Di fronte all’avvenimento drammatico, al sopraggiungente funesto l’uomo cade in ginocchio. Anche oggi interroghiamo il mistero, né più né meno di come facevano gli antichi.
Pasqua 2020 al tempo del coronavirus: ce la ricorderemo. Chiese chiuse: sospese le celebrazioni della settimana santa, cancellata la messa solenne per la comunità. Anche Gesù, che simbolicamente risorge ogni anno dopo giorni di passione, non scorgerà quest’anno nessuno fuori dal sepolcro ad accoglierlo. Silenzio, desolazione. Solo in interiore homine troverà laudi e conforto. Addio, addio…. alle compagnie di amici, alle scampagnate, alle gite fuori porta di Pasquetta. Niente baci, abbracci, strette di mano. Tutti rigorosamente a debita distanza. Guai a starnutire, tossire.
Sarà dunque semplicemente una domenica da confinati in casa come quelle precedenti imposte dal virus. Ognuno a casa propria, basta Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi. Uniti solo virtualmente, senza banchetti speciali. E fuori il meteo inesorabile promette giornate limpide, assolate, primaverili, godibili all’aperto. Ci ricorderemo di questa festività di passione e, al momento, di poca speranza di resurrezione.
Ancora preoccupante è infatti il numero dei contagiati, dolorosa la conta dei morti, ferree le restrizioni. La cosiddetta fase 2 destinata alla ripartenza delle attività è ancora tutta da improntare. L’incubo di nuovi focolai infettivi assilla le nostre paure, la speranza di un ritorno alla normalità si affievolisce perché l’uscita dall’emergenza si sposta di scadenza in scadenza, ormai assumendo le connotazioni dell’utopia. Viviamo sotto lo shock sanitario, già sapendo che ci aspetta l’ulteriore shock di natura economica di difficile risoluzione.
Questo diabolico virus ha avuto il potere di spegnere i nostri motori, scompaginare la nostra esistenza annullandone tutti i programmi, minare progressivamente le nostre resistenze obbligandoci gradualmente ad un diverso stile di vita. Tutti in sospensione, tutti armati di guanti e mascherine, il nuovo look popolare e globalizzato che da perfetto stilista sempre il virus ha scelto per noi.
Ed in questa sorta di limbo che ci avvolge, ci si sorprende a pregare. Si riscopre la preghiera religiosa come invocazione al Padre o quella laica come meditazione esistenziale. Sull’origine della preghiera che si perde nella notte dei tempi bene narra il greco Eschilo nelle tragedie. Il drammaturgo riconduce il pregare all’evento della calamità. È di fronte all’avvenimento drammatico, al sopraggiungente funesto che l’uomo cade in ginocchio o si prostra a terra.
Quando il nemico si sta avvicinando, lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli incombe alle porte, già risuona lo sferragliare delle armi e l’assedio alla città di Tebe si fa sempre più imminente, a braccia alzate si implora l’aiuto divino. “Iuppiter chiunque tu sia” invoca il greco antico che abita ancora un mondo mitico dove mortali e immortali, seppure nell’abissale differenza ontologica, mescolano le loro esistenze. “Dio mio” supplica poi il cristiano che riconosce in un unico Dio il Padre nostro creatore del cielo e della terra. “Gesù mio” recita a mani giunte il bimbo educato dalla madre prima di consegnarsi al sonno. È dunque nei momenti di impotenza, davanti ad un nemico invincibile quando tutto appare perduto che, deposte le nostre illusorie armature, sentiamo il bisogno di affidarci, di abbandonarci ad un’entità trascendente o al sentimento del divino immanente nel mondo che comunque ci conforti, rischiari la notte.
La preghiera come momento di meditazione, di raccoglimento, appartiene anche all’ateo che non professa alcun credo religioso, o allo scettico che si trova in un percorso di insonne ricerca, o al laico la cui interrogazione non oltrepassa i limiti della ragione.
Una pausa di riflessione, credenti o non credenti, ci è comunque necessaria in questo momento d’inquietudine per trovare forza e strumenti di sopravvivenza. Per realizzare, come ricorda Einstein, che anche dall’esperienza della crisi più radicale possiamo trarre le ragioni di una rinascita. Quindi buona Pasqua.
Corinna Albolino

Originaria di Mantova, vive e lavora a Verona. Laureata in Filosofia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si è poi specializzata in scrittura autobiografica con un corso triennale presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (Arezzo). In continuità con questa formazione conduce da tempo laboratori di scrittura di sé, gruppi di lettura e conversazioni filosofiche nella città. Dal 2009 collabora con il giornale Verona In. corinna.paolo@tin.it
