INCHIESTA – «Gli imprenditori sono soli, hanno paura…». La preoccupazione del presidente di Apindustria Verona Renato Della Bella è palpabile, vera.
L’associazione tutela e sostiene oltre 800 associati veronesi, tutte piccole e medie imprese di circa 15 addetti con fatturati tra 7,5 e 10 milioni di euro in tutti i settori, con prevalenza metalmeccanica e marmo, dislocate soprattutto in Valpantena e Valpolicella (circa il 70%).
Seguono poi il distretto del legno, il tessile, l’edilizia, i servizi all’impresa, il chimico e l’alimentare. «Quanto sta emergendo a livello di interdittive antimafia e indagini è solo la punta di un iceberg. È evidente che ci sono professionisti del nostro territorio che lavorano per conto dei malavitosi. Eppure non siamo preparati a parlare di mafia qui… pensiamo riguardi solo il meridione. Se non c’è una reazione chiara, sarà sempre peggio».
«Se non c’è una reazione chiara sarà sempre peggio»

Renato Della Bella
Il presidente Della Bella chiede un tavolo tecnico insieme all’associazione antimafia Avviso Pubblico per costruire strumenti che diano la possibilità agli imprenditori di denunciare situazioni “poco chiare” avendo certezza dell’anonimato e di una soluzione rapida.
Sullo sfondo delle dichiarazioni che Della Bella rilascia, ci sono piccole aziende in crisi, imprenditori stretti nella morsa dell’usura e dell’estorsione ma anche aziende sane che si vedono proporre da concorrenti o clienti subappalti di manodopera, gestione degli scarti di lavorazione oppure il trasporto di materia prima a prezzi molto più bassi del mercato.
«Se te lo offrono a 60 ma tu sai che il costo è 100, è ovvio che c’è qualcosa che non va. In quel caso l’imprenditore ha tre possibilità: può far finta di niente oppure andare a acquistare il servizio turandosi il naso e diventando così corresponsabile; oppure può andare a denunciare una situazione anomala. Chiunque di noi – continua Della Bella – ha la percezione di essere entrato in contatto con una realtà poco chiara ma non sa che cosa deve fare».
«Non sappiamo cosa fare»
Dimenticate coppola e lupara. La mafia veste oggi gli abiti distinti di chi fa business in giacca e cravatta. La valigetta ventiquattrore è piena di soldi che arrivano da imprese lecite e illecite: ristorazione, smaltimento di rifiuti, alberghi, costruzioni, gioco d’azzardo, sport, fornitura di manodopera ma anche usura e narcotraffico.
E che spesso sono il presupposto di un metodo – mafioso, appunto – che mira al controllo del territorio anche attraverso la politica e l’influenza dei risultati elettorali a livello comunale. In mezzo, tra legale e illegale, tra bianco e nero, si muoverebbero commercialisti, avvocati, notai e funzionari di banca conniventi ma anche una società civile che non vede o fa finta di non vedere: è la zona grigia di cui Primo Levi parla nel suo libro I Sommersi e i Salvati, in cui alcuni internati nei lager diventavano collaboratori dei persecutori in cambio di migliori condizioni di vita.

