INTERVISTA – Nel giorno del Gay pride, che ha visto migliaia di persone in piazza Bra in difesa dei diritti gay e contro l’omofobia, abbiamo incontrato Valerio, ragazzo gay che vive a Verona.
– Valerio, qual è il tuo rapporto con Verona, come ti senti in città?
Valerio. «Dipende da dove sono. In Veronetta mi sento abbastanza tranquillo, anche se cerco di evitare di passare davanti al bar Mastino, oppure ci cammino davanti velocemente. Cerco di non farmi notare, dipende comunque dall’orario. Ho i capelli lunghi, sono un ragazzo e questo per alcuni potrebbe essere un problema. Anche nelle zone in centro che non conosco, o sono poco frequentate, ho sempre un senso di ansia dovuto al timore che qualcuno mi segua, un po’ di sospetto, anche per le macchine che si fermano»
– Da cosa deriva questa paura?
Valerio. «So com’è Verona, so che gente con i capelli lunghi è stata ammazzata di bottei, come Nicola Tommasoli a Porta Leoni nel 2008. Ho sempre paura che possa succedere anche a me. Non ho paura tanto per il fatto di essere gay, perché nella mia persona non è così evidente, ma proprio per il fatto di avere i capelli lunghi e portare la coda. È impensabile che io debba aver paura ad andare in giro perché ho i capelli lunghi. Evito la zona dello Stadio e se ci dovessi andare starei attento».
– Cosa succede in zona Stadio?
Valerio. «È frequentata dagli ultrà e dalla curva dell’Hellas che sono rinomati per essere “conservatori”. Anche il sindaco Federico Sboarina fa parte della curva ed è vicino a una certa ideologia e non tenta di nascondere la cosa. Alcuni mi dicono che questa paura non è giustificata. Però non è che a me piace avere paura, vorrei non averne, ma sapendo la storia che Verona ha, la sera ho paura di uscire da solo. Magari è una paura mia, ma il fatto di essere in questa città non aiuta».

18 luglio 2020, Gay pride, piazza Bra, Verona
– Credi quindi che di fondo possa esserci un problema culturale?
Valerio. «Le persone non si fanno problemi a fare del male agli altri e questo mi spaventa: una violenza facile che fa parte della cultura, anche dei giovani. Una volta ho ricevuto minacce per aver commentato ironicamente un post di Facebook del Blocco studentesco di Verona. Dopo il commento una sera, mentre ero fuori con un amico, si sono avvicinati dei ragazzi chiamandomi per nome e dicendo che per “salvaguardare la mia salute” avrei dovuto lasciar perdere perché erano cose più grandi di me.
Un altro esempio è la porta della sede Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia), vandalizzata già tre volte quest’anno, o le denunce dell’Udu (Unione degli universitari), che critica apertamente una parte del corpo studentesco e alcune associazioni veronesi: ci vuole coraggio per farlo in questa città».
– Cosa credi dovrebbe essere fatto in questa città per cambiare le cose?
Valerio. «Ci deve essere un serio intervento delle autorità. Non da parte dell’amministrazione comunale, che ormai è l’ultimo posto in cui dobbiamo cercare il cambiamento, ma a livello giudiziario. Chi fa qualcosa di illegale e compie un reato deve finire in galera, ma qui i reati sono commessi giorno dopo giorno e nessuno dice niente. Il fascismo, l’utilizzo di simboli fascisti e la violenza verbale restano impuniti. È questo che fa’ paura in questa città: sapere che la discriminazione e i reati restano impuniti, che venga istituzionalizzata la negazione della liberà altrui».
– A questo proposito, cosa ne pensi della mozione contro il disegno di legge contro l’omofobia?
Valerio. «Non mi sorprende. Anzi, quasi me lo aspettavo, perché Verona non è nuova a questo genere di cose. Già nel ’95 la città si era proclamata contro il matrimonio egualitario e lo scorso anno come città del Family day con il Congresso delle famiglie e ancora come città anti-aborto. Ognuno ha la libertà della propria opinione ma è sbagliato proclamare Verona in un certo modo pensando di parlare per tutti. Sboarina e la sua giunta potevano fare la loro dichiarazione però rendere la città di Verona “anti qualcosa” vuol dire dimenticare una parte dei cittadini che non la pensa allo stesso modo. All’interno c’è lo schema per cui si vuol far credere che a Verona tutti la pensino così, e non è vero.
Non tutti i veronesi sono fascisti e Verona è stata parte della Resistenza. C’è una chiara intenzione politica di voler trasformare Verona, ancora di più di quanto non lo sia già, in una fortezza reazionaria. Il consigliere comunale Bacciga, lo stesso che ha firmato la mozione contro il reato di omofobia, rispose col saluto romano alle attiviste che, in aula, protestavano contro le mozioni antiabortiste. C’è una rete di camerata invisibile ai più che lavora di nascosto. Anche l’Hellas, che dovrebbe prendere le distanze dalla sua curva, non fa niente, per un ritorno economico. Per questo credo che sia una situazione difficile da sbloccare».
