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Castelvecchio (foto Giorgio Montolli)
Castelvecchio (foto Giorgio Montolli)
Castelvecchio (foto Giorgio Montolli)

Inchieste

Musei tra cultura e business, Verona cerca il suo modello

INCHIESTA – Non basta aver posto i sette principali siti museali sotto un’unica direzione. Fondamentale l’ingresso dei privati, senza cedere a logiche in grado di compromettere il valore intrinseco del sistema. Le interviste a  Francesca Briani, Tommaso Ferrari, Michele Bertucco,  Francesca Rossi, Gabriella Belli, Valerio Terraroli. Il Piano Folin? Il primo step è un hotel di lusso

INCHIESTA – Verona città d’arte e cultura. Uno slogan per tutte le stagioni, verrebbe da dire, ma che oggi vale più che mai, soprattutto alla luce della candidatura di Verona a Capitale italiana della Cultura per il 2021. Certo, bisognerà battere la concorrenza di una quarantina di altre città (fra cui quella di un’agguerritissima Volterra), ma è indubbio che i numeri per trionfare a Verona ci sono, o meglio… ci sarebbero se incanalati nella giusta prospettiva. Staremo a vedere.

In attesa del 2 marzo, data di scadenza per la presentazione del dossier-progetto, si possono fare riflessioni generali su quella che, ad esempio, è l’offerta museale veronese, che per una città che vive di turismo e arte non può essere considerata secondaria ad altro tipo di offerte, in grado di attirare il grosso dei visitatori della città scaligera. Leggasi alla voce Arena di Verona, Casa di Giulietta e via dicendo.

La situazione museale a Verona venne in qualche modo rivoluzionata nel Dopoguerra, con le prime iniziative dell’insigne storico dell’arte e curatore museale Licisco Magagnato, un vero e proprio monumento della cultura cittadina e che fu direttore dei Musei Civici veronesi dal 1955 al 1986. Nel tempo Magagnato trovò il suo epigono in Paola Marini, a cui passò idealmente il testimone di “araldo” della cultura e dell’arte in città.

Per qualche anno, a dire il vero, c’era stato anche l’interregno di Marinelli, ma quando la direzione venne, infine, affidata alla Mariniquesto coincise con un lungo periodo – di quasi vent’anni – in cui la direttrice museale resse le sorti dei Musei Civici veronesi, dedicandosi in particolare allo sviluppo di Castelvecchio e all’arte antica, venendo affiancata nella gestione dell’arte moderna da Giorgio Cortenova – pseudonimo di Giorgio Rossi – critico d’arte e direttore dal 1985 al 2008 della Galleria d’Arte Moderna, quando aveva sede a Palazzo Forti.

Per due decenni attorno a queste due figure la direzione dei Musei Civici ha avuto un afflato di carattere internazionale, che ha portato in riva all’Adige alcune mostre frutto di grandi collaborazioni italiane e internazionali come, fra le altre, quella del 2006 sul Mantegna (che coinvolse il Louvre e altre città limitrofe come Mantova e Padova), quella del 2009 dedicata a Jean-Baptiste Camille Corot realizzata ancora a braccetto con il grande museo parigino o quella del 2014 dedicata a Paolo Veronese, che vide la partecipazione della National Gallery di Londra.

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Museo Lapidario Maffeiano.

Museo Lapidario Maffeiano (foto Giorgio Montolli)

Eventi che, se ci si ferma a pensare, erano di proporzioni notevoli per una città come Verona, che nel frattempo, nel 2011, aveva anche dimostrato di aver preso finalmente coscienza di sé in occasione della celebre mostra sul Settecento a Verona. Per anni, insomma, Verona ha parlato quasi alla pari con realtà ben più importanti come New York, Londra e Parigi, che sono state partner in diverse occasioni e che hanno in quale modo dato il metro della qualità della proposta scaligera.