Donato Cafagna
I numeri dell’Unità Finanziaria della Banca d’Italia parlano chiaro e piazzano Verona al primo posto della classifica veneta per numero di operazioni finanziarie sospette nel 2018: 1747 operazioni sospette su 8254 in Veneto e 98.030 in Italia. Era già successo nel 2016 e di nuovo la maggior parte delle segnalazioni arriva da banche e Poste mentre diminuiscono le segnalazioni delle fiduciarie e dei professionisti (a eccezione dei notai).
Ma non è l’unico record veronese: Verona è anche prima provincia per sequestri di stupefacenti in Italia con 147 operazioni antidroga per un totale di 22,22 quintali sequestrati (dati 2017) e una delle più prolifiche di interdittive antimafia (ben 21 negli anni 2018 e 2019, comprendendo anche la più recente emessa il 19 dicembre dal prefetto Donato Cafagna, che va a colpire figure vicine al clan dei casalesi).
Perché la mafia a Verona?
Una risposta l’ha data il mafioso Mario Crisci già nel 2012 durante il processo a suo carico e viene riportata dalla relazione conclusiva della Commissione parlamentare antimafia allora presieduta da Rosy Bindi (febbraio 2018) prima dell’avvento del nuovo presidente Nicola Morra: «Beh, siam venuti qui perché qui sono disonesti. Più disonesti di noi. […] Io sono un esperto di elusione fiscale. Qui lavoro bene. Il margine di guadagno era buono, perché qui la gente non ha voglia di pagare le tasse, peggio che da noi».
Il casalese arrestato insieme ad altre 26 persone dalla Direzione antimafia di Padova nell’ambito dell’operazione Aspide per associazione di stampo mafioso, usura, estorsione, esercizio abusivo dell’attività di intermediazione finanziaria, minacce, lesioni e sequestro di persona aveva le idee chiare ben prima che Verona venisse investita dal caso dell’ex vicesindaco tosiano Vito Giacino nel 2014. Anni bui per la società e la politica veronese, che finisce sulle cronache nazionali e in Parlamento per corruzione e per i contatti tra amministratori pubblici e membri delle cosche ‘ndranghetiste.
In realtà, fin dai primi anni Novanta le mafie investono nel Veneto e a Verona, che diventano anche nascondigli perfetti per latitanti. Poi Verona entra sistematicamente nei tribunali a partire dal 2011, soprattutto per reati di usura ai danni di commercianti e imprenditori in difficoltà, riciclaggio di denaro sporco e traffico di sostanze stupefacenti commessi da camorristi e ‘ndranghetisti residenti a Peschiera del Garda, Castelnuovo del Garda, Mozzecane, Zimella.
Un atteggiamento ai limiti del negazionismo
Nel 2015 arriva la svolta con l’operazione Aemilia: 117 arresti e la prova che il clan Grande Aracri è arrivato a tramare anche con imprese, faccendieri e politici veronesi. Quel 2015 sarà l’anno in cui la stessa Commissione Parlamentare Antimafia non risparmierà la sua scure anche sull’attività degli organi preposti al controllo del territorio scaligero, facendo sapere che “nel corso delle audizioni è emerso un atteggiamento di sottovalutazione, ai limiti del negazionismo, dei meccanismi di infiltrazione mafiosa nel tessuto imprenditoriale locale”.

Salvatore Mulas
È proprio in quell’anno che a capo della Prefettura scaligera arriva Salvatore Mulas autore, nei 3 anni successivi, di 17 interdittive antimafia: un altro record per la città. Quei provvedimenti amministrativi a misura preventiva colpiscono l’azione delle imprese in odor di mafia impedendo loro di avere rapporti con la Pubblica Amministrazione.
Una rivoluzione per Verona, che nel 2018 si ritrova a fare i conti con una realtà certificata nero su bianco anche dalla relazione finale della Prefettura: “le Forze di Polizia territoriali e la DIA (Direzione Investigativa Antimafia, nda) confermano la presenza di infiltrazioni mafiose in questa realtà territoriale ad opera in prevalenza, ma non esclusivamente, della ‘ndrangheta calabrese”.
L’area grigia costituita da professionisti
Ad un anno di distanza, il nuovo prefetto Donato Cafagna – subentrato a Mulas nel marzo 2019 – non perde occasione di rilasciare dichiarazioni su uno degli ambiti d’azione più complessi della presenza mafiosa sul territorio: la contiguità di economia legale e criminalità organizzata, quella zona grigia che la Commissione Parlamentare Antimafia nel 2018 faceva risalire ai tempi di Felice Maniero, in cui, nella società veneta, la negazione dell’esistenza di un gruppo mafioso autoctono avrebbe prodotto “una rimozione culturale per evitare di indagare a fondo sulle responsabilità dell’area grigia, costituita da professionisti, avvocati, rappresentanti delle istituzioni, operatori di banca”.
In questo modo, secondo la Commissione, anche l’atteggiamento di parte della stessa società civile ha consentito alla mala del Brenta (da molti denominata solo “mala del piovese” o “banda Maniero”) di commettere reati e di accumulare ingenti ricchezze ancora nascoste.
In occasione del Vinitaly 2019, il Prefetto Cafagna ricorda l’importanza di fare squadra con le associazioni di categoria, le organizzazioni economiche e gli imprenditori stessi, e aggiunge: “è l’impresa stessa che deve essere refrattaria a questi tentativi di infiltrazione”.
Lo ripeterà poi durante gli incontri del Comitato per l’Ordine e la Sicurezza di ottobre e novembre 2019 a Cologna Veneta e San Bonifacio, dove associazioni di categoria ed enti locali sono stati richiamati alla responsabilità del loro ruolo.

