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Editoriale

Capitale della cultura. Ci hanno trattati come pezzenti, come mai?

Cultura è anche il grado di civiltà di una comunità. Alcune episodi che quasi sicuramente hanno influito sulla bocciatura di Verona.

Palazzo Barbieri
Palazzo Barbieri, Verona

La bocciatura di Verona, che si era candidata Capitale della cultura 2021, viene letta da chi amministra la città in chiave politica, di destra. E forse è vero che Dario Franceschini, ministro per i Beni e le attività culturali, si è tolto un sassolino dalla scarpa, quella sinistra. Ma certe decisioni non nascono come i funghi, all’improvviso, in una notte. Hanno una loro storia e la più recente risale a due anni fa con la defenestrazione di un bravo sovrintendente: Giuliano Polo.

A novembre 2016 Polo sostituisce il commissario Carlo Fuortes, succeduto a Francesco Girondini, e diventa sovrintendente di Fondazione Arena. Passano due anni e assistiamo al braccio di ferro tra il sindaco Federico Sboarina e Franceschini per sostituire Polo. Sboarina alla guida dell’ex Ente lirico vorrebbe il manager Gianfranco De Cesaris, e Cecilia Gasdia come direttore artistico. Franceschini chiede che il nuovo sovrintendente abbia un curriculum adatto al ruolo, che De Cesaris non ha. Finisce con un compromesso: a gennaio 2018 Gasdia diventa sovrintendente e De Cesaris direttore generale, probabilmente in attesa che il manager maturi un curriculum adeguato.

Questo il sassolino, non l’unico, che può aver infastidito il ministro tanto da fargli dimenticare Dante e Shakespeare (le medaglie della città le ricorda Mario Allegri nel suo graffiante articolo). Ci sono altri elementi da mettere a rapporto. Mettiamoci alcune manifestazioni che Verona ha recentemente espresso, come il Congresso mondiale delle famiglie del 29 marzo 2019, da cui l’Università del rettore Nicola Sartor ha preso le distanze – lo stesso vescovo Giuseppe Zenti non è apparso particolarmente entusiasta – ma che il sindaco Sboarina si è mostrato orgoglioso di ospitare ponendo la città alla berlina planetaria.

Mettiamoci le violenze omofobe, che di tanto in tanto affiorano, come quella contro Angelo e Andrea del settembre 2018; le svastiche disegnate sui portoni di chi a queste violenze si oppone; il saluto fascista nel luglio 2018 durante la seduta del Consiglio comunale, che sta dando qualche grattacapo al consigliere Andrea Bacciga. Più indietro nel tempo pesano la mozione omofoba anti europea approvata a Palazzo Barbieri nel febbraio 1994, che adesso ha il biasimo persino di Papa Francesco, e l’omicidio di Nicola Tommasoli del maggio 2008. Due macigni che la città non riesce a scrollarsi di dosso.

Questi episodi certamente non hanno giovato a fare di Verona una capitale della cultura ma ci sono altri fatti, forse meno noti al ministro, che impattano sull’incapacità della città di esprimere il meglio di sé. Prendiamo come esempio l’attore e regista Alessandro Anderloni, che è diventato un po’ l’icona di quanto la bravura a Verona conti niente se non si è politicamente allineati. Lo stesso avviene per le nomine nei ruoli apicali degli enti pubblici dove la fedeltà prevale sulla competenza. Tutte cose di cui questo giornale ha abbondantemente scritto.

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Tra gli episodi per cui non andare fieri, e che sono un buon termometro per misurare la cultura di una comunità, vanno ricordati un progetto di trasporto pubblico che va avanti da decenni senza concretizzarsi, l’incapacità di istituire un sistema del verde urbano, un’idea di mobilità ancora fissa sul mezzo privato, periferie sempre meno vivibili per la continua cementificazione e l’aria non proprio salubre che ci pone tra le città più inquinate d’Italia. Ciliegina sulla torta le infiltrazioni della mafia, a suo agio dove c’è poca cultura e ci sono tanti soldi.

Ce la immaginiamo l’assessora Francesca Briani in questi due anni a ricevere i vari questuanti allettati dall’idea di Verona Capitale della cultura. Ciascuno attento al suo orto per trasformare quella che avrebbe potuto diventare una grande festa collettiva in un generale magna magna. Tutti a chiedere, nessuno a dare e di fare squadra neanche a parlarne. There is no world without Verona walls. Ma i tempi sono cambiati, caro Romeo.

g.m.

Written By

È diventato giornalista nel 1988 dopo aver lavorato come operatore in una comunità terapeutica del CeIS (Centro Italiano di Solidarietà). Corrispondente da Negrar del giornale l'Arena, nel 1984 viene assunto a Verona Fedele come redattore. Nel 1997, dopo un periodo di formazione in editoria elettronica alla Scuola grafica salesiana, inizia l'attività in proprio con uno Studio editoriale. Nel 2003 dà vita al giornale Verona In e nel 2017 al magazine Opera Arena Magazine. Dal 2008 conduce il corso "Come si fa un giornale" in alcuni istituti della Scuola media superiore di Verona. giorgio.montolli@inwind.it

3 Comments

3 Comments

  1. Andrea Cona

    20/11/2020 at 10:50

    Mamma mia ! l’articolo è la solita lista di cose che centrano nulla, alcune riportate male ed altre con evidente faziosità. Manca la ciliegina sulla torta delle frange neonaziste che tifano Hellas, ma per piacere….

  2. Renzo Mario Lanza

    19/11/2020 at 19:52

    Penso che la critica sia doverosa e va rispettata, ma quando in gioco c’è la rappresentazione di una città tutte le forze politiche si devono unire al di là delle proprie posizioni politiche, e la stampa dovrebbe incavolarsi a morte invece che porsi a fianco della contestazione.
    Un vero disastro leggo in questi giorni, veramente comportamenti assurdi che vanno tutti ad offrire il fianco alla critica becera che viene unicamnete da una parte minoritaria della città.
    Complimenti voi amate profondamente la nostra bellissima e storica Verona!

  3. Maurizio Danzi

    19/11/2020 at 16:00

    Devo dire che col tempo, molto , ho rivalutato il nostro concittadino Cesare Lombroso. Ho rivisto molte mie posizioni riguardo la fronte , la fossetta occipitale , le orecchie .
    In generale nel fisico , nell’aspetto di molti amministratori e in genere porta borse o manager incaricati nelle municipalizzate . Credo che Lombroso potrebbe istituire un nuovo corso universitario.
    Non mi inoltro nella prossemica . Perchè vedendo certi dibatti o interventi in consiglio
    c’è la possibilità , risvegliandosi di scoprirsi al mercato dello stadio. Ingentiliti.
    E’ prorio nel loro dna : non sanno di cosa parlano , ma ripetendolo hanno finito per impararlo.
    Senza arte nè parte.E qualcuno li avrà anche votati.

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