Dopo questa stagione particolarmente felice (ma anche egemonizzata, inevitabilmente, dalla prorompente figura di Paola Marini), la direttrice si è spostata nel 2015 a Venezia, venendo sostituita da Margherita Bolla. Da quel momento in poi la situazione, non certo agevolata dal parziale disinteresse della Giunta Tosi focalizzata altrove (come agli accordi con Marco Goldin per portare in Gran Guardia mostre ad alto impatto mediatico), tende un po’ a cristallizzarsi, anche perché nel frattempo altre figure erano venute a mancare.

Con la scomparsa di Giorgio Cortenova nel 2008, ad esempio, e la conseguente decapitazione della Galleria di Arte Moderna, la stessa GAM viene “annessa” nell’ambito dei Musei Civici e rimane, a detta di molti, un po’ priva di una vera e propria identità con una collezione sì bella, ma forse un po’ carente. Inoltre nello stesso periodo una delle collezioni più significative della città, come quella contenuta nel Museo di Storia Naturale a Palazzo Pompei, rischia di cadere letteralmente in pezzi, in crisi di risorse e con sempre meno personale a disposizione.

Francesca Briani, Francesca Rossi

Francesca Briani, Francesca Rossi

Con l’ingresso a Palazzo Barbieri dell’Amministrazione Sboarina nel giugno 2017 si torna a focalizzarsi sull’importanza dei Musei Civici veronesi, dando voce alla necessità della città di centralità a livello culturale. Viene subito ripristinato l’assessorato alla Cultura con la nomina di Francesca Briani che per la direzione dei Musei Civici identifica una nuova autorevole figura in sostituzione di Margherita Bolla. Si opta per una direzione unificata dei sette principali siti museali veronesi e si nomina per il gravoso compito – attraverso un concorso – Francesca Rossi, con un mandato triennale (rinnovabile).

Un’iniziativa applaudita da tutta la città, ma che ha fatto nascere, anche, alcune perplessità. «Il concorso ha imposto un mandato molto limitato alla Direttrice dei Musei, che diventa così un’emanazione diretta dell’amministrazione, con scarsi margini di autonomia, in un momento in cui al contrario occorrerebbero scelte molto coraggiose e ampia libertà d’azione – spiega, infatti, il Consigliere di minoranza a Palazzo Barbieri Tommaso Ferrari –. Quando un ruolo tecnico, da sempre svolto da funzionari autonomi che operano prima di tutto per il bene delle istituzioni museali, si trasforma in un incarico sempre più politico, qualcosa inevitabilmente si inceppa».

Tommaso Ferrari.

Tommaso Ferrari.

«Questa scelta – continua Ferrari – ha depotenziato moltissimo il ruolo della Rossi, che per fortuna è almeno in grande sintonia con l’assessore Briani. Purtroppo il resto della maggioranza, molto sospettoso per questioni ideologiche e sensibilità rispetto a tutto ciò che in città è legato alla cultura, non è altrettanto convinta nell’appoggiare, anche in termini di risorse, il loro difficile compito. In definitiva, il vero problema è che non si investe abbastanza su questo settore, né in termini strettamente economici né di fiducia nel dirigente, che se lasciato libero e opportunamente supportato potrebbe recuperare da sé le risorse necessarie a progetti ambiziosi».

La dottoressa Rossi deve fin da subito affrontare una situazione alquanto complicata in termini di organico, in primis, ma anche di strutture non adeguate e risorse. «Le nostre priorità vanno necessariamente contestualizzate all’interno di una visione organica e sostenibile della rigenerazione e dello sviluppo del sistema museale cittadino complessivo, pubblico e anche privato – commenta Francesca Rossi –. Deve essere una visione capace di salvaguardare gli equilibri dell’esistente e di far emergere le specificità e i valori delle testimonianze materiali che caratterizzano l’originalità del patrimonio culturale e paesaggistico veronese. Tutto ciò considerando il grande potenziale di un sistema museale civico dalla storia secolare come quello veronese (che ha le sue premesse nel settecentesco Museo Lapidario Maffeiano) che oggi va tutelato come uno dei più autorevoli del Sistema Museale Nazionale».

