Un Natale surreale: una città in rosso, deserta, desolata, spenta…. solo il rumore de l’Adese che inesorabile scorre. A ricordare l’atmosfera natalizia, a rinnovare l’annuncio che un evento straordinario illo tempore è accaduto segnando i due millenni della nostra storia occidentale, solo le celebrazioni religiose e i rintocchi delle campane e lo sfavillio delle luminarie che quest’anno campeggiano solitarie nel cielo. Nella maggior parte delle case, silenzio, intimità, solo in alcune più fortunate il desco imbandito riunisce gli affetti familiari. Per i più è solitudine e caos emotivo.
Inevitabile diviene allora abbandonarsi ai ricordi, ai bei Natali trascorsi insieme, quando era scontato ritrovarsi almeno a Natale. I ricordi, come alla moviola, riaggallano e ci riportano a Festività lontane, ai tempi in cui l’Evento era preparato con molto anticipo e cura, secondo tradizione. In quelle occasioni, ognuno aveva dei compiti precisi. In particolare, a noi bambini/e toccava la ricerca del muschio fresco per il presepe, rispolverare dai bauli le vecchie statuine colorate di gesso, recuperare la carta dipinta di stelle, disegnare la stella cometa, ingegnarsi perché, con pochi e poveri strumenti, ne uscisse un capolavoro. Alla mamma spettava invece l’organizzazione del pranzo, una sorta di memorabile pranzo di Babette che comportava, dalle mie parti, per la vigilia la preparazione dei tortelli di zucca e anguilla marinata e per Natale gli agnoli, i lessi con gallina ripiena, accompagnata da pearà, mostarde e purè. Oculata dunque doveva essere la scelta della zucca, asciutta, pastosa, saporita, e delle carni magre o intrecciate giuste per il bollito, per il ripieno degli agnoli, a partire dalla gallina che sapientemente imbottita trionfava poi sulla tavola imbandita. Come d’obbligo la pasta era tirata in casa e noi bambini tutti ingaggiati a chiudere montagne di agnoli che dovevano durare per tutte le feste.
Allora non c’erano il sig. Conad, Migros, Pam e tutto veniva conservato e cucinato in casa, unico supporto eccezionale il forno del paese per cuocere qualche dolce particolare. L’unico lusso, ricordo, il panettone Motta, quello di Milano, offerto da qualche parente di passaggio. Non mancavano i doni portati da Babbo Natale o dalla Befana. Era per noi bambini la magia della sorpresa, che si univa all’attesa della nevicata. Poi l’incanto si ruppe e il mondo cambiò.
Soldi, benessere, il trionfo del commercio, l’arrivo dei Centri Commerciali, dei Supermercati, la follia del consumismo ebbero la meglio. E il Natale si tramutò in un’orgia sfrenata di merci, affari, viaggi, ristoranti. Nonostante un Bambino continuasse a nascere e a ricordarci l’umiltà di una mangiatoia. Ed ora eccoci qui.
Corinna Albolino

Originaria di Mantova, vive e lavora a Verona. Laureata in Filosofia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si è poi specializzata in scrittura autobiografica con un corso triennale presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (Arezzo). In continuità con questa formazione conduce da tempo laboratori di scrittura di sé, gruppi di lettura e conversazioni filosofiche nella città. Dal 2009 collabora con il giornale Verona In. corinna.paolo@tin.it
