Lo scontro sul fondo Salva Stati, che per diversi giorni ha rappresentato un possibile capolinea del governo, si è risolto, grazie a una prevedibile ricucitura dei 5 Stelle, in una tregua che ha garantito il voto positivo in Parlamento. Tuttavia, al termine del dibattito, è scoppiato un duro attacco di Renzi contro il Presidente del Consiglio su tutt’altri argomenti: la task force prevista per la gestione del Recovery Plan e la fondazione sulla cybersecurity. Una requisitoria che ha toccato l’insieme dell’azione del governo, e che ha fatto chiaramente trapelare la convinzione per cui, senza cambiamenti significativi sulle questioni sollevate, Italia Viva non si sarebbe fermata anche di fronte alla crisi di governo.
Un attacco in stile corsaro, secondo la tradizione renziana, finalizzato alla conquista del centro della platea mediatica dopo un lungo periodo di astinenza e marginalità. Una critica aspra che peraltro toccava problemi veri, come la gestione eccessivamente personale del premier e le incertezze e i ritardi nelle scelte più rilevanti dell’esecutivo, tanto che i punti più salienti delle dichiarazioni di Renzi hanno riscosso l’applauso anche di parlamentari della maggioranza.
Il segno politico complessivo dell’intervento è stato pienamente condiviso soprattutto dall’opposizione, evidenziato dai complimenti diretti di Salvini al termine. Il presidente Conte ha assunto un atteggiamento di apparente tranquillità, ribadendo che tutti gli interlocutori istituzionali e sociali sarebbero stati coinvolti nella definizione del piano finanziato con i fondi europei, e apparendo nel complesso soddisfatto della conclusione positiva del conflitto sul Mes. Resta il fatto che l’esito di questo scontro ha contribuito ad alimentare ulteriore conflittualità nel governo, evidenziata dai ripetuti rinvii del Consiglio dei ministri per l’incapacità di decidere.
Conte è oggi presente al Consiglio europeo portando un faticoso consenso al Salva Stati ma in chiaro ritardo sulla costruzione del Recovery Plan, e ciò porta a suscitare giudizi non proprio favorevoli nei confronti del nostro Paese.
Questo episodio nei rapporti interni alla maggioranza rivela il permanere di un atteggiamento sbagliato di Renzi, che riesce a suscitare perplessità e dissensi attorno a sé anche quando esprime giudizi veritieri, perché trascura, o non ha imparato, che in politica il consenso e la fiducia non nascono soltanto dalle idee giuste ma soprattutto dalle relazioni improntate a correttezza e umiltà con cui si sostengono.
Luigi Viviani

Luigi Viviani negli anni Ottanta è stato membro della segreteria generale della CISL, durante la segreteria di Pierre Carniti. Dopo aver fondato nel 1993 il movimento dei Cristiano Sociali insieme a Ermanno Gorrieri, Pierre Carniti ed altri esponenti politici, diviene senatore della Repubblica per due legislature. Nel corso della legislatura 1996-2001 è stato sottosegretario al Lavoro con il ministro Cesare Salvi; nella successiva, vicepresidente del gruppo dei Democratici di Sinistra al Senato. viviani.luigi@gmail.com

ODC
25/01/2021 at 12:10
Premesso che non parliamo di un confronto fra Churchill e De Gaulle o per restare a casa nostra fra Andreotti e Craxi; ma fra uno che a quarant’anni è stato tutto e il suo contrario e un professore /avvocato divenuto per evidente errore di molti quarta carica dello stato, possiamo dire che manca soprattutto un elemento condiviso dai nostri eroi: il senso dello Stato.
Non è un sentimento visibilmente apprezzabile, più divenuto negli anni uno stato d’animo. Certo competenza, pudore, senso dello stato appunto sono valori non più riconoscibili.