Arsenale (foto Giorgio Montolli)

Arsenale (foto Giorgio Montolli)

In questi due anni di lavoro da parte della dottoressa Rossi le storiche strutture competenti per i musei archeologici, artistici e naturalistici (Direzione Musei d’Arte e Monumenti – U.O. Archeologia Didattica, U.O. Galleria d’Arte Moderna Achille Forti, U.O. Museo di Storia Naturale) sono diventate un’unica realtà. «Data l’ampiezza di questa rete e la straordinaria ricchezza del patrimonio delle collezioni che ciascuna delle sedi custodisce – spiega Francesca Rossi – è senz’altro questo  l’obiettivo più impegnativo tra quelli che mi sono stati assegnati, soprattutto perché la carenza di risorse economiche e umane non agevola il complesso lavoro volto a potenziare lo sviluppo dell’offerta museale e a migliorare la gestione».

Progetti prioritari per la Rossi al momento sono anche il rinnovo dell’illuminazione dell’allestimento del Museo di Castelvecchio e della Galleria d’Arte Moderna Achille Forti, il restauro della Torre del Mastio di Castelvecchio (per quest’ultimo si conta su un finanziamento ministeriale di euro 1.400.000 euro e del fondamentale supporto fornito da Maurizio Cossato e dagli Amici dei Civici Musei), e i lavori alla Palazzina di Comando dell’Arsenale destinata a ospitare le Biblioteche specialistiche dei Musei Civici e laboratori visibili al pubblico dedicati alla ricerca sulle collezioni. A Castelvecchio, in questi tre anni, si sono succedute diverse mostre e quella attualmente in corso sui “Vetri di Scarpa” è un’esposizione di ottima qualità realizzata in collaborazione con “Le Stanze del Vetro”.

Tra i progetti che la Rossi sta seguendo, già approvati dall’Amministrazione, ci sono anche il partenariato pubblico-privato per la concessione integrata del cortile e della Casa di Giulietta, la pianificazione del restauro e riallestimento del Museo di Storia Naturale a Palazzo Pompei, il progetto per la creazione di un Deposito unificato per le collezioni civiche negli spazi della Caserma di Santa Caterina. E ancora la riapertura del Centro Internazionale di Fotografia agli Scavi Scaligeri con la collaborazione della  competente Soprintendenza Archeologia, Belle Arti, Paesaggio.

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A breve verrà impostato anche un nuovo percorso museale dell’Anfiteatro Arena, con la collaborazione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti, Paesaggio (tra gli interventi per valorizzazione e fruizione del monumento nell’ambito del progetto finanziato con Art Bonus).

Verona Teatro Romano - Rumors

Verona, Teatro Romano

Molto si è fatto, dunque, e molto c’è ancora da fare. Soprattutto per quanto riguarda la gestione di alcuni siti veronesi che possono davvero dare un’importante svolta culturale alla città. Come il progetto del cosiddetto “Grande Castelvecchio” (con l’allargamento degli spazi museali anche alla parte oggi destinata al Circolo Ufficiali), oggi di strettissima attualità, o la destinazione che l’Amministrazione vuole dare alla Gran Guardia, sempre un po’ prigioniera delle mostre temporanee “acquistate” (come quella attualmente in corso di Marco Goldin) e ingabbiata nel suo ruolo di sede congressuale. Infine varrebbe la pena fare una riflessione sul Palazzo della Ragione, destinato originariamente a spazio per mostre temporanee e per questo progettato, con tutti gli attuali limiti che ne derivano per la GAM.

«La riorganizzazione dei Musei e dei Monumenti Civici in un sistema museale unificato rappresenta una rivoluzione epocale per la città di Verona, cui non si assisteva forse dagli anni Venti del Novecento, dai tempi della direzione di Antonio Avena – dichiara con orgoglio l’assessore Francesca Briani –. La riunione dei Musei Civici in un sistema unico e il conseguente bando per la nomina di un unico direttore sono stati fra i miei primi atti amministrativi volti ad una vera e propria modifica della macro struttura amministrativa che ha trovato compimento lo scorso 1 novembre 2019. Alla base c’è il pensiero sul ruolo che i Civici Musei, riuniti in un solo sistema, devono svolgere in un quadro di sviluppo che veda la tutela e la valorizzazione dei beni culturali come fulcro di politiche pubbliche non più rivolte al passato, ma in grado di guardare al futuro».

