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Territorio

La mafia in Veneto, dai soggiorni obbligatori ai colletti bianchi

Il giornalista Danilo Guerretta al primo incontro della rassegna Mafia in nove atti curato da ELSA e dall’associazione Falcone e Borsellino.

Mafie, DIA

Il 4 gennaio 2021 alle 20:45 si è tenuto su Zoom il primo incontro della rassegna “Mafia in nove atti” dal titolo Mafia a Casa Nostra, curata da ELSA Verona e dall’associazione Falcone e Borsellino. Gli spettatori erano più di cento e ci sono state numerose domande alla fine dell’incontro.

In questo primo appuntamento ha aperto la serata un monologo teatrale della compagnia Teatro Bresci. Lo spettacolo si intitolava Mala brenta e ha creato la cornice adatta per presentare, subito dopo, il libro del giornalista e scrittore Danilo Guerretta intitolato A casa nostra: cinquant’anni anni di mafia e criminalità in Veneto. I moderatori dell’evento erano i docenti dell’Università di Verona Lorenzo Picotti e Roberto Flor.

Si è parlato dell’evoluzione delle organizzazioni mafiose in Veneto, dalla Mala del Brenta di Felice Maniero alle più recenti vicende giudiziarie che hanno portato a decine di arresti nella nostra Regione. All’incontro era assente il Colonnello Carlo Pieroni, vicecomandante regionale dei Carabinieri in Veneto, che sarebbe dovuto intervenire.

Guerretta ha parlato del percorso di studio, di sentenze e di interviste iniziato nel 2003 che lo ha portato a completare il suo libro. Il progetto nasce da alcuni dati sulla regione che lo avevano sorpreso. All’inizio del duemila il Veneto, tra i territori non interessati da fenomeni mafiosi, era il luogo dove i magistrati avevano sequestrato più immobili.

Guerretta ha iniziato il suo intervento ricordando le prime tappe dell’illegalità in Veneto. Ecco una sintesi del suo intervento. «Nei primi anni 50 arrivarono in regione due boss in confino in piccoli paesi nella provincia di Vicenza. Erano solo il primo segnale delle ondate di soggiornanti obbligati che iniziarono ad arrivare in Riviera del Brenta. Lo scopo era quello di isolarli dal loro contesto ma finirono per “inquinare” i luoghi di soggiorno, anche per la presenza dei cosiddetti “Mercanti di Verona”, criminali legati al mondo della droga. La famiglia Moletto e la famiglia Tonon facevano parte di questi “Mercanti di Verona”». 

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«Verso la fine degli anni 70’  – continua Guerretta –si formò, tra le province di Padova e Venezia, una piccola banda capitanata da Felice Maniero inizialmente dedita a furti di generi alimentari, di bestiame e di pellame. Attorno al boss ruotavano alcuni noti mafiosi italiani. Inoltre Maniero strinse alleanze con alcune bande criminali, come quella dei fratelli Maritan, boss a San Donà di Piave, o dei fratelli Rizzi, boss a Venezia. La banda aveva contatti coi vari cartelli in Colombia prima di Pablo Escobar, uno dei più noti e ricchi trafficanti di cocaina e marijuana della storia. Nel 1995 Maniero si pentì. La sua storia però ha ancora dei punti oscuri da chiarire. Ricostruì tutti i nomi e tutte le circostanze ma non disse mai ai giudici dove aveva nascosto il suo “tesoro”».

«Il Veneto negli anni ’90 è quello dei sequestri di persona dovuti alla ‘ndrangheta, la mafia calabrese. La camorra napoletana, intanto, estendeva i propri tentacoli tra Caorle e Jesolo, nella provincia di Venezia. Nel 1992 avvenne il primo grande arresto dopo la strage di Capaci: Giuseppe Madonia, il boss siciliano detto “il ragioniere della mafia“, venne arrestato a Longare nella provincia di Vicenza, vivendo lì da molto tempo».

«Nei primi anni del 2000 – spiega Guerretta – ci furono delle manifestazioni in Veneto. A Roverè Veronese la gente scese in strada interrompendo un rally per protestare contro i soggiornanti obbligati. Nel frattempo nel nord-est arrivarono i fondi per importanti opere pubbliche come la Pedemontana o il Mose che suscitarono l’interesse della mafia. Nel 2011 a Eraclea, vicino Venezia, ci fu l’operazione che portò all’ arresto di alcuni esponenti dei Casalesi, uno dei più potenti clan camorristici, originario di San Cipriano d’Aversa in provincia di Caserta». 

Oggi è cambiato il controllo del territorio: perché queste mafie sono in grado di offrire dei servizi “più a buon mercato” per gli imprenditori. Un esempio è il recupero crediti o l’accesso a finanziamenti e consulenze legali a prezzo stracciato. Sono chiamate le “mafie dei colletti bianchi.”

L’avvicinamento alle imprese è fatto da professionisti da colletti bianchi, da commercialisti, da avvocati che fanno da tramite tra il malavitoso e l’imprenditore che molto spesso non conosce queste dinamiche.

Una ricerca fatta da alcuni economisti dell’Università di Padova prende in considerazione le sentenze pronunciate dai tribunali del nord Italia dal 2005 al 2016. In queste sentenze sono coinvolte circa 2000 aziende principalmente infiltrate da ’ndrangheta e Camorra. Tra queste imprese, 400 hanno sede nel nord-est. Dalle sentenze pronunciate dai tribunali emerge che  Mafia, ‘ndreangheta e Camorra hanno messo le mani su 400 aziende in 10 anni e questo è solo ciò che conosciamo. Per questo si parla di radicamento del fenomeno mafioso.

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Rossella Bartolucci

 

Il prossimo appuntamento con la rassegna “Mafia in nove atti” sarà giovedì 21 gennaio alle 18, quando a parlare del rapporto tra “Mafia e Covid” saranno il magistrato Nicola Gratteri, lo scrittore Antonio Nicaso e l’esperto di mafie Elia Minari. Tema dell’incontro sarà l’evoluzione delle organizzazioni mafiose nel difficile periodo storico che stiamo vivendo: all’ombra della pandemia, infatti, la mafia prospera. Attraverso la lettura, interpretata dal movimento Our Voice, di alcune pagine del libro Ossigeno Legale, si analizzerà come la criminalità organizzata sfrutta il nuovo contesto socio-economico creatosi con il Covid-19. L’evento gode del patrocinio del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Verona. Per partecipare è necessario iscriversi al seguente link, oppure contattare l’associazione ELSA Verona tramite i suoi canali social.

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