Bruno Cherchi
La mafia fa impresa
Sono però in molti a non credere all’innocenza degli imprenditori, a partire dal procuratore capo di Venezia Bruno Cherchi, che Della Bella contesta: «Il procuratore Cherchi ci ha tirato le orecchie dicendo che gli imprenditori sanno quando delinquono ma voglio dire che non è sempre vero.
Anche il prefetto di Mantova si è lamentato degli imprenditori mantovani che non hanno denunciato movimenti anomali intorno a un capannone che era rimasto inattivo per anni e poi improvvisamente ha preso fuoco. Ma come è possibile chiedere agli imprenditori di fare da occhi e orecchie sul territorio se non c’è consapevolezza sulla possibilità che le cosche lo usino per i rifiuti, cioè se non c’è formazione!».
In realtà, la tirata d’orecchi del procuratore di Venezia, intervenuto all’Università di Padova a ottobre 2019, si riferiva soprattutto alle fatturazioni false, mondo in cui lecito e illecito si incontrano in territori ricchi come quello veronese, spesso grazie all’aiuto di professionisti del settore tributario e contabile che si mettono al servizio di prestiti usurai, riciclaggio di denaro, fondi neri e evasione fiscale.

In primo piano Nicola Morra, Donato Giovanni Cafagna
Sproporzione tra redditi dichiarati e beni
E proprio agli ordini professionali e alla loro coscienza si è rivolto il nuovo Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Nicola Morra che, in occasione della sua visita a Verona lo scorso luglio 2019, descrive un radicamento “consolidato” delle mafie nella provincia scaligera e in particolare sul lago di Garda.
Ai professionisti contabili e commercialisti, Morra chiede più attenzione quando si osserva una sproporzione tra redditi dichiarati e beni in uso, in linea con la Commissione 2018 che relazionava sulla partecipazione di diversi professionisti alla costituzione di società “perseguendo gli interessi di persone legate alle associazioni mafiose”.
Il presidente dell’Ordine dei Commercialisti di Verona Alberto Mion nega che il problema investa i commercialisti veronesi: «Noi facciamo tutto quello che possiamo, non ricordo una segnalazione a cui non sia stato dato seguito tramite la Guardia di Finanza o la Procura e comunque le posso contare sulle dita di una mano. Spesso si tratta di consulenti non iscritti all’albo: la consulenza finanziaria non è riservata solo ai dottori commercialisti…».
I commercialisti sono soggetti alla normativa antiriciclaggio, che li obbliga a segnalare situazioni anomale. L’Ordine, poi, vigila e attraverso il consiglio di disciplina può procedere con la sospensione del professionista: «Leggo dai giornali che ci sono stati connivenze esplicite di commercialisti e avvocati ma non mi pare che sia accaduto a Verona», continua Mion.

Alberto Mion
In effetti, una delle più recenti operazioni interforze che ha portato all’arresto di 34 persone, tra cui commercialisti ed ex funzionari di banca, si è svolta in Lombardia, a Como. Eppure, in quel giro milionario di fatture false, turbative d’asta e bancarotta fraudolenta, ritorna un nome molto conosciuto a Verona, quello dei Piromalli.
Giuseppe Piromalli, detto Facciazza, arriva a Bardolino alla fine degli anni Settanta ed eredita dal fratello Girolamo il clan che nel decennio successivo contribuirà a trasformare Verona nella Bangkok d’Italia per il volume di spaccio di stupefacenti.
Le interdittive antimafia della Prefettura
A Verona il cerchio intorno ai Piromalli ha cominciato a stringersi già con tre interdittive a firma del prefetto Mulas: la prima nel 2015 nei confronti di Francesco Piserà (titolare di un’azienda con sede a Bardolino e di varie alberghi, bar e ristoranti sul lago di Garda ed ex gestore degli impianti di risalita di San Giorgio e dell’hotel Malga San Giorgio); la seconda nel 2016 nei confronti di Gabriele Piserà (figlio di Francesco); la terza nel 2017 riguarda Niculae Andreea Georgiana (ritenuta un’altra prestanome di Piserà padre).