Nel frattempo, però, ha chiuso il museo dell’opera lirica AMO, che non è più a Palazzo Forti, ma è diventato una sorta di temporary museum – attivo cioè solo in estate durante il Festival lirico areniano – con sede in Gran Guardia in un’operazione affidata a Fondazione Arena, mentre Fondazione Cariverona ha lasciato al Comune la complessa gestione di quel prestigioso edificio, senza – pare – aver dato per il momento alcuna indicazione o direttiva e senza nemmeno fornire risorse economiche o umane di supporto a Palazzo Barbieri.

Al momento il Comune lo sta utilizzando Palazzo Forti come deposito, ma ancora non è chiaro quale sarà la sua destinazione, anche perché nel chiacchierato Piano Folin il presunto Museo della Città dovrebbe essere “splittato”  a metà fra Castel San Pietro e Palazzo del Capitanio, con una commissione nominata dalla stessa Fondazione Cariverona, che però ragionerebbe anche su opera d’arte e manufatti delle collezioni civiche, con una potenziale confusione di competenze e un dispendio di risorse che al momento appare a dir poco insostenibile per le non certo floride casse comunali. E attualmente non è nemmeno chiaro quali saranno le opere che vi verranno esposte.

Federico Sboarina, Alessandro Mazzucco, Marino Folin

Federico Sboarina, Alessandro Mazzucco, Marino Folin

«La riflessione che stiamo compiendo sia per il Bando di Capitale della Cultura sia per il Piano Folin è che un intervento esclusivamente “municipale” non sia sufficiente – aggiunge, infatti, la Briani –. Questi sono temi che interessano politiche urbanistiche, patrimoniali, turistiche e culturali di grande impatto e che come tali meritano una riflessione da parte di tutta l’Amministrazione e della città intesa in senso ampio, non di un solo assessorato».

Di certo, c’è da sottolineare, il Piano Folin di Fondazione Cariverona non è un progetto ad esclusiva matrice culturale, visto che come tutti sanno il primo step in programma – che rischierebbe però anche di rimanere l’unico, qualora mancassero i soldi per terminarlo – è comunque la realizzazione di un hotel di lusso nei prestigiosi edifici di via Garibaldi.

Quando si parla di Fondazioni e in particolare di Fondazioni Museali ci si riferisce quasi sempre alla “privatizzazione” del patrimonio artistico di una città – affidandolo, cioè, a Fondazioni nei cui consigli siedono in maggioranza soggetti privati, oggi considerati indispensabili per il buon funzionamento di un soggetto che opera nel settore culturale – ma esistono esempi virtuosi in cui l’ente pubblico rimane il principale player del sistema o in cui la commistione fra pubblico e privato appare particolarmente virtuosa.

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Palazzo della Ragione, sede della Galleria d’Arte Moderna – GAM (Verona)

A Bologna, ad esempio, hanno dato vita a una Fondazione di Musei Civici dove il principale player è la banca della città (Fondazione Carisbo, emanazione della Cassa Risparmio Bologna). A Verona si sarebbe potuto intraprendere un percorso simile con la Fondazione Cariverona, che però, negli ultimi anni, pare aver cambiato decisamente rotta rispetto al passato.

I finanziamenti di Fondazione Cariverona nel settore cultura, ad esempio, sono nettamente inferiori rispetto a quelli che venivano elargiti anche solo fino a qualche anno fa, quando al vertice dell’istituzione c’era Paolo Biasi. E non si sa bene se il cambio di rotta sia dovuto a una decisione del nuovo dominus Alessandro Mazzucco – che ha preferito non rilasciare dichiarazioni al nostro giornale – o se è una necessità imposta dalle ristrettezze del momento, magari causate dall’eccessiva generosità del passato. In ogni caso è evidente a tutti che l’apporto alla città da parte della Fondazione negli ultimi tempi sia stato quasi interamente incanalato nel settore sociale.

