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Cava Speziala, il progetto green che abbatte migliaia di alberi

Si chiama “Rinaturalizzazione e recupero funzionale di un sito oggetto di attività estrattiva”. Belle parole, ma cosa c’è da rinaturalizzare in un bosco?

Si chiama “Rinaturalizzazione e recupero funzionale di un sito oggetto di attività estrattiva”. Belle parole, ma cosa c’è da rinaturalizzare in un bosco?

Sembra impossibile che in un momento in cui l’umanità sta toccando con mano gli effetti dei cambiamenti climatici e sta prendendo coscienza della grande importanza che hanno gli alberi e la vegetazione nel contrastarli, nella realtà si stia andando nella direzione opposta. Dagli Stati Uniti al Brasile si nega che le attività umane siano almeno corresponsabili dell’effetto serra. In Europa generalmente le destre tendono a negare il cambiamento climatico definendolo “un complotto comunista” per limitare l’economia nazionale.

Anche a Verona sul tema assistiamo ad una schizofrenica sceneggiata. Da un lato l’Amministrazione ha istituito una commissione per dare finalmente alla città un Regolamento sulla tutela e l’incremento del verde pubblico e privato, mentre nel contempo iniziava ad abbattere centinaia di alberi per consentire l’esecuzione delle nuove linee del filobus: opera pubblica quanto mai necessaria e urgente ma attuata senza una valutazione dei costi e dei benefici ambientali.

Ora la società Area Srl, proprietaria della ex cava Speziala a San Massimo, dove da trent’anni si è insediato un bosco spontaneo con più di 30 mila alberi, ha presentato un nuovo progetto per il suo sfruttamento denominato eufemisticamente “Rinaturalizzazione e recupero funzionale di un sito oggetto di attività estrattiva” volto alla realizzazione di un’area destinata alla produzione di biomasse. Il progetto prevede l’eliminazione di tutta la vegetazione, il riporto di materiale inerte sulle scarpate, e la successiva piantagione di alberelli di vivaio da tagliare periodicamente per la produzione di biomasse ai fini energetici. Secondo quanto riportato dal giornale l’Arena del 21 agosto scorso l’assessore Ilaria Segala ha dichiarato che il progetto non può essere accolto perché “non conforme”, affrettandosi però a chiarire che ciò non deriva dalla volontà di conservare il bosco spontaneo, ma per problemi legati alla viabilità nel quartiere. In altre parole, sembra di capire, che se verranno risolti questi ultimi l’Amministrazione sarebbe ben disposta a consentire di trasformare il bosco in legna da ardere a raccolta ciclica.

E’ indubbio che, se il progetto verrà accolto, per anni il territorio di San Massimo dovrà sopportare ancora il passaggio di migliaia di autocarri per il trasporto del materiale di oscura provenienza per la modifica delle scarpate. Chi garantirà il controllo sulla qualità di centinaia di migliaia di mc di materiale di scarto? Permangono forti dubbi anche sulle finalità economiche volte a “produrre un reddito che dia economicità” che il progetto intende raggiungere. Una volta distrutto l’attuale bosco cosa potrà fermare una ulteriore speculazione edilizia del sito? Qual è il limite per lo sfruttamento di un territorio che ha già pagato per anni un pesante tributo per l’attività della cava in termini di inquinamento, polveri, rumori, traffico?

Ma entrando nel merito dell’opportunità di conservare l’attuale bosco spontaneo, secondo l’ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale) “ Poiché nel concetto di rinnovabilità di una fonte energetica è insita anche la sostenibilità ambientale, sarà necessario che le biomasse, con particolare riferimento a quelle di origine forestale, provengano da pratiche aventi impatto ambientale trascurabile o nullo (es. le operazioni di manutenzione boschiva)”. Da ciò deriva che il taglio a raso di un bosco adulto per sostituirlo con piante di vivaio da tagliare ciclicamente non è propriamente sostenibile. Inoltre il beneficio di assorbimento della CO2 durante lo sviluppo delle nuove piante non è immediato perché la vegetazione impiega parecchi anni per crescere e durante questo periodo avranno necessità continua di manutenzione, acqua, fertilizzanti, antiparassitari, etc. con impiego di risorse non indifferenti. Inoltre il nuovo bosco essendo sottoposto a tagli ciclici non avrà mai la copertura completa e quindi non riuscirà ad ottenere i benefici ecosistemici dell’attuale bosco stabile che si vuole eliminare.

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In questo progetto c’è la pretesa di saper fare meglio della natura che ha impiegato milioni di anni per affinare le migliori strategie di insediamento nei luoghi difficili. Infatti il progetto butta fumo negli occhi spendendo molte parole e calcoli per dimostrare quanti e quali benefici futuri si avranno nella piantumazione della nuova vegetazione, mentre non spende una parola per dire cosa perderà l’ambiente eliminando migliaia di alberi.

Ritengo che da questa visione limitata degli alberi derivi l’attuale concezione urbanistica di Verona che considera gli alberi e il verde solo accessori al servizio della viabilità, dell’edilizia, del profitto.

Alberto Ballestriero
VeronaPolis

Alberto Ballestriero. La campagna e il paesaggio sono una presenza costante nella sua vita. Ha lavorato come funzionario nella gestione di canali e opere agrarie presso uno dei più importanti Consorzi di Bonifica del Veneto. Dopo la qualifica nel settore del verde progetta parchi e giardini, alcuni dei quali pubblicati. È socio dell’AIAPP (Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio). Per diversi anni è stato responsabile del settore verde urbano della sezione veronese di Italia Nostra. Ha pubblicato il libro “Confini Connessioni Scenari – divagazioni di un giardiniere sul paesaggio”. È socio fondatore dell’Osservatorio territoriale VeronaPolis. ballestriero@gmail.com

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15/12/2023 fine delle pubblicazioni

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