– Come devono sentirsi i cittadini omo-bi-transessuali di Verona?
«C’è chi la pensa diversamente, come dimostrano i numerosi circoli e il negozio gay-friendly di via Cantarane. L’attivismo è molto presente ma farsi spazio in questa città è tutt’altro che semplice, perché c’è un sistema di connivenze che si auto sostiene e se vuoi proseguire hai bisogno di un certo appoggio. I poteri forti presenti a oggi hanno tutti un certo indirizzo.
La differenza con le altre città è che a Verona l’omofobia è stata istituzionalizzata. Verona istituzionalizza il suo reazionismo. I cittadini omo-bi-transsessuali non si sentono e non sono tutelati, se dovesse succedere qualcosa le istituzioni sarebbero assenti. Lo dimostrano l’aggressione omofoba in Piazza Bra e il vandalismo contro la casa della coppia gay a Grezzana: l’amministrazione non ha detto o fatto niente dopo questi episodi».
Cristiana Ceccarelli

Cristiana Ceccarelli è toscana, nata in provincia di Pisa nel 1995. Attualmente è residente a Verona ma il dialetto è per lei ancora un po' ostico. Ha vissuto a Londra e adesso studia Editoria e Giornalismo all'Università di Verona. cristianaceccarelli311@gmail.com

Enrico
24/07/2020 at 20:29
È certamente positivo che il giovane intervistato possa esprimere i suoi timori ed avere spazio su queste pagine. Dico solo che la paura non si vince con le leggi (quale quella liberticida prossimamente in discussione nel nostro parlamento) ma innanzi tutto con l’educazione e la cultura dei valori umani e cristiani.
“Chi semina vento raccoglie tempesta” si dice… Dopo anni di cultura della “pura libertà”, libertà di fare tutto ciò che si vuole, ora scopriamo che ci sono dei giusti limiti. Il grande Gaber cantava “La libertà non è stare sopra un albero, libertà è partecipazione”: ecco la partecipazione, tutti insieme anche se diversi, è il vero antidoto ad una società individualista e violenta. E c’è anche una violenza collettiva ideologica che a volte è peggiore di quella che presume di combattere: bisogna rifletterci.
Sono d’accordo anche con le riflessioni contenute nel commento di Stefano: talvolta i temi sollevati dall’intervistato ottengono ampi spazi e risonanza politica, ma la paura quotidiana citata nel commento di Stefano viene gabbata e trascurata, quasi ci si debba abituare.
Da ultimo debbo dire che ho partecipato personalmente ad alcune manifestazioni organizzate dalle cosiddette “sentinelle in piedi” condividendone le motivazioni (io personalmente ritengo non condivisibile la pratica dell’utero in affitto, e vorrei poterlo dire liberamente ora ed anche in futuro, mentre la legge prossimamente in discussione vuole togliere ad esempio alla persona tale libertà), e la violenza l’ho vista in gruppi di giovani che inveivano contro tale pacifica e silenziosa manifestazione.
Cordialmente
Pietro Giovanni Trincanato
21/07/2020 at 09:24
L’intervista è forse un po’ ingenua (sarebbe da capire quanti anni ha il ragazzo), ma vuota di contenuti direi proprio di no. E il dibattito esploso su Facebook conferma che il quadro tracciato tocca un nervo scoperto. Perché il punto non è chi prova paura in città, agromento efficacissimo solo per sviare l’attenzione dal problema che l’intervista pone, o il numero di aggressioni “modello Tommasoli” che avvengono in città (pochissime, per fortuna), ma il diffuso clima di tolleranza di cui godono, a Verona, determinati atteggiamenti aggressivi e discriminatori. Si tratta di una questione ben più sottile e strisciante proprio perché non inquadrabile in una precisa fattispecie giuridica, gli atteggiamenti (uno sguardo, una parola, un certo tono di voce) non possono costituire un reato, ma sono efficacissimi per minacciare e fare sentire a disagio o in pericolo chi ne viene fatto oggetto. E se questi atteggiamenti, a Verona più che altrove, sono socialmente tollerati, non provocano lo sdegno di chi assiste, o qualche preoccupazione per le conseguenze in chi li adotta, è anche perché, negli anni, la politica ha dato loro copertura. Non si tratta di ricorrere alla magistratura, e non è vero che sono solo cliché: un Sindaco che va allo stadio non è un problema, ma un Sindaco che, per legittimarsi, ritiene di doversi qualificare a più riprese come tifoso e di intervenire sistematicamente in difesa delle frange più estreme della tifoseria – le cui posizioni spesso coincidono con quelle della parte più estrema della popolazione – a prescindere dal merito, è un Sindaco che sta dicendo a quel mondo “io sono con voi, vi proteggerò”. E quel mondo si sentirà sempre più legittimato ad adottare modi violenti e aggressivi, sapendo di non correre rischi.
