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Editoriale

Se non cambiamo registro di fondi UE a Verona ne vedremo pochi

Una città dormiente che subisce richieste corporative prive di lungimiranza. Finirà come la candidatura di Verona a capitale della cultura?

Palazzo Barbieri
Palazzo Barbieri, Verona

La pandemia ha messo ulteriormente in discussione modelli economici e sociali già in crisi per effetto della globalizzazione. Alla sfida di far convivere identità nazionali con scenari planetari si è aggiunta quella di gestire le crisi, in questo caso sanitaria, disponendo di strumenti adeguati non solo sul piano economico ma anche scientifico e culturale.

È un bel cambio di passo che ha già prodotto effetti visibili nelle istituzioni sovranazionali, oggi chiamate a politiche non più esclusivamente monetarie, come dimostrano il Next Generation EU e le risorse stanziate per la sua attuazione nei singoli Stati. Si aprono scenari straordinari dove anche le comunità locali sono chiamate a ridefinire la loro identità per cogliere le opportunità di questa fase storica.

Nonostante l’Italia in questo contesto abbia enormi potenzialità – basta ricordare i beni culturali e paesaggistici di cui dispone il nostro Paese – ci troviamo in ritardo nell’adattarci alle nuove sensibilità, quando addirittura non siamo gli artefici di errori imperdonabili.

Tra questi, a Verona troviamo la vendita a privati dei palazzi storici, mentre gli stessi edifici oggi avrebbero potuto far parte di un progetto pubblico in grado sostenere la richiesta dei fondi europei. Dal punto di vista della mobilità da anni si discute di sensi unici, parcheggi, piste ciclabili, mezzi pubblici quando in altre città europee, ma anche italiane, il problema è stato risolto in modo radicale liberando i centri da auto e motorini inquinanti (prossima l’inchiesta di Carolina Londrillo su questo argomento). 

I due esempi sono emblematici e connessi al turismo, risorsa fondamentale per Verona, dove le politiche a riguardo sono però inadeguate per la scelta delle varie amministrazioni di preservare il legame con categorie economiche prive di una visione ma determinanti nell’orientamento del voto. Un lobbismo che si traduce nell’estensione dei plateatici, nell’aumento spropositato dei ristoranti e nell’organizzazione di manifestazioni non sempre all’altezza del luogo che le ospita.

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Verona vive quindi una dimensione provinciale che la porta ad essere lontana dal dibattito che in questi giorni anima le piazze mediatiche, che vede la cultura come elemento fondamentale della qualità della vita e che indica nel concetto di “eredità culturale dei territori” la radice identitaria di ogni cittadino europeo (convenzione di Faro).

Fuori dai binari della modernizzazione, incapaci di vedere oltre la siepe, non rimane che la deriva, come dimostrano le recenti vicende legate alla Banca Popolare di Verona, entrata nell’orbita della Popolare di Milano; di Cattolica Assicurazioni, assorbita da Generali e dell’Aeroporto Valerio Catullo, sempre più sganciato dalla realtà territoriale. Ancora prima a penalizzare la città è stato l’abbandono nel 2010 del progetto per la realizzazione del Polo Tecnologico. Una scelta che ha favorito altre città, depotenziato la Fiera, impedito il naturale legame con l’Università e spinto verso altri Paesi i cervelli più brillanti (tema oggetto di una prossima inchiesta di Michael Campo).

Sui media cittadini il dibattito intorno al Next Generation EU al momento si prefigura più come assalto alla diligenza per ottenere i fondi europei che nella definizione delle cose da fare per assecondare il processo di transizione ecologica e l’innovazione. C’è quindi il rischio, come è accaduto per Verona Capitale della Cultura 2022, che anche in questo caso la città venga ritenuta inadeguata.

Per aiutare la riflessione attorno al tema del cambiamento abbiamo coinvolto due docenti e un dottorando dell’Università di Verona, con tre interviste che pubblicheremo nelle prossime settimane. Gli argomenti trattati sono identità, appartenenza crisi delle élite. Alle domande di Marika Andreoli risponderanno Olivia Guaraldo, professoressa associata di Filosofia politica al Dipartimento di Scienze umane; Lorenzo Migliorati, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi al dipartimento di Scienze umane e Giacomo Mormino, dottorando in Scienze umane.

Giorgio Montolli

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