Ivan De Beni
A maggio 2019 col prefetto Cafagna arriverà la quarta interdittiva che li riguarda, questa volta nei confronti dell’altoatesino Dino Grandi, residente a Castagnaro, fiduciario di Francesco Piserà. I Piserà sono considerati contigui ai Mancuso (protagonisti della recente operazione Rinascita-Scott, con 334 arresti e 416 indagati) ma anche ai La Rosa e appunto ai potenti Piromalli-Molé; il sospetto è che chi per decenni ha controllato il porto di Gioia Tauro e il traffico di stupefacenti ricicli denaro anche in attività lecite come bar, ristoranti e alberghi sul lago di Garda e in Lessinia.
Il presidente di Federalberghi Garda-Veneto Ivan De Beni ed ex sindaco di Bardolino non ha mai avuto la sensazione che ci potessero essere infiltrazioni criminali: «È fuori dubbio che dove c’è un’economia florida, c’è anche un lato oscuro. È vero però che noi imprenditori siamo soli e non escludo la possibilità che possano avvenire offerte di credito usuraio. Se accadesse a un collega, come sindacato dobbiamo aiutare e denunciare».

Pierpaolo Romani
«La madre della mafia è l’evasione fiscale»
Anche il presidente di Apindustria Della Bella non ha evidenze, ma qualche associato gli ha raccontato informalmente di essere stato contattato da commercialisti per “operazioni finanziarie che ‘non tornano’, giri di denaro di cui non si conosce la fonte, operazioni con società con sede estera”.
Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale del consorzio antimafia di enti pubblici Avviso Pubblico, è convinto di una certa predisposizione all’illecito che caratterizza il territorio veneto e veronese: «La madre della mafia è l’evasione fiscale, sintomo che non ti senti parte dello stato. Mafioso e evasore agiscono entrambi in un sistema di regole “altro” dove alcuni liberi professionisti assumono il ruolo di cerniera, come dimostrato dall’indagine Aspide.
A Modena già nel 2011 gli ordini e i collegi professionali hanno adottato la Carta etica delle professioni contro le mafie e la corruzione». Ci sarebbero insomma commercialisti e avvocati che accompagnano i propri clienti, bisognosi oppure ingordi, nella bocca del leone dei mafiosi, «così come notai che rogitano strani passaggi di quote certificando che la mafia ti sta rubando l’azienda» conclude Romani.

Vincenzo D’Arienzo
Non la pensa diversamente il senatore Vincenzo D’Arienzo, ex consigliere provinciale e comunale e ora deputato del Partito Democratico, che giudica il radicamento delle mafie possibile anche grazie ad una scarsa repulsione da parte del territorio e dei professionisti: «Le indagini Aemilia fanno riferimento a imprenditoria preparata e consapevole, non c’è gente che delinque a sua insaputa».
D’Arienzo teme che la presenza limacciosa e inquinante delle mafie nel tessuto d’impresa possa andare a riguardare anche i quattro percorsi del progetto TAV: «È chiaro che su 10 miliardi di investimenti, qualcuno che conosce bene il territorio si vorrà insinuare».

Francesca Businarolo
«Non c’è comunicazione tra le prefetture»
Stesso timore anche per Francesca Businarolo, deputata Movimento 5 Stelle e presidente della Commissione Giustizia alla Camera dei deputati, autrice già nel 2013 di un’interrogazione parlamentare a tal proposito: «Sul tratto TAV Verona-Vicenza, chi aveva fatto la Valutazione di Incidenza ambientale aveva ricevuto l’interdittiva antimafia dal Prefetto di Napoli. Com’è possibile che chi è oggetto di un’interdittiva a Napoli poi riesca a lavorare a Verona? Non c’è comunicazione tra prefetture di diversi territori e questo è un vulnus da sanare».
Businarolo fa poi un appello a Federalberghi, invitando l’associazione a prestare attenzione a chi compra alberghi e ristoranti: «Se è vero che continuano le interdittive sul Garda, da qualche parte il reato c’è e, si sa, il Garda è appetibile».
La mafia nel veronese è evidentemente anche un problema di consenso sociale, come dimostra l’arresto di Domenico Multari detto Gheddafi, che nei suoi 40 anni a Zimella era riuscito a diventare referente in paese per le famiglie che avevano bisogno di prestiti, recupero crediti o semplici favori. Come racconta bene il giornalista Gianni Belloni, per il recupero del denaro accumulato dalla cosca Dragone, Multari era riuscito a creare una rete di imprenditori e professionisti che lo supportavano.