«L’idea di creare una Fondazione ad hoc è già portata avanti da altre città – spiega Michele Bertucco –. Prima di andare in quella direzione, però, bisognerebbe capire come trovare i finanziamenti. Per Verona la strada più facile potrebbe quella di stanziare in Bilancio delle risorse per il settore cultura. Fino a ora quella del Comune con Fondazione Cariverona è apparsa un’interlocuzione passiva. Palazzo Barbieri ha ricevuto la proposta del Piano Folin, ma sulla questione non ha avuto più di tanto voce in capitolo».

«Qualcuno dimentica che le Fondazioni bancarie sono di fatto un’emanazione degli enti pubblici continua Bertucco –, che a loro volta dovrebbero far valere di più il loro ruolo. E il tema del Piano Folin sta sfuggendo totalmente al dibattito cittadino. Avrà un impatto pesantissimo e riporterà sì nel Comune di Verona la gestione di alcune strutture museali, ma ancora non è chiaro cosa se ne farà. Su Castel San Pietro, ad esempio, si parla da tempo di creare il “Museo della Città”, ma in definitiva cosa ci mettiamo poi dentro? Va interamente costruito e vanno trovate le risorse per gestirlo. Chi le mette?».

Palazzo Pompei (foto Giorgio Montolli)

Palazzo Pompei (foto Giorgio Montolli)

Nell’ipotesi tosiana era previsto che sul colle che domina la città venisse trasferito il Museo di Storia Naturale, con la contemporanea vendita di Palazzo Pompei, l’attuale prestigiosa sede ma ormai inadatta e fatiscente. Era stato valutato 21 milioni, ma le offerte non arrivarono a 6 milioni e allora si fece marcia indietro.

«Per realizzare il grande disegno di rinnovamento culturale complessivo delineato è indubbiamente essenziale che i musei abbiano personale adeguato e ricevano i finanziamenti necessari, non soltanto pubblici – spiega la direttrice dei Musei Civici di Verona Francesca Rossi –. A questo proposito credo fortemente che vadano favorite le occasioni di collaborazione con realtà private, per esempio attraverso i partenariati,  ma che sia necessaria innanzitutto la vicinanza e il sostegno costante di tutti i cittadini che hanno a cuore la città che abitano e il patrimonio culturale straordinario che la rende unica».

Un esempio di ingresso di privati nel settore culturale a Verona, in questo senso, arriva dal Museo Carlon a Palazzo Maffei, di prossima apertura, che potrebbe presto essere inserito nel circuito di musei cittadini. O anche la nascita della nuova Fondazione Biblioteca Capitolare ad opera della famiglia Bauli, che si impegnerà nel valorizzare un tesoro rimasto a lungo nascosto sugli scaffali e negli archivi dell’antica biblioteca, che è la più longeva del mondo, con i suoi 1600 anni di storia alle spalle.

Museo Archeologico (foto Giorgio Montolli)

Museo Archeologico (foto Giorgio Montolli)

«Il dibattito sulla valorizzazione del patrimonio ovviamente non riguarda solo Verona – commenta l’assessore Francesca Briani – ma anche molti enti locali, lo Stato ed è presente anche a livello europeo in ambito Unesco. Le istituzioni sono chiamate a trovare nuovi modelli di gestione in grado di superare da un lato un modello conservativo che  tendeva a proteggere i beni culturali da logiche economiche e dall’altro, quasi per reazione, un modello che faceva leva proprio sull’aspetto economico-turistico che poteva compromettere la trasmissione dei valori insiti nel significato stesso di patrimonio culturale: valori di memoria, identità, condivisione, sostenibilità e ovviamente creatività.

Per questo stiamo delineando un nuovo assetto del sistema museale, organico e lungimirante, anche in vista dell’auspicabile transito in una Fondazione museale. Per raggiungere l’obiettivo sono però necessarie politiche di medio e lungo termine che devono superare la dimensione del mandato di una singola amministrazione».

