Lasciare che sia solo il mercato a definire le destinazioni e il ruolo di Verona è un errore di cui anche i turisti prima o poi potrebbero accorgersi. Con danni per le categorie economiche più esposte.
L’inizio dell’abbandono degli abitanti dal centro storico di Verona è iniziato circa 70 anni fa. Negli anni ’50 e ’60, le famiglie della borghesia abbandonarono il vecchio e fatiscente centro per i nuovi e moderni palazzoni di Borgo Trento.
Negli anni ’70, l’esodo degli abitanti proseguì e le famiglie meno abbienti furono spostate nei nuovi quartieri, realizzati in piena campagna, con pochi servizi e strade insufficienti. In quel periodo, parecchi edifici nel centro storico subirono il cambio d’uso, da residenziale a direzionale e/o terziario. Va considerato che allora non esistevano limiti al traffico privato a motore e che il Tribunale, con i relativi studi legali, erano ancora nelle zone centrali della città. La richiesta di spazi per studi ed uffici, produsse un metodo di intervento edilizio che, per meglio adattare l’edificio antico alle nuove destinazioni funzionali, veniva completamente svuotato, conservandone solo la facciata esterna.
Per evitare che il centro di Verona si trasformasse in una crosta storica che nascondeva le moderne strutture edilizie, nel 1981 si iniziò a studiare una Variante al Centro Storico, la numero 33. Essa fu elaborata, utilizzando una metodologia definita ‘”storico – tipologica’, che studiava il valore storico, monumentale e ambientale di ogni edificio del Centro e sulla base di quelle analisi oggettive, definiva i limiti dell’intervento. Venivano cioè individuate le tipologie su cui formulare le indicazioni tecniche e funzionali.
Lo studio per la Variante iniziò con il professor Leonardo Benevolo e proseguì con l’architetto Maurizio Veronelli. Purtroppo il Consiglio Comunale respinse la versione Veronelli, che venne allontanato temendo che i troppi vincoli bloccassero l’attività edilizia dei privati, e affidò ad un architetto, dipendente del Comune, il compito di elaborare una nuova versione di Variante, più permissiva rispetto alla precedente stesura. Fu la Regione Veneto che, colti e denunciati al Comune i limiti della nuova versione, nel novembre del 1991, approvò la Variante realizzata dall’architetto Veronelli. Ma, le varie deroghe, hanno molte volte reso la stessa inefficiente.
Sempre negli anni ’80, le prime limitazioni al traffico nelle zone centrali e la mancanza di parcheggi, oltre alla nuova sistemazione del Tribunale all’ex caserma Mastino, causò l’esodo degli studi professionali all’esterno, dove la viabilità era meno complicata e soprattutto si poteva parcheggiare con facilità.
Negli anni ’90 il centro storico continuò a svuotarsi di abitanti e parecchie botteghe storiche chiusero, sostituite da altre che proponevano articoli di più facile vendita, spesso distribuiti da catene commerciali come quelle degli occhiali o dell’abbigliamento intimo. Nel centro storico si registrò un aumento eccessivo dei canoni d’affitto che, se da un lato permetteva a certe griffe di mantenere il proprio marchio esposto nelle vie più prestigiose della città, dall’altro costringeva molti commercianti a chiudere la propria attività o spostarla in zone meno costose, ma di minor appeal commerciale.
Si arriva agli anni 2000, con il centro città che, oltre ad essere lentamente spopolato, subisce anche la trasformazione delle sue attività commerciali tradizionali. Per le Pubbliche Amministrazioni di quegli anni l’obiettivo era quello di attrarre più gente possibile in centro storico, nella zona più attrezzata di bar, ristoranti, alberghi e negozi di prodotti per il turismo. Così, durante le stagioni calde, subisce l’affollamento soprattutto di turisti e nelle altre di cittadini veronesi. Ma l’offerta non è certo legata alla storia di una città come Verona, ricca di monumenti e cultura, ma ad una sorta di parco tematico, con relative manifestazioni ed eventi adatti ad un tipo di turismo “mordi e fuggi” e di un commercio di cianfrusaglie e cineserie. Ecco allora le nostre più belle piazze storiche occupate da corse automobilistiche con le automobili che, al posto degli pneumatici montano forme circolari di formaggio; o da banchetti che offrono salsicce, hot dog, birra e frittellone.
La conseguenza di tutto questo è stata che, negli ultimi 80 anni, la popolazione del centro storico è passata da 150.000 abitanti agli 8.000 attuali, con un’alta età media; in totale si sono persi 142.000 abitanti. Fenomeno questo che ha interessato solamente il contesto urbano storico e non le aree extra moenia. Dati che hanno acceso il dibattito su cosa fare per interrompere questo processo e per riportare il centro storico ad essere una porzione vera della città, con residenze, negozi di vicinato e piccoli artigiani. Le proposte sono state molte e varie e per lo più indicavano soluzioni che spopolerebbero ulteriormente il centro, con la realizzazione di importanti strutture ricettive e congressuali, che favorirebbero la sua trasformazione in un centro per il business, per lo shopping e per l’happy hour (ho utilizzato termini in inglese per sottolineare l’origine anglosassone di questo tipo di trasformazione delle città), ma non per ospitare gli abitanti.