Edi Maria Neri
«Non credo che esistano imprenditori e industriali che non sanno quello fanno. Il caso Zimella dimostra che c’è un problema di percezione culturale tra i cittadini: c’è chi non si rende conto che è necessario andare dal giudice o dall’avvocato. Su alcuni gioca anche il fattore scolastico, di formazione. In questo substrato si insinuano le organizzazioni criminali sempre più raffinate», ci dice l’assessore Anticorruzione del Comune di Verona Edi Maria Neri. Non si parlerebbe solo di infiltrazioni criminali ma di vera e propria compresenza secondo Neri, recentemente nominata vicepresidente dell’Associazione Avviso Pubblico e che in questo ruolo sta lavorando per ampliare la rete di Comuni veronesi associati.
Proprio l’Associazione Avviso Pubblico con Apindustria sta lavorando alla realizzazione di un tavolo tecnico presso la Camera di Commercio per poter offrire degli strumenti agli imprenditori in difficoltà di fronte a una mafia che intercetta bisogni e offre servizi. Sì, anche a Verona, dove – come ci dice Pierpaolo Romani – «c’è un pezzo di società che sa chi sono i mafiosi e gli va bene così».
Annalisa Mancini
Interviste a Don Luigi Ciotti e Pierpaolo Romani sul tema mafia all’Università di Verona.

Annalisa Mancini è nata il 25 dicembre 1979, frequenta l’istituto tecnico per corrispondenti in lingue estere. Dal lago di Garda, dove vive fino al 1998, si trasferisce prima a Trieste per gli studi in Scienze Politiche e poi a Berlino. Completa il suo sguardo sul mondo viaggiando, leggendo e scrivendo, è interessata soprattutto al giornalismo d’inchiesta, alla politica nazionale e internazionale e alle questioni ambientali. Tornata a Verona, fonda una sezione di Legambiente e lavora anche come editor e correttrice di bozze. Ha collaborato con Il Piccolo di Trieste, ilveronese.it, ilgardesano.it, Il Corriere del Garda, Radio Garda FM, RuotaLibera di FIAB, corriereditalia.de. mancini.press@gmail.com