È un meccanismo naturale, che si ripete sempre uguale (pensiamo agli anni ’70, quando una certa violenza “rossa” era tollerata da fette importanti dell’establishment e questa tolleranza ne alimentava la diffusione) e per il bene della nostra città dovremmo uscire dalla trappola della negazione a oltranza del problema travestita da difesa del buon nome della città. Ognuno può legittimamente tenersi le sue posizioni ideologiche, ma nel momento in cui si nega la legittima paura di qualcuno, si diventa complici di chi quella paura la provoca.
Marcello
20/07/2020 at 22:40
Dice Paiusco che a Verona, come in altre città italiane, capita, spesso, di aver paura. Vero. A dirlo ci sono le possibili vittime del bullismo politico e “religioso”: donne, omosessuali, e altri cittadini proprietari di “qualcosa” o che semplicemente credono nei diritti fondamentali, e che hanno ragioni per temere fuori di casa violenze di qualche genere. Ma questo è proprio l’esito di una politica, quella sostenuta dalla maggior parte dei votanti delle ultime elezioni comunali: votanti che hanno appoggiato (forse inconsapevolmente) certe “paure” in campagna elettorale, incitati dalle maggiori reti mediatiche cittadine (pagate dagli interessi “forti” o vicine al tradizionalismo cattolico). Ed hanno vinto, ovviamente, prima con Tosi e poi con Sboarina. Insomma la paura come frutto della politica delle “paure”, ancora oggi molto diffusa in campo nazionale. Bella comunque l’intervista della Ceccarelli.
Stefano Paiusco
20/07/2020 at 16:07
Caro Giorgio, a Verona, come in altre città italiane, capita, spesso, di aver paura. Si ha paura di un’ombra, nella notte, che pare seguirti mentre cammini; si ha paura, di giorno, di attraversare certi quartieri in cui lo spaccio di stupefacenti e la prostituzione, avvengono indisturbati; si ha paura di portare i propri figli ai giardini o al parco giochi perché, spesso, sono ritrovi di tossicodipendenti ; si ha paura, soprattutto se sei un anziano o una donna sola, di camminare, semplicemente, per strada, perché si ha il terrore di essere rapinati e, magari, pure picchiati e, nel caso delle donne, subire violenza; si ha paura ad allontanarsi per troppo tempo da casa per poi ritrovarla, magari, al ritorno, svaligiata; si ha paura di essere borseggiati sugli autobus, si ha paura che ti venga rubata la bicicletta, magari tuo unico mezzo di trasporto per andare al lavoro, insomma, oggi più che mai, la gente ha paura. Dispiace leggere di un ragazzo che teme per la propria incolumità solo perché è omosessuale, ma dispiace anche notare come, nell’articolo, si calchi molto la mano sul fatto che, secondo il parere dell’intervistato, il sindaco e la giunta attuali rimangano indifferenti a queste problematiche, perché, ed è quello che, tra le righe, ne scaturisce, sarebbero, in un certo modo, conniventi con dei cretini che inneggiano al nazifascismo e tifano per l’Hellas Verona. Il binomio estremismo di destra ed Hellas, poi, è completamente fuori luogo, ma, ormai, si sa, è un luogo comune difficile da estirpare. Non voglio difendere né il Sindaco e neppure la giunta e, tantomeno i tifosi dell’Hellas. Io, tra l’altro, con Sboarina sono molto incazzato per altre questioni di carattere culturale che, se vorrai, un giorno ti racconterò, ma credo che dovrebbe essere necessaria, da parte di tutti, soprattutto in momenti delicati come quello che stiamo vivendo, una visione dei fatti di più ampio respiro, analizzando, super partes, anche altre gravi problematiche. Perdonami, ma da come è stato redatto, l’articolo risulta un po’ tendenzioso e sembra buttare la croce addosso a questa giunta comunale, come se i suoi componenti fossero tutti degli omofobi. A questa riflessione mi sento di aggiungere che, leggendo l’articolo in questione, si ha la sensazione che a Verona ad aver paura di girare per strada siano solo gli omosessuali. Mhm… troppo semplicistico come discorso ed è per questo motivo che ho il sospetto che si sia voluto, in un certo modo, spostare l’attenzione solo su un problema che esiste, per amor del cielo, perché l’omofobia, ahimè, c’è ed è un fatto gravissimo, lasciando passare in secondo piano tutte le altre gravi problematiche che, insieme all’omofobia, affliggono la nostra città.
Redazione2
19/07/2020 at 13:22
Una bella intervista che aiuta a vedere le cose non esclusivamente dal proprio punto di vista, ma anche da quello degli altri. Così c’è posto per tutti.