Il conseguente fenomeno degli affittacamere, che va comunque regolato, è la diretta conseguenza dell’attuale situazione in cui si trova il centro che, da zona abitativa, con tutti i relativi servizi collegati alla residenza, si è completamente trasformato, aumentando la domanda di posti letto turistici. La diatriba tra i gestori degli alberghi e gli affittacamere e/o i conduttori di BeB, va risolta con una corretta concertazione tra le parti e con doverosi controlli. Ma gli affittacamere ed i BeB non sono il problema, questi ultimi sono solo una conseguenza dello stato di fatto.
Sono convinto che, per far tornare il centro storico di Verona una porzione di città, è necessario bloccare lo spopolamento e favorire l’inserimento di giovani coppie con bambini. Ma, per ottenere questo obiettivo, è indispensabile un deciso intervento pubblico, con l’assegnazione alle cooperative di edifici non utilizzati da trasformare in edilizia economica popolare. Questi immobili potrebbero essere le caserme od altri edifici dismessi. In questo modo si bloccherebbero l’espansione e lo sfrangiamento della città verso la campagna, si risparmierebbe suolo e si favorirebbe il ripopolamento del centro storico.
La Pubblica Amministrazione ha il diritto/dovere di intervenire nella pianificazione di un ambito importante e strategico della nostra città come il centro storico. Lasciare che sia solo il libero mercato a definire le destinazioni ed il ruolo del centro, significherebbe far subire a Verona la stessa fine di Venezia. Sull’intervento pubblico diretto sono sorte molte perplessità ed espressi giudizi negativi, ma se in qualche caso si sono sperperati soldi pubblici e non si è realizzato quello che era stato progettato, non significa che sia sempre stato inutile e negativo.
A tale riguardo, cito un esempio del 1973 a Bologna dove il Comune approvò il Piano urbanistico di salvaguardia, restauro e risanamento del centro storico, passando dalla tutela dei singoli monumenti alla difesa integrale della città storica nel suo complesso. Applicò in alcune aree del Centro storico un piano PEEP (Piano Edilizia economica Popolare) per la ristrutturazione conservativa di alcuni comparti dell’antico tessuto urbano e la ricollocazione di abitanti in centro. L’ allora assessore all’Edilizia pubblica, architetto Pierluigi Cervellati, in applicazione della legge n 865/71 estese al centro storico gli interventi di edilizia economica e popolare. Oltre al recupero del costruito e la concomitante tutela sociale, il fine culturale e politico era quello di giungere ad avere abitazioni a proprietà indivisa, trasformando la casa da “bene produttivo” a servizio sociale per i cittadini. Furono realizzati oltre 700 alloggi risanati per iniziativa pubblica, oltre ad interventi di restauro per la realizzazione di centri civici, culturali, studentati e attività di quartiere, per un totale di circa 120 mila metri quadrati di superficie recuperata.
In quel periodo anche a Verona, seppure in modo molto più ridotto, ci fu un esempio simile nell’isolato denominato Corte del Duca, a San Giovanni in Valle. Gli anni ’70 furono anni di grandi speranze, di intensa progettualità ed anche di interventi ben riusciti. Allora si credeva che la città ed il territorio non dovessero finire nelle mani degli speculatori perché ne traessero il massimo profitto a spese degli abitanti originari. Purtroppo i fatti ci dicono che non andò così, che tanti studi ed analisi sono stati volutamente dimenticati e che il Potere Pubblico ha sempre più abbandonato il controllo sull’uso del territorio alle scelte del libero mercato, sino ad arrivare alle situazioni dove gli operatori privati stanno addirittura prendendo il posto delle Pubbliche Amministrazioni nella pianificazione del territorio e nelle conseguenti destinazioni d’uso. La giustificazione che viene portata è che sono i soli che hanno le capacità economiche di investire sul territorio. A tale affermazione mi chiedo: “a quale prezzo per la collettività e per l’equilibrio urbanistico?”
Giorgio Massignan
VeronaPolis

Giorgio Massignan è nato a Verona nel 1952. Nel 1977 si è laureato in Architettura e Urbanistica allo IUAV. È stato segretario del Consiglio regionale di Italia Nostra e per molti anni presidente della sezione veronese. A Verona ha svolto gli incarichi di assessore alla Pianificazione e di presidente dell’Ordine degli Architetti. È il responsabile dell’Osservatorio VeronaPolis e autore di studi sulla pianificazione territoriale in Italia e in altri paesi europei ed extraeuropei. Ha scritto quattro romanzi a tema ambientale: "Il Respiro del bosco", "La luna e la memoria", "Anche stanotte torneranno le stelle" e "I fantasmi della memoria". Altri volumi pubblicati: "La gestione del territorio e dell’ambiente a Verona", "La Verona che vorrei", "Verona, il sogno di una città" e "L’Adige racconta Verona". giorgio.massignan@massignan.com
