Secondo Confartigianato Imprese Verona il decreto dell’11 marzo sta causando perdite per 652 milioni di euro. CGIL Verona vicina ai lavoratori. AHK Italien pubblica dati che rivelano incertezza.
«Il Decreto dell’11 marzo ha penalizzato le imprese del settore alimentare inquadrate sotto il codice Ateco della ristorazione, ossia gelaterie, pasticcerie, pizzerie al taglio, friggitorie, rosticcerie e simili, le quali, pur trattandosi di attività artigiane di produzione, sono state assimilate ai bar e, quindi, obbligate alla chiusura».
A dichiararlo, giovedì 9 aprile, sono gli alimentaristi artigiani che hanno deciso di scrivere al Prefetto. Secondo il presidente di Confartigianato Imprese Verona Roberto Iraci Sareri quella del decreto dell’11 marzo sarebbe «una palese discriminazione che avvantaggia alcuni operatori a sfavore delle imprese da noi rappresentate determinando in questa situazione un forte danno economico in uno dei periodi dell’anno nel quale viene realizzata buona parte del loro fatturato annuo».
In provincia di Verona, secondo i dati di Confartigianato, le imprese artigiane del settore alimentazione sono 1.164 e danno a lavoro 4.979 addetti. Confartigianato, solo per quanto riguarda gelaterie e pasticcerie, ha stimato che alle 24 mila imprese di tutta Italia, il 70% delle quali artigiane, con 74 mila addetti, la chiusura ad aprile provocherà perdite per 652 milioni di euro, tra mancato fatturato e perdite legate al deperimento delle materie prime acquistate precedentemente alla sospensione forzata.
«Abbiamo chiesto a tutte le nostre imprese di interpellare direttamente il Prefetto – ha concluso Iraci Sareri –, inviando una lettera con la quale ottenere la dovuta equiparazione dell’attività artigiana di vendita per asporto a quella prettamente commerciale, così da rimuovere questo ingiustificato impedimento all’attività di tanti artigiani e piccoli imprenditori».
Sul fronte occupazionale in Veneto e nel veronese i dati diffusi da Veneto Lavoro, secondo il segretario generale di CGIL Verona Stefano Facci, rifletterebbero una realtà che vede «tanti contratti a termine che non vengono rinnovati, tanti contratti di apprendistato che non vengono attivati perché le aziende si muovono con la massima circospezione, con una brusca frenata del lavoro somministrato. Una situazione critica e per molti versi inedita, che tutti siamo chiamati ad affrontare con il massimo equilibrio e i piedi ben piantanti per terra: sarà la scienza a dirci quando e come riaprire le porte al rilancio. Nel frattempo occorre fare di tutto perché nessuno resti indietro».
Se la coperta degli ammortizzatori che il governo ha stanziato, anche per le imprese non dovesse bastare, secondo Facci «sarà dovere delle istituzioni denunciarlo e intervenire. Come sindacato abbiamo attivato tutti gli accordi necessari affinché le risorse arrivino ai lavoratori e stiamo intervenendo su categorie inizialmente dimenticate, come i lavoratori stagionali e quelli dello spettacolo».
Riguardo a imprese e le aspettative future, a livello nazionale la AHK Italien Camera di Commercio italo-tedesca, ha raccolto con l’indagine AHK World Business Outlook relativa all’Italia, una serie di dati che mostrano un clima di diffusa preoccupazione per la congiuntura economica: l’83% delle aziende, infatti, valuta in maniera negativa le prospettive di sviluppo economico del Paese a medio termine e il 63% dei rispondenti teme anche un’evoluzione negativa del business della propria azienda.
La preoccupazione delle aziende è dettata principalmente dalla prospettiva di un forte calo della domanda, che rappresenta il principale fattore di rischio per l’81% delle imprese partecipanti, seguito dalle scelte di politica economica (50%) e dalla difficoltà di reperire finanziamenti (21%).
I timori associati al calo della domanda sono a loro volta legati in primo luogo alla diffusione del Covid-19 in Italia e nel mondo. La diffusione della pandemia si manifesta a livello economico soprattutto con un calo della domanda di prodotti e servizi, un effetto sottolineato dal 75% dei rispondenti. Ne deriva che più della metà delle imprese prospetta perdite tra il 10 e il 50% sul fatturato 2020.