Redazione2
27/12/2019 at 12:18
Intervengo a seguito delle dichiarazioni della Senatrice Businarolo sulle aziende infettate dalla criminalità organizzata.
Ho apprezzato l’invito a superare la diffusa omertà che spesso cela un sofisticato sistema di riciclaggio del denaro proveniente da attività illecite. Omertà che si traduce nel silenzio, ovvero nella mancata segnalazione o, peggio, nella collaborazione attiva con tale sistema.
Condivido che il nostro Paese, la nostra Regione, la Provincia di Verona abbiano bisogno di un tessuto economico-produttivo sano che non si lasci sopraffare dalla malavita, con l’effetto, nei casi più gravi, di distruggere le aziende.
Con riferimento all’affermazione che: “i commercialisti sono sempre più cerniera tra il mondo delle imprese e quello criminale”, pur contestando l’inaccettabile generalizzazione, condanno con forza tali comportamenti e ricordo come la prevenzione di essi sia, da sempre e in particolare negli ultimi anni, uno degli obiettivi del nostro Ordine, a livello locale e nazionale. Il danno di immagine che la categoria professionale che rappresento subisce a causa del comportamento di pochi, è tale da indurci a profondere il massimo impegno per vigilare su un fenomeno che ci danneggia come professionisti e come cittadini.
Come Consiglio dell’Ordine proseguiremo pertanto nell’attività di sensibilizzazione dei nostri iscritti al fine di un corretto rapporto con i clienti, nel monitoraggio delle singole situazioni e soprattutto nella formazione e nella sensibilizzazione dei colleghi dai rischi di infiltrazione. Consapevoli del nostro ruolo di garanti della cultura della legalità e di sentinelle della correttezza professionale dei nostri iscritti, l’Ordine dei Commercialisti che rappresento intende tutelare i cittadini, i clienti dei professionisti, il nostro territorio e la nostra categoria professionale nel contrasto alla criminalità organizzata.
Alberto Mion
Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Verona
Redazione2
28/12/2019 at 10:47
Un inciso contenuto nel comunicato stampa dell’on. Francesca Businarolo, pubblicato integralmente nei commenti all’inchiesta, senza modifiche da parte della redazione di Verona In, non rispecchia totalmente il pensiero della deputata 5Stelle. Come da noi verificato, si tratta di un errore di interpretazione-battitura da parte di chi ha steso lo scritto poi inviato ai giornali. La frase iniziale, ora corretta, era: Personalmente ritengo prioritaria la revisione dei codici deontologici, in particolare per i professionisti, come i commercialisti, che sono sempre più cerniera tra il mondo delle imprese e quello criminale. Nella frase corretta è stato tolto il riferimento ai commercialisti. g.m.
Redazione2
28/12/2019 at 12:49
Ai professionisti lancio una richiesta d’aiuto.
Ringrazio molto per l’attenzione il presidente dell’ordine dei commercialisti di Verona, Alberto Mion; tuttavia devo precisare che, nelle mie parole, non c’era alcuna intenzione di generalizzare. Sappiamo che la situazione è molto preoccupante e dobbiamo lavorare comunemente per stringere per meglio chiudere definitivamente qualsiasi maglia entro la quale si possa infiltrare la criminalità organizzata: proprio in quest’ottica, serve l’aiuto di ogni professionista, tra cui, in particolare, i commercialisti, visto il loro compito delicatissimo. Negli ultimi anni, l’ordine professionale si è dato delle regole stringenti ma, a mio avviso, come per quello di molti esperti di diritto penale, si può fare ancora di più. Per questo motivo, il mio invito, rivolto a quella stragrande maggioranza di professionisti coscienziosi, è quello di trovare assieme una strada per combattere tutte le mafie sul terreno più sensibile: quello dei soldi.
Francesca Businarolo
Deputata M5S e presidente della Commissione Giustizia di Montecitorio
Giuseppe Braga
21/12/2019 at 21:09
La mafia opera dove ci sono i soldi. Ed a Verona, nel Veneto e nel nord est di soldi ce ne sono tanti. Come tante sono le occasioni per riciclare ingenti importi con operazioni apparentemente lecite, ma che nascondono o supportano affari non altrettanto legittimi. La mafia ed il malaffare esistono a Verona ancor prima degli anni ’70, con la presenza sul territorio di soggetti inviati al soggiorno obbligato, oppure sottoposti a regime di protezione. Da lì si può far risalire l’origine di attività illecite. Ciancimino figlio venne fermato a Verona mentre stava procurandosi danaro contante (come egli stesso confesso’), ma altri episodi e tragiche testimonianze confermano la presenza di solide basi che hanno prodotto, tra le altre cose, diversi lutti fra gli appartenenti alle forze dell’ordine locale. Oggi i metodi sono cambiati! Le attività illecite transitano attraverso operazioni coperte da supporti informatico, i cui programmi si rinnovano e vengono rimpiazzati ad ogni operazione. Tutto e’ sotto controllo e, spesso, riescono a controllare persino i controllori.
Redazione2
21/12/2019 at 18:54
Bisogna sedersi assieme attorno a un tavolo: associazioni, associazioni di categoria, imprenditori, commercianti, sindacato, amministratori, istituzioni, forze di Polizia, Prefetto, ecc. Se non si fa è perché la situazione è ancora ritenuta “non grave”, non fino al punto di impegnarsi per una gestione collegiale e permanente della crisi. Ma così perdiamo tempo prezioso… A fare da deterrente ci sono anche le zone grigie descritte nell’inchiesta, che evidentemente frenano una presa di posizione netta e rapida.
Redazione2
21/12/2019 at 15:51
Le paure che gli imprenditori veneti stanno manifestando in questi giorni sono fondate: ricordo che, secondo l’Osservatorio dell’Università di Padova, 386 aziende in Veneto sono in mano alla criminalità, oltre la metà sono a Venezia, 65 a Treviso, 57 a Padova, 13 a Verona. Dati devastanti. Le dimensione delle aziende coinvolte sono medio grandi, la mancanza di liquidità è il fattore decisivo per convincere gli imprenditori ad accettare le offerte dei gruppi criminali. Lo confermano anche alcuni magistrati: come afferma la dottoressa Licia Marino, presidente della Sezione del Riesame, sono ancora troppi pochi gli imprenditori che denunciano. Tuttavia, la stragrande maggioranza degli imprenditori onesti lavora nella paura. Si tratta di una situazione in cui è necessario intervenire. Personalmente ritengo prioritaria la revisione dei codici deontologici, in particolare per i professionisti che sono sempre più cerniera tra il mondo delle imprese e quello criminale. Sarebbe un segnale importante contro i boss e a sostegno degli imprenditori onesti che spesso si sentono soli di fronte alle difficoltà e alle prospettive future.
Francesca Businarolo
Deputata M5S e presidente della Commissione Giustizia di Montecitorio