CHIOSTRO DI SANTA EUFEMIA. Non c’è poema epico al pari di questo che attraverso i secoli non continui a farci riflettere sul ruolo che l’uomo ha in relazione alla guerra, al destino, al divino e quindi anche alla morte.
Iliade – Mito di ieri, Guerra di oggi, della Compagnia Mitmacher sarà in scena al Chiostro di Santa Eufemia, sabato 25 luglio 2020 alle 21, nell’ambito dell’Estate Teatrale Veronese per Spazio ai giovani e del progetto Professione Spettacolo Verona, focus dedicato alle realtà professionali del territorio. La drammaturgia dello spettacolo è di Giovanna Scardoni, la regia di Stefano Scherini, in scena Nicola Ciaffoni. Produzione Associazione Culturale Mitmacher in collaborazione con Teatro del Carretto e Piccolo Teatro di Milano Teatro d’Europa. Lo spettacolo della compagnia Mitmacher è una riscrittura del capolavoro omerico in forma di monologo, dove i passi più celebri del poema si alternano a momenti di profonda ironia, in un flusso di emozioni, confessioni e sfoghi di rabbia sapientemente interpretati da Nicola Ciaffoni.
Iliade è un’opera che parla di GUERRA e di guerra sentiamo parlare ancora oggi. Iliade è un’opera che parla di FORZA e POTERE e di forza e potere sentiamo parlare ancora oggi. Iliade è un’opera che parla di UOMINI e di uomini dobbiamo parlare ancora oggi. Iliade è un’opera che parla di EROI e di eroi dobbiamo riprendere a parlare. Iliade è un’opera che parla delle CAUSE di una guerra e noi dobbiamo saper distinguere il mito dalla realtà. Iliade, primo poema prodotto dalla letteratura occidentale, è la fase finale dell’antica e spaventosa guerra di Troia, madre e metafora di tutte le guerre. Non c’è poema epico al pari di Iliade che attraverso i secoli non continui a farci riflettere – con la sua lucidità e la sua amarezza – sul ruolo che l’uomo ha in relazione alla guerra, al destino, al divino e quindi anche alla morte. Iliade è il capolavoro frutto dello spirito di un’intera cultura e di una lunga tradizione orale che abbraccia diverse centinaia di anni e che ha visto i Greci, nel corso di questi secoli, esser vincitori e vinti.
Heinrich Schliemann, imprenditore tedesco, grande archeologo e scopritore dell’antica città di Troia, è a letto. Forse sta sognando, forse delira in preda alla forte febbre malarica. La stanza in cui si trova è semplice e gli oggetti che la compongono sono bianchi e senza tempo: un letto con una zanzariera, uno sgabello, un attaccapanni, un tavolino e una sedia. Schliemann si muove in questo spazio surreale in vestaglia, alla ricerca dell’antica città di Troia; cammina in scena ansioso di capire, riflette sui luoghi, cerca indicazioni geografiche nella sua Iliade tascabile che apre e consulta di continuo. Ne legge i versi e senza rendersene conto la forza del poema omerico torna a vivere in alcuni dei suoi personaggi che piano piano ciraccontano, attraverso il corpo e la voce di Schliemann, la storia della guerra di Troia. L’archeologo vuole capire dove scavare per trovare la rocca di Priamo, le mura della città, il campo di battaglia, l’antico fiume Scamandro, le navi greche e invece viene assediato dalle storie di tutti: Agamennone re dei Greci, Elena la bella regina di Sparta scappata a Troia con Paride, Ettore luminoso principe troiano, Achille furioso, il più forte fra i guerrieri greci, e Priamo re di Troia. Il racconto dei personaggi di Iliade e la ricerca archeologica di Schliemann, vengono interrotte dal Doctor Schliemann Show, un siparietto comico in cui il sogno/delirio del nostro archeologo lo conduce a trasformarsi in un presentatore contemporaneo da talk show. Il Doctor Schliemann versione cravatta e cappello di paillettes, si domanda chi sono gli dei e grazie ad un gioco di travestimenti a vista, li fa intervenire in scena proseguendo così la narrazione dell’Iliade. Si viaggia dunque con Heinrich Schliemann nell’orrore di questa guerra e di tutte le altre: la guerra di Troia perde così i suoi confini temporali, si lascia contaminare dai conflitti della storia, diventa un grande vaso di Pandora pieno di dolore, a sottolineare il fatto che, come dice Freud in una lettera inviata in risposta ad Albert Einstein, «(…) non c’è speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive degli uomini. D’altronde non si tratta di abolire completamente l’aggressività umana; si può cercare di deviarla al punto che non debba trovare espressione nella guerra».
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