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Interviste

Covid-19 e intercultura, le donne di Casa di Ramìa si raccontano

INTERVISTE – Donne con culture diverse spiegano come vivono questo periodo chiuse in casa: Maria Angela Prado, Sadaf Mohammad, Maria Bendazoli, Houda Boukal e Sandra Faith Erhabor

Casa di Ramìa, Veorna
Casa di Ramìa, Veorna

INTERVISTA – L’identità delle donne ha collezionato – nel corso dei secoli e non senza sforzi – una molteplicità di abiti da sfoggiare, ma ce n’è uno che nell’immaginario collettivo sembra non essere passato mai del tutto di moda: quello di donna come “angelo del focolare domestico”. Molte cose sono cambiate dai tempi dell’Inghilterra della regina Vittoria, ma la sfera dell’accudimento, della protezione, del calore, della sensibilità, della casa rimane associata più spesso alle donne.

In questo periodo, in cui quella domestica è una dimensione forzata, come si sentono le donne con cultura e abitudini diverse? Abbiamo contattato  il Centro Interculturale delle Donne di Casa di Ramìa, in Veronetta, luogo che valorizza la capacità di tessere relazioni, intrecciare legami, trasmettere la cultura d’origine e al tempo stesso di aprirsi al nuovo per amore dei figli.

Il nome, Ramìa, deriva appunto da un tipo di ortica bianca da cui si ricava una fibra tessile. Forse, sarà proprio questa viscerale capacità delle donne di “mettersi in relazione”, anche a distanza di 1 metro, uno dei fari del prossimo futuro di “convivenza con il virus” che ci aspetta.

Maria Angela Prado

Maria Angela Prado

Maria Angela Prado, 42 anni, è di origini peruviane. È in Italia da 10 anni, è sposata e ha una bambina di 6 anni. Presidente dell’associazione “Sapori da ascoltare” è solita passare tutta la giornata fuori casa. Così racconta a Verona In: «Quella casa che nella quotidianità era rifugio, ora è diventata prigione che cerco di rendere più bella con qualche pianta. Casa nella cultura peruviana sono le relazioni, è uno spazio felice, di emozioni, comunitario, molto più largo della famiglia: “mi casa es tu casa”». Maria Angela crede che le donne abbiano una capacità di “resilienza” non naturale ma sviluppata perché da sempre lottano per i loro diritti.

Questa “capacità di sopportare” unita al sentimento di protezione che nasce in ogni donna quando diventa mamma aiutano. «Sono nata nel ’78 in Perù, in mezzo alla guerra, in cui ho vissuto per 20 anni. In guerra i bambini giocano insieme, per trovare un mondo immaginario, scappare, creare una “nave” che li porti fuori. Questa condizione è sopra la guerra. Ora i bambini non possono nemmeno giocare insieme. E io sto rivivendo le stesse emozioni di allora».

Per Maria Angela i bambini figli di immigrati hanno però un vantaggio: sono già abituati all’utilizzo della tecnologia per tenere vive le relazioni, magari con nonni e cugini rimasti dall’altra parte del mondo. «Cerco di far capire a mia figlia di 6 anni che non siamo in vacanza affiancandola nelle attività scolastiche, che ormai sono in misura maggiore responsabilità dei genitori, ma noto in lei grande sofferenza, frustrazione, rabbia». Di Casa di Ramia – che frequenta da 8 anni – a Maria Angela mancano le amiche, ma in particolare «il suono del campanello, la vista di un volto spiazzato e impaurito e il rivivere la sensazione che hai provato anche tu. Insomma, aprire la porta e vedere qualcuno che ha bisogno di un abbraccio e fargli capire che si è pronti ad accoglierlo».

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Sadaf Mohammad è una donna di 29 anni di origini afgane, in Italia da 10 anni. È sposata ed è una mamma casalinga che collabora con un’associazione Onlus per quanto riguarda il catering, preparando cibo afghano. Se pensa alla parola “casa” la associa subito alla famiglia e ai bambini. Mi dice che in questa situazione in cui la casa è una dimensione forzata «Essere casalinga è quasi un vantaggio!». Nella cultura afghana la “casa” è tutto per le donne: «Se non c’è casa non c’è vita. Non ci sono i bambini e il marito».

Ovviamente ora non si ha nemmeno la possibilità di “cambiare aria” per cui la convivenza risulta più difficile per tutti. Inoltre, è iniziato il Ramadam e avere le proprie occupazioni abituali aiutava a viverlo in maniera più serena. Quando le chiedo se a suo parere sia più facile per le donne rimanere a casa rispetto agli uomini mi risponde «Sì, perché per cultura io devo rimanere a casa mentre gli uomini devono stare fuori, lavorare fuori. Per questo, questo cambiamento per loro è più difficile». A Sadaf di Casa di Ramia mancano le amicizie che l’hanno aiutata a superare il “blocco” avuto appena arrivata qui dato dal fatto che non conosceva nessuno.

