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La mafia anche a Verona preferisce provincia e periferie

La criminalità organizzata agisce con i criteri dell’integrazione e dell’inclusione. Le reiterate richieste del sindacato di Polizia Siulp per costituire commissariati distaccati.

La criminalità organizzata agisce con i criteri dell’integrazione e dell’inclusione. Le reiterate richieste del sindacato di Polizia Siulp per costituire commissariati distaccati.

Quel 14 marzo 1992 era un sabato. Due agenti della squadra mobile della Questura scaligera, gli agenti scelti Vincenzo Bencivenga ed Ulderico Biondani restano uccisi durante un conflitto a fuoco con un malvivente, un calabrese di Lamezia Terme, il quale, nonostante fosse agli arresti domiciliari a Verona, si era recato a Sommacampagna.

Il quindicesimo comune più popolato (14.835 residenti al 1° gennaio 2020) della provincia, in quel 1992 lanciò l’allarme sulla presenza della criminalità organizzata nel Veneto, presenza confermata il successivo 6 settembre, giorno in cui a Costozza di Longare, nel vicentino, veniva arrestato Giuseppe Madonia, numero due della mafia siciliana dopo Totò Riina e prima di Bernardo Provenzano e Nitto Santapaola.

Le ultime operazioni (Isola Scaligera, l’indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Venezia che lo scorso 4 giugno ha portato il Servizio centrale operativo della Polizia di Stato e le Squadre mobili delle Questure di Verona, Venezia e Mantova ad eseguire 23 ordinanze di custodia cautelare, sottoporre tre indagati all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria ed a sequestrare 15 milioni di beni immobili, e Taurus, che il 14 luglio ha visto i carabinieri del ROS, supportati dai loro colleghi della Calabria, dell’Emilia, della Lombardia e del Veneto, eseguire un’ordinanza emessa dal GIP del tribunale di Venezia, su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di trentatré indagati per i reati di associazione di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, estorsione, rapina, usura, ricettazione, riciclaggio, turbata libertà degli incanti, furto aggravato, favoreggiamento, violazione delle leggi sulle armi) hanno confermato che in Veneto la criminalità organizzata è ormai incistata nel territorio.

Ora, il termine incistamento è di uso comune nei campi della biologia e della patologia, mentre in maniera figurata indica l’inserimento dentro a qualcosa in modo definitivo e nascosto; per la criminalità organizzata, invece, sarebbe opportuno utilizzare i termini integrazione ed inclusione. L’integrazione presuppone l’impegno di un solo soggetto che deve integrarsi (dal latino integer, integra, integrum, integro, puro, onesto) con le sue forze ed adeguarsi alla nuova comunità in cui arriva. L’integrazione, in pratica, prevede la reductio ad unum e, per questo, appartiene soprattutto alla mafia ed alla camorra.

L’inclusione, invece, concepisce un doppio impegno: quello di un soggetto che si inserisce in un ambiente nuovo e quello della comunità già presente in tale ambiente. Il concetto è dunque diverso e più ampio di quello di integrazione e, di conseguenza, riguarda in modo particolare la ‘ndrangheta, organizzazione considerata sino alla strage tedesca di Duisburg (15 agosto 2007) un fenomeno criminale di scarsa rilevanza (ma, per la natura orgogliosa e familiare, estremamente restia a qualsiasi forma di reductio ad unum), giudizio avallato dalla sua origine (in Calabria, la regione più povera e disgraziata dell’Italia).

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La ‘ndrangheta si è integrata soprattutto in provincia (a partire dagli anni Settanta nelle province di Torino ed in quelle del triangolo lombardo Como, Lecco e Varese) e quando un giornalista attento e competente come Gianni Belloni scrive sul Mattino di Padova del 18 luglio di “modello Sommacampagna”, implicitamente conferma l’interesse della criminalità calabrese per le periferie piuttosto che per i capoluoghi.

Ulteriore conferma di ciò la si ritrova nelle interdittive, cioè per quegli atti amministrativi di competenza del prefetto introdotti dal codice antimafia del 2011. Limitandosi a quelle firmate dai prefetti di Verona (dal 25 agosto 2011 al 2 luglio di quest’anno), si può notare come su trenta interdittive (7 –  di cui una poi revocata – nel biennio 2011/2012, 17 nel quadriennio 2015/2018, quattro nel 2019 e due nel 2020), nove hanno interessato aziende o ditte aventi sede legale nella provincia scaligera (una proprio a Sommacampagna).

Tale situazione era stata segnalata più volte dal SIULP, il sindacato unitario della Polizia di Stato. Dopo la morte di Biondani e Bencivenga, ad esempio, aveva diramato un duro comunicato nel quale sottolineava «come la criminalità si fosse spostata dal capoluogo ai centri minori della provincia» e nel 1994, dopo la morte a Fumane di un altro poliziotto, Massimiliano Rodolfo Turazza, l’allora segretario provinciale Alfredo Degiampietro aveva accusato i titolari dell’ordine e della sicurezza pubblica di sottovalutare il fenomeno criminale in provincia.

Questo è il motivo principale alla base delle reiterate richieste di costituire commissariati distaccati (nel maggio del 1988 il SIULP, in un documento congiunto con CGIL, CISL e UIL, aveva proposto l’istituzione di due commissariati a Legnago ed a Peschiera del Garda); richieste rimaste inascoltate, così come inascoltate sono rimaste le segnalazioni sulla presenza della criminalità organizzata nella provincia scaligera. Ma questa non è di certo una colpa del SIULP, che ha sempre parlato in modo franco e, per molti, sgradito.

Antonio Mazzei

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Antonio Mazzei è nato a Taranto il 27 marzo 1961. Laureato in Storia e in Scienze Politiche, giornalista pubblicista è autore di numerose pubblicazioni sul tema della sicurezza. antonio.mazzei@interno.it

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