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Lettere

In questi giorni, l’unica paura da affrontare è la paura della paura

Piazza Bra, Verona
Piazza Bra, Verona

In questi giorni hai voglia di superare la pressione da CoronaVirus, ma non ce la fai: giornali e televisioni, con cronache incessanti ti aggrediscono in continuazione. I Social da taschino e i gli Smartphone “sempreinmano” non ti danno tregua, perfino le trasmissioni radio meno inquietanti non riescono a durare pochi minuti senza informarti sul numero crescente di morti e contagiati, scambiando la doverosa necessità d’informazione con una “prova d’audience”, chissà perché.

Abbiamo sentito parlare di “quarantena”, cioè quel periodo d’isolamento in cui si obbligavano folle di persone (o navi) sospettate o colpite da “peste” (fin dal XIV secolo), o dalla “spagnola”, (come nel secondo decennio del Novecento) e poteva durare quaranta giorni, ma qui la “quarantena” dura quindici giorni e non si giustificano le corse ai supermercati e l’acquisto indebito di prodotti alimentari da parte di tanti italiani impauriti, maldestramente inquietati da certa informazione.

Abbiamo imparato dai “media” l’importanza di un frequente lavaggio delle mani e di parlarci, tra amici, restando leggermente più distanti del solito, e l’utilità di evitare per un po’ luoghi troppo frequentati (cinema, teatri e stadi sportivi) e persino, in chiesa, a stare a debita distanza dal vicino e ad evitare, magari, lo scambio di pace con le mani, ma non abbiamo pensato a riprendere in mano l’opportunità di uscire, per chi può, a fare una bella camminata all’aria aperta, che sarà (malgrado la bassa qualità dell’aria), provvidenziale comunque, sia per la nostra “linea” che come fonte di buone riflessioni sul nostro immediato futuro.

Credo che, pure in casa, l’ascolto di un buon concerto di musica classica o country potrebbe anche risvegliare interessi culturali e buone speranze arrivando ad addolcire questi tempi di timori esagerati. La possibilità di restare a casa dal lavoro, nelle zone rosse (ovviamente giustificati come ammalati) e nei casi ammessi, e la possibilità di fare dal computer di casa certi lavori, possono essere accolte positivamente, come risvolti positivi.

Sappiamo che questo virus ha cambiato nome (COVID-19) e ci deprime il sapere che trai vari Paesi europei l’Italia ha il maggior numero di contagiati, eppure già dimentichiamo il recente successo nell’individuarne la struttura, cosa che ben promette sull’individuazione del relativo vaccino.

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Abbiamo fatto qualche errore nell’affrontare, dall’inizio, il problema del paziente zero e la possibilità di bloccare anche i cittadini rientranti dalla Cina attraverso altri scali (non direttamente, cioè), ma siamo dotati di Ospedali ben diffusi sul territorio e di centri nazionali (Spallanzani a Roma e Sacco a Milano) di primaria importanza scientifica, con la capacità di riconoscere (quasi immediatamente) su un “tampone” la presenza eventuale del virus, e godiamo di una struttura sanitaria nazionale in grado di consigliare al Governo le migliori iniziative da intraprendere attraverso specifiche Ordinanze.

Abbiamo fatto, forse, degli errori iniziali ma qual è stato davvero l’inizio se la Cina solo a metà gennaio ha informato il mondo di questo virus ignoto? E se, a poco più di un mese e mezzo, abbiamo fatto tanti rilevamenti (ben 4000 contro i 400 della Francia)? Nonostante il più scarso sostegno governativo alla Ricerca (e all’Istruzione), in percentuale sul PIL (prodotto interno lordo), tra i vari Paesi europei?

Preoccupante per me è invece la scelta di chiudere ogni attività scolastica e sportiva, anche solo per una settimana: la Scuola ed il calendario sportivo non devono fermarsi. Nel primo caso perché, al di là del sicuro danno educativo e scolastico, sono più i problemi che la “sosta” forzata impone alle famiglie che quelli dipendenti da un eventuale (e difficile) contagio dei ragazzi, mentre per il Calcio e gli altri Sport al di là di qualche entrata in meno, legata ad una temporanea assenza dei tifosi, non si va, e lì, di soldi, le Società sportive ne fanno a palate. Dunque anche su questi due terreni (Scuola e Sport), occorre un po’ di saggezza, che il Governo insieme alle Regioni dovrebbe saper trovare.

In qualche caso ed in certi comuni il virus ha potuto colpire delle persone, vero, e a molte altre ha causato difficoltà impreviste ma di certo superabili. Però non c’è una guerra in corso e, fortunatamente, nemmeno una pandemia. Forse, in questo periodo di sofferta “globalizzazione” della paura, potremmo approfittare per rivedere qualcosa nel nostro stile di vita, e tentare di respirare, almeno quanto basta per vivere in modo un po’ meno frenetico.

Penso davvero anch’io di poter rivedere lo stile di vita quotidiana e altrettanto penso per tutti noi. Come? Magari attraverso un moderato distacco da “telefonini” e televisione, un distacco non totale, ovviamente, ma capace di offrire più tempo a sane riflessioni sul senso da dare (o ridare), alla nostra vita, al nostro lavoro, al bene che possiamo fare ai nostri figli, ai genitori o ai nostri amici, con adeguate riflessioni o letture di romanzi o saggi, che abbiamo sempre rinviato per mancanza di tempo.

Allora di che dobbiamo avere paura? Forse soltanto della paura, che certe forze politiche da troppo tempo insinuano su ogni tema di fondo. Ecco: la paura della Paura.

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Marcello Toffalini

Written By

Marcello Toffalini è nato nel 1946 ed è cresciuto nella periferia di Verona tra scuola, parrocchia e lotte sociali. Ha partecipato ai moti universitari padovani e allo sviluppo delle Scuole popolari di Verona. Si è laureato in Fisica a Padova nel 1972 e si è sposato nel 1974 con rito non concordatario. Una vita da insegnante di Matematica e Fisica presso il Liceo Fracastoro, sempre attratto da problematiche sociali e scientifiche. In pensione dal 2008. Nonno felice di tre nipotini. Altri interessi: canta tra i Musici di Santa Cecilia. ml.toffalini@alice.it

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