Maria Bendazzoli

Maria Bendazzoli

Maria Bendazoli è una donna italiana, veronese, di 61 anni. È sempre stata casalinga, ma con molti interessi, per cui sempre in movimento. Per Maria: «Casa è un contenitore: dipende da noi quello che ci mettiamo dentro». Dal suo punto di vista “casa” in Italia significa sicurezza, in particolare se di proprietà.

Questo periodo è per Maria occasione per un “lavoro di revisione”, di riordino che la costringe anche a rivivere il passato, i ricordi e a chiedersi che cosa sia cambiato rispetto a oggi, nella propria vita e nella società. Le donne dal suo punto di vista hanno generalmente più interessi e hobby da coltivare nelle quattro mura, per questo forse faticano un po’ meno in questa situazione. Ciò che le manca di Casa di Ramia è «il tipo di attività fatto insieme alle altre donne, la conoscenza di culture diverse e il mettersi in discussione».

Houda Boukal

Houda Boukal

Houda Boukal, è una donna marocchina di 40 anni, che vive in Italia da 19. È presidente dell’associazione culturale Nissa (che in arabo significa “Donna”), nata proprio dentro Casa di Ramia con l’obiettivo di valorizzare il bagaglio di sapere e il valore che ogni donna ha così come è, con la sua cultura e l’immagine che sceglie di avere. Per questo, prima dell’inizio della emergenza sanitaria passava la maggior parte del tempo fuori casa.

“Casa” per Houda è: «Tranquillità, famiglia, accoglienza, privacy». Anche per lei ora è diventata limitazione e a tratti prigione. Nella sua cultura casa significa sicurezza, amore relazioni e Houda ritiene che uomini e donne abbiano la stessa difficoltà in questa situazione in cui la dimensione della casa è un obbligo: «Dipende dalla voglia di fare e da come hai costruito il tuo progetto di vita, dal carattere».

Houda mi racconta che nella sua casa si cucina a turni e anche i due figli maschi cucinano. Si dice preoccupata per il futuro del suo Paese, l’Italia. Casa di Ramia per Houda è «Il mondo: per le tante culture e ricchezza che ho trovato. Sono arrivata in Italia a ridosso dell’11 settembre 2001 e, per la paura degli sguardi delle persone, non uscivo. È stato mio marito ad accompagnarmi a Casa di Ramia dove ho imparato l’italiano.

Qui ho condiviso la paura e la mia vita fino a maturare la voglia di far conoscere il mio percorso ad altre donne straniere per fargli capire l’importanza di conoscere se stesse per poi apprendere la nuova cultura e instaurare relazioni. Mi dispiace per l’interruzione della condivisione del sapere e delle relazioni dal vivo, ma attualmente siamo riuscite a riprendere le nostre attività tramite la piattaforma Zoom. Riusciamo così a confrontarci sulle nuove e diverse difficoltà che abbiamo e a scambiarci idee. Ora abbiamo iniziato a leggere insieme un libro».

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Sandra Faith Erhabor

Sandra Faith Erhabor

Sandra Faith Erhabor è una donna nigeriana di 51 anni ed è in Italia da 27 anni. Lavora come mediatrice culturale con una cooperativa sociale e si occupa di assistere le ragazze in strada, ad esempio accompagnandole al consultorio. È quindi abituata a passare le giornate intere fuori casa. Secondo la sua prospettiva la casa è un luogo di riposo e benessere che ora è soffocante.

Mi racconta che “casa” in Nigeria è luogo di pace e famiglia e che lì ha vissuto in una casa grande, in una famiglia di 5 mogli e 26 figli e casa sua, il suo appartamento in Italia, in questa situazione, le appare piccola. Frequentatrice della Casa di Ramia fin dalla sua apertura, nel 2004 a Sandra del Centro manca tutto. «È un luogo dove siamo sempre insieme, che non guarda colori ed età, è come una famiglia. Ci stiamo tenendo in contatto telefonicamente, ma non è la stessa cosa. Senza di loro mi sento sola e mai prima del Coronavirus avevo provato questa sensazione di solitudine e vuoto».

Marika Andreoli

Written By

Marika Andreoli, lombarda, laureata in Filosofia presso l'Università di Torino. Studentessa in Editoria e Giornalismo all'Università di Verona. Con una grande passione per libertà e verità ha la valigia sempre pronta per studi e viaggi. Il suo obiettivo: scrivere di luoghi, storie e persone per tutta la vita. marikaandreoli@gmail.com

2 Comments

2 Comments

  1. Marika Andreoli

    06/05/2020 at 14:02

    Grazie a te e alle altre quattro donne che ho intervistato! Conoscervi e scrivere di voi e di Casa di Ramìa è stato un grande piacere!

  2. Houda

    05/05/2020 at 14:42

    Grazie Marika per il bel lavoro fatto!

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