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Ma qual è la situazione nelle altre città d’arte italiane? Ne abbiamo parlato con Gabriella Belli, Direttrice dei Musei Civici di Venezia e direttrice del MART di Rovereto dalla sua fondazione, nel 1989, fino al 2011. È, fra l’altro, fra i curatori del neonato Museo Carlon. «L’esperienza di Venezia rappresenta un unicum in Italia e, forse, in Europa. Noi abbiamo un’autonomia di bilancio al 100%» ci ha raccontato. Ciò significa che la Fondazione lagunare (che conta ben dodici siti a Venezia, più altri in terraferma) gestisce in self-supporting tutte le attività, le risorse umane, le ricerche scientifiche e tutto ciò che ruota attorno ai nostri musei.

Gabriella Belli.

Gabriella Belli.

«La cultura è il nostro core business ma gli strumenti a nostra disposizione devono essere quelli tipici dell’impresa – precisa la Belli – , perché la tipologia di gestione è manageriale e dobbiamo far girare l’economia per sostenere i costi di questa cosiddetta “impresa culturale” senza gravare sulle casse comunali. Certo, noi a Venezia possiamo contare su un sito come Palazzo Ducale, che da solo porta risorse enormi alle nostre casse, ma anche Verona avrebbe un sito analogo, per proporzioni turistiche, come la Casa di Giulietta. Quando si mettono a sistema tutti i musei di una città si creano tante economie di scala nella gestione e nel turn over del personale.

A Venezia abbiamo appaltato ad agenzie esterne i servizi di guardiania, ma quando c’è un’emergenza in un museo possiamo far fronte con del personale in eccedenza altrove e viceversa. Abbiamo un’unica amministrazione, un unico ufficio sicurezza, un unico ufficio comunicazione».

Nella vicina Brescia, invece, Fondazione Brescia Musei è nata una decina di anni fa, spinta dall’idea che la “macchina comunale” non è più in grado a gestire da sola il patrimonio artistico, sia dal punto di vista finanziario sia dal punto di vista burocratico.

Se da una parte i costi di questa gestione stanno diventando sempre più esorbitanti per le casse comunali, dall’altra i passaggi normativi e procedurali necessari per avviare qualsiasi tipo di iniziativa, dalla più semplice e banale alla più complessa, deve necessariamente passare per l’amministrazione comunale, che risponde a dei bilanci vincolati da una serie di normative, anche per l’accesso ai finanziamenti di altri enti (Stato, Regione, privati), così come è complesso il rapporto con gli sponsor.

La Fondazione bresciana è stata, perciò, pensata per rendere più agile da un lato la gestione dell’attività ordinaria e delle risorse umane e, dall’altro, il rapporto con il mondo esterno, in termini di iniziative, eventi, relazioni con il pubblico.

La struttura prevede un Consiglio di Amministrazione a due o tre teste, un CdA simile a quello di un’azienda, con la presenza di più soci, anche se quello di maggioranza rimane comunque sempre il Comune di Brescia. Poi c’è un Comitato Scientifico, garante dei contenuti, delle iniziative espositive e della progettualità delle attività della Fondazione nell’arco di un quinquennio. Infine vi è la Direzione, costituita da un apparato autonomo rispetto al Comune, con la figura del Direttore individuata per concorso.

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La persona riceve un contratto a scadenza triennale e quinquennale, rinnovabile almeno una volta in base anche ai risultati ottenuti. Si tratta di una figura che assomiglia alla vecchia direzione generale, ma è sottoposta a un vincolo molto stretto di budget, che deve proporre al CdA e che deve saper portare a casa come risultato. All’interno della Direzione vi sono i vari Responsabili del patrimonio e poi via via gli uffici nelle loro articolazioni, tutti completamente autonomi dalla macchina comunale con cui, comunque, devono interagire.

Valerio Terraroli.

Valerio Terraroli.

