Nicolis: «Forse sono poeta. Certamente non sono saggio. Ma se cantando il duol si disacerba, allora, saggio o no, vale la pena cantare».
Salutiamo con piacere La vita è bivio (2017-2018), l’ultima raccolta di poesie di Nicola Nicolis pubblicata dall’editore Bonaccorso nella collana di Poesia Contemporanea diretta da Antonio Seracini (221 pagine, 15 euro). Dalla prefazione di Mario Allegri: «So che la poesia è indispensabile, ma non saprei dire per cosa. Queste parole di Jean Cocteau figurerebbero bene in epigrafe ai versi de La vita è bivio (2017-2018), quarta raccolta del veronese Nicola Nicolis, emerso di recente da una semiclandestinità poetica (un’esclusiva cerchia di amici era ammessa al suo tavolo di scrittura) che lo voleva autore soltanto di originali testi di canzoni». Nicolis dice di sé: «Forse sono poeta. Certamente non sono saggio. Ma se cantando il duol si disacerba, allora, saggio o no, vale la pena cantare». Perché leggere questa raccolta di poesie? Parafrasando le parole dell’autore proprio perché leggendo «il duol si disacerba». La lettura di La vita è bivio ci emoziona, ci fa riflettere, ci connette con noi stessi portandoci in uno spazio non più soltanto fisico.
Nicola Nicolis è nato a San Martino Buon Albergo del 18 aprile 1949. Quando aveva quattro anni, la famiglia decise di trasferirsi a Verona e lui dovette, obtorto collo, seguirla; da allora sta lì e non si è praticamente più mosso. Ha compiuto studi classici, giungendo a un pelo dal laurearsi in filosofia. Non ha fatto il militare in quanto abbastanza orbo da convincere la patria a fare a meno di lui. È un reduce (non pentito, ma solo molto dispiaciuto) del ‘68 e di quel che ne è seguito. Nel ‘73, superando inopinatamente un regolare concorso, è stato assunto da una banca, da cui per tanti anni ha ricevuto di che vivere. Disordinatamente legge di tutto, dai classici alla fantascienza. Da quando ha scoperto il personal computer, ha disimparato a scrivere a mano; in compenso ha imparato un sacco di solitari. Scrive poesie e disegna fin dalla seconda media, quando fu rimandato in disegno e una malaccorta insegnante di italiano pensò bene di fargli comporre i primi versi. Gli piace far canzoni e bere vino (ultimamente birra), ama la buona cucina, porta barba e capelli lunghi perché non sopporta i barbieri ed è troppo pigro per radersi ogni mattina. È convinto che le religioni organizzate siano la peggior disgrazia capitata in sorte all’umanità. Non possiede televisione né telefonino né automobile. Parla correntemente l’italiano e il dialetto veronese.
Da La vita è bivio
Il treno certo non ricorda niente,
corre e lascia alle spalle ogni incertezza
e fischiando percorre in una notte
quanto c’è tra vecchiaia e giovinezza.
Il treno certo non si crea problemi,
è qualcosa che un giorno è già arrivato;
è un domani che non cerca futuro,
è un sogno che non ama il suo passato.


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