguere tra realtà e finzione, la moltiplicazione delle verità, le fake news scoraggiano il bisogno di appartenenza?

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Migliorati. «Non è mai esistita un’età dell’oro in cui l’appartenenza era buona, mentre oggi è cattiva. La moltiplicazione delle verità ha moltiplicato le appartenenze; si può appartenere ad una “realtà” che per altri è “finzione” e viceversa. Piuttosto, ancora una volta si è allargato il solco tra “noi” e “gli altri”: per un terrapiattista o un no-qualchecosa, il proprio gruppo di riferimento è fondamentale e “vero”; sono gli altri ad essere fessi. E viceversa, tanto che se si incontrano ad una manifestazione reale, in piazza, finiscono per prendersi a botte».

Marika Andreoli

Written By

Marika Andreoli, lombarda, laureata in Filosofia presso l'Università di Torino. Studentessa in Editoria e Giornalismo all'Università di Verona. Con una grande passione per libertà e verità ha la valigia sempre pronta per studi e viaggi. Il suo obiettivo: scrivere di luoghi, storie e persone per tutta la vita. marikaandreoli@gmail.com

1 Comment

1 Comment

  1. Dino POLI

    09/03/2021 at 12:00

    Questo riferimento all’appartenenza mi sembra di grandissima importanza nel mondo moderno, un legame essenziale con il vecchio, la società di ieri e dei nonni, per capire di più e meglio. Bisogna approfondire: aspettiamo ancora da Lorenzo Migliorati e da Marika Andreoli.

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