Grazie ai fondi provenienti dall’ospedale di Tomba, l’amministrazione comunale decise di realizzare una costruzione per isolare le persone infette da malattie contagiose.
La peste, nel 1630 nella città di Verona, provocò la morte di 33.000 persone su una popolazione di circa 54.000 abitanti. Nel 1631, lo studioso veronese Francesco Pona, nel suo Gran contagio di Verona raccontò che sulle acque dell’Adige galleggiavano i morti e che venne deciso di abbandonarli alla corrente del fiume perché mancavano “luoghi, modi e ministri per interrare i cadaveri”.
Verona, come altre città, decise che era sconsigliabile isolare gli ammalati all’interno dell’abitato o dislocarli nelle vicinanze, nei cosiddetti casotti in legno delle contrade di San Zeno e Campo Marzo. Così si ritenne necessario isolare i contagiati in un luogo lontano dalle zone abitate.
Nel 1539, grazie ai fondi provenienti dalle entrate dell’ospedale di Tomba, l’amministrazione comunale decise di realizzare una adeguata costruzione per isolare le persone infette da malattie contagiose. Per provvedere alla realizzazione del progetto, fu incaricato il priore, assistito dagli ordinari consiglieri e da tre cittadini. Questa commissione, che avrebbe dovuto far pervenire il progetto entro pochi mesi, per vari motivi riuscì a presentarlo al Consiglio solo nel 1547. Valutate le proposte, il progetto fu approvato e scelta la località dove sarebbe stato realizzato: S. Pancrazio.
Il Lazzaretto fu completato 81 anni più tardi, nel 1628, pronto per ospitare i contagiati della tremenda peste del 1630 portata da un soldato “con un gran fagotto di vesti comprate o rubate ai soldati alemanni” di nome Francesco Cevolini che abitava in San Salvar Corte Regia. Il soldato morì pochi giorni dopo il suo arrivo e lo seguirono tutti coloro che lo avevano assistito e curato.
Il terribile morbo, non identificato e contenuto, in poco tempo si diffuse in tutta la città. Il governo della Serenissima, preoccupato per la situazione di Verona, vi inviò il cavaliere Aloise Valleresso, con pieni poteri, che quando capì che si trattava di peste, per contenere il propagare del morbo emanò delle ordinanze severissime. Chi si opponeva era “sotto pena di corda, bando, prigion, galera, confiscatione de’ beni, et anco della vita…”. Chi mostrava i primi sintomi della malattia veniva caricato su una barca e trasportato al Lazzaretto, che arrivò ad ospitare oltre 5.000 ammalati. Furono evidenziati con una croce e chiusi dall’esterno gli edifici funestati dal morbo. I rinchiusi nelle proprie abitazioni ricevevano i beni di sostenimento, calando dalla finestra una corda con la cesta.
Il Lazzaretto
Pare che il progettista del complesso fosse il revisore dei conti all’ospedale di San Giacomo alla Tomba, Giangiacomo Sanguinetto, che ridusse il progetto originale di Michele Sammicheli, diminuendone la superficie e la volumetria. Che il progetto dell’opera fosse del Sammicheli, poi ridotto dal Sanguinetto, oppure interamente disegnato da quest’ultimo, non lo sappiamo con certezza, sicuramente l’edificio esprimeva l’inconfondibile linguaggio architettonico del grande architetto veronese.
Il contesto ospedaliero era diviso longitudinalmente e trasversalmente da due alte mura che delimitavano la zona coperta ed il cortile in quattro sezioni, per permettere la separazione degli ammalati secondo la loro gravità. Il tempietto, tutt’ora visibile, era al centro dell’area. L’uso sanitario del Lazzaretto cessò per un breve periodo nel ‘700, per essere destinato a deposito di polveri e munizioni, ma alla fine del XVIII secolo, riprese il suo ruolo originale, per ospitare i soldati austriaci e francesi, contagiati da malattie infettive. Durante la dominazione austriaca del Lombardo-Veneto, il Lazzaretto fu adibito a deposito di esplosivi, munizioni, e tale destinazione rimase sino al 1945.
Tranne la cupola del tempietto, che pare fosse crollata agli inizi del ‘900, l’intera struttura rimase integra sino alla primavera del 1945, quando un gruppo di militanti fascisti, come scriveva Giuseppe Silvestri: “rotte a colpi di mitra le porte si introdussero nel Lazzaretto, e dando fuoco agli esplosivi, determinarono la rovina del lato orientale.” Il 20 maggio 1945, un’imprudente manovra fatta da qualche persona per recuperare i bossoli dei proiettili svuotati della polvere da sparo causò una violenta esplosione che provocò la distruzione completa della parte occidentale del Lazzaretto: persero la vita circa 30 persone. Rimasero in piedi alcuni tratti di mura e il tempietto, che fu ristrutturato nel 1958 per i 400 anni dalla morte del Sammicheli, avvenuta nel 1559.
Ora la struttura è utilizzata dal FAI di Verona per ospitare manifestazioni ed eventi culturali.
Zeno Massignan

Zeno Massignan è nato a Verona nel 1988, laureato in Lettere con un percorso in Storia dell’Arte, laureato in Gestione ed Economia dell’Arte. Ha lavorato nel settore marketing e comunicazione per alcune istituzioni museali. Pratica e insegna judo, appassionato di arte, apprezza la convivialità e la vita all’aria aperta. zeno.massignan@hotmail.it
