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Vangelo

Il vero dramma non è sbagliare ma rassegnarsi e non vivere

Siamo tutti epifania di Dio. I Magi rappresentano ognuno di noi. Il loro cammino infatti, come il nostro, è pieno di errori. Camminare vuol dire fatica, vuol dire rischiare, vuol dire sbagliare

L'adorazione dei magi, tempera e oro su tavola, Gentile da Fabriano, 1423 (Galleria degli Uffizi, Firenze)
L'adorazione dei magi, tempera e oro su tavola, Gentile da Fabriano, 1423 (Galleria degli Uffizi, Firenze)

Dal Vangelo di Matteo

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capo dei sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle principali città di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese. Matteo 2,1-12.

La festa dell’Epifania ci regala una atmosfera da fiaba e ci fa ritornare bambini. Ma dobbiamo stare attenti a non ridurre tutto a un facile sentimentalismo. Il racconto dei Magi non è una cronaca di ciò che è avvenuto, ma un racconto poetico con un profondo messaggio teologico: la manifestazione (dal greco epi-faino) del mistero del “Dio fatto carne” al mondo intero.

I Magi, che vengono dall’oriente, rappresentano tutte le donne e tutti gli uomini, credenti e diversamente credenti, che interpretano la vita come un cammino, un viaggio, una ricerca. I Magi sono i tanti Ulisse e i tanti Abramo della storia e della vita di oggi che ci regalano quello di cui oggi abbiamo maggiormente bisogno. Ci invitano a sognare, ci donano un po’ di speranza, ci aprono al futuro, all’utopia.

I Magi ci insegnano a tenere i piedi per terra, a rimanere legati alla vita. Ma ci insegnano anche a tenere sempre gli occhi fissi al cielo, illuminati da una stella, da un ideale, da alcuni valori. C’è per ognuno di noi una stella. Ognuno di noi è unico. Nessun altro può fare quello che posso fare io. Siamo miliardi, ma ognuno ha in mano una stella, un raggio di luce, un pezzetto di felicità che solo lui può regalare al mondo.

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Siamo tutti epifania di Dio. I Magi rappresentano ognuno di noi. Il loro cammino infatti, come il nostro, è pieno di errori. Camminare vuol dire fare fatica, vuol dire rischiare, vuol dire anche sbagliare strada. I Magi giungono nella città sbagliata. Perdono l’orientamento della stella. Vanno a parlare del bambino ad Erode, l’uccisore di bambini.

Tuttavia il loro cammino è anche pieno di saggezza e di pazienza. Ci insegnano che il dramma non è sbagliare. Il vero dramma è il rassegnarsi, è il perdere l’entusiasmo di vivere. Invece bisogna sempre avere il coraggio di ricominciare, ripartire. E cosa fanno i Magi quando arrivano alla capanna? «E prostratisi lo adorarono». Ma chi adorano? Cercavano un Dio onnipotente, un Dio-Re. Trovano invece un bambino.

I Magi ci insegnano a sapersi sempre inginocchiare di fronte ai piccoli. Perché è attraverso il volto di un bimbo, il volto dell’altro, il volto di chi soffre, che misteriosamente posso incontrare Dio. È quando riesci a scoprire il frammento di Dio che c’è dentro di te, che puoi cogliere il frammento di Dio che c’è nell’altro. Dio non è un idolo da adorare. Dio invece è una sorella e un fratello da amare.

Don Roberto Vinco
Lunedì 6 gennaio 2020

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Don Roberto Vinco, docente di filosofia allo Studio Teologico San Zeno e all'Istituto Superiore di Scienze Religiose San Pietro Martire di Verona, è collaboratore nella parrocchia di Novaglie. roberto.vinco@tin.it

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