«Visto così tutto sembrerebbe meraviglioso» commenta il Professor Valerio Terraroli, docente di Critica dell’Arte all’Università degli Studi di Verona e membro del Comitato Scientifico della Fondazione Brescia Musei. «Una bellissima macchina costruita su un efficiente modello aziendalistico che, però, si inceppa nel momento stesso in cui non risulta attrattiva per soci esterni. E le Fondazioni dovrebbero sempre essere in grado di attrarre soci privati, che, però, investono in una struttura come questa se hanno una ricaduta positiva sulle proprie attività e non necessariamente in termini monetari, ma almeno di immagine. Se questo non avviene il processo, ovviamente, si complica».

«Soci privati o altri enti fanno fatica a entrare nel Consiglio – spiega Terraroli –, perché per loro vi è una percentuale di seggi minore a disposizione e questo non aggiunge appeal. Inoltre – ma questo vale per tutta l’Italia – un privato che investe in una fondazione può scaricare le tasse solo dopo alcuni anni, mentre negli Stati Uniti, ad esempio, ciò è immediato.

Penso che le Fondazioni sarebbero tutte molto più attrattive se i privati potessero scaricare una buona percentuale (magari superiore al 50%) della cifra investita subito e non a distanza di molto tempo.

È vero, comunque, che una struttura più dinamica e veloce come quella creata a Brescia accederà sempre più facilmente a progetti e finanziamenti europei, statali, regionali, etc. Inoltre da un paio di anni a Brescia è stato messo in campo anche l’Art Bonus, un credito d’imposta per le erogazioni liberali in denaro a sostegno della cultura e dello spettacolo quale sostegno del mecenatismo a favore del patrimonio culturale- proprio per riuscire ad attrarre capitali privati».

Ernesto Kieffer

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1 Comment

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  1. Massimo De Battisti

    29/01/2020 at 22:31

    Prima di cercare un modello andrebbe ripassata la storia culturale di questa città. Perfino durante il Fascismo i grandi interventi che cambiarono il volto di Verona furono accompagnati da dibattiti accesi tra le diverse forze in campo, autorità pubbliche, intellettuali, industriali, giornalisti. Il piano Folin (ci vuole sempre un architetto ‘de sinistra’ per fare un intervento speculativo) sta entrando nella sua fase operativa senza che la città si muova, come se lo sventramento del cuore storico di Verona fosse un affare di Cariverona.
    Primo obiettivo dovrebbe essere quindi alzare il livello dello scontro e quindi ben venga anche questo articolo. Così da supplire con la quantità degli interventi alla mancanza di qualità dei personaggi attualmente sulla scena. Anche qui non vorrei fare l’elogio del buon tempo antico – che ‘buono’ non era affatto – ma il dibattito culturale del dopoguerra a Verona vedeva coinvolti personaggi del calibro di Magagnato e Cortenova (citati nell’articolo) ma anche di Zanotto (senior), di Gazzola, di Renzo Zorzi (quasi dimenticato), di Libero Cecchini e altri grandi.
    Tra questi va ricordato Antonio Avena non tanto per i meriti artistici quanto per lo straordinario fiuto commerciale e marketing che fece sbocciare da un semitugurio la Casa di Giulietta. Oggi, in mancanza di qualsiasi sia pur lontano epigono dei suddetti giganti, andrebbe allargato il dibattito alle forze più vivaci e meno compromesse col potere di questa città ed elaborata una strategia marketing/commerciale – appunto – che unifichi l’offerta e crei nuovi simboli, magari più moderni della sempiterna Stella in Bra. Nell’articolo mancano punti (di domanda) importanti, come il Museo Archeologico Statale voluto dalla Cavalieri Manasse che custodisce tesori e doveva aprire, forse aprirà, ma quando? Oppure il mistero – uno dei tanti – della Torre Abbaziale a San Zeno che accoglie uno dei più straordinari affreschi ‘civili’ del Trecento ed è sconosciuta ai più. Per non parlare della fine di Palazzo Forti, uno degli esempi più ‘simbolici’ di arroganza ed incapacità sui temi culturali, promossa dal duo Tosi-Biasi e proseguita dagli attuali inquilini di Palazzo Barbieri e di Fondazione Cariverona.
    Complimenti per l’iniziativa e ben venga il dibattito!

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