Durante le prime settimane di “clausura forzata” da corona virus, abbiamo sentito spesso evocare la peste raccontata dal Manzoni nei suoi Promessi Sposi. La grande pestilenza del 1630 colpì gran parte dell’Italia settentrionale, e fu anche per Verona in assoluto l’evento più catastrofico sul piano della sua storia socio-sanitaria: su una popolazione di 50.000 abitanti dell’epoca, ben 30.000 furono portati via dal morbo. Siamo quindi – fortunatamente – molto lontani dai numeri e dalle relative emergenze evocate dai nostri giornali in questi ultimi mesi.
Vogliamo percorrere oggi un itinerario storico poco conosciuto nella nostra Verona, che possiamo chiamare proprio “Via dei Pestilenti”: una sorta di lunga, straziante processione che le barche compivano per trasportare malati, appestati e moribondi dalla città ai luoghi di isolamento.
Va premesso che quella del 1630 non fu né la prima né l’ultima epidemia, né fu la peste l’unico morbo che Verona conobbe, ovviamente. Già nel Medioevo esistevano ospizi religiosi collocati fuori città, per il conforto dei malati; un’attività che spesso si sommava alla semplice opera di carità e ospitalità verso i poveri, con l’effetto, forse, di propagare ancora di più le contaminazioni fra i veri contagiati e coloro che frequentavano quei luoghi per altre ragioni. La Chiesa e convento del Crocefisso sorgevano dove oggi vi è l’ex macello, nel quartiere dei Filippini: era il luogo deputato alla raccolta dei contaminati, l’imbarco a cui quasi mai si faceva ritorno, luogo di commiato tra viventi e morenti, in cui molte scene strazianti si sono consumate tra la riva e le onde del fiume.
Prima che Venezia decidesse di costruire un moderno Lazzaretto (tra il XV e XVI secolo era opera d’avanguardia), la destinazione di queste barche era il convento-ospedale di San Giacomo e Lazzaro alla Tomba, nella zona dell’odierno Basso Acquar, ottimamente collocata a valle dell’Adige, “sotto vento”, con ampie zone verdi circostanti. Spesso però i conventi non bastavano, e venivano predisposti i cosiddetti “casotti” (baracche) lungo l’Adige, su isolotti e spiagge abbandonate: tutta l’area dell’odierno Boschetto era deputata a questa triste funzione, e pullulava di esseri che si davano alla macchia nella speranza di sopravvivere alla fame, oltre che al morbo.
La costruzione del moderno Lazzaretto vide alterne vicende, e anche se generalmente se ne attribuisce il progetto al Sanmicheli, fu certamente di molto rimaneggiato per adeguarsi alle costanti mancanze di finanze. L’opera vide la luce nel 1628, appena due anni prima dello scoppio del Gran Contagio. Collocato nell’ansa dell’Adige al Pestrino dove sorgeva il convento di San Pancrazio (in parte ancora esistente seppure all’interno di una proprietà privata), permetteva di accogliere diverse centinaia di persone nella sua razionalissima struttura rettangolare, scandita da porticati con archi a tutto sesto corrispondenti alle celle, torri angolari adibite ai servizi comuni, e cappella al centro del cortile di forma tipicamente sanmicheliana, sormontata da cupola.
Un’opera tanto bella quanto insufficiente a far fronte ad un evento di portata del tutto inimmaginabile, tanto che durante l’apice dell’epidemia arrivò ad ammassare fino a 5.000 persone. Dalle cronache di Francesco Pona, medico dell’epoca e personaggio dalla storia anche personale molto interessante, sappiamo che si arrivò persino a rinunciare allo scavo di fosse comuni, preferendo la più veloce, quanto triste, soluzione di gettare i corpi nel fiume.
Il Lazzaretto è oggi in rovina, a causa dello scoppio di polveri e ordigni avvenuto alla fine della seconda guerra mondiale, ma il FAI ne sta portando avanti un bel recupero, ed è oggi restituito ai visitatori e ai fruitori di questa meravigliosa porzione del Parco Adige Sud. L’itinerario che abbiamo brevemente descritto si presta a camminatori, ciclisti e in generale a chi ama vivere il verde senza allontanarsi dalla città, e come visto, è anche fonte di grande suggestione storica.
Daniele Bressan
Redazione2
18/06/2020 at 18:02
Suggeriamo di partecipare a questi eventi. Abbiamo selezionato Assoguide perché sempre preparati e disponibili. Si passano 2, 3 ore in compagnia, muovendosi per le vie di Verona. Si imparano sempre cose nuove e si rispolverano cose dimenticate. Verona è davvero splendida e per chi ci abita è un piacere conoscerla sempre